Per
completare il giro del decadimento geologico chiudiamo con Celleno, altro
piccolo centro in cui l'erosione è arrivata a livello quasi terminale,
costringendo i suoi abitanti ad evacuare le proprie case già dagli anni 50.
Oggi
è rimasto solo il Castello Orsini e pochissimi edifici ancora
"abitabili", ovvero con il tetto. Ne saranno rimasti forse uno o due.
Il
resto è tutto evacuato e reso "visitabile" con cartelli che indicano
cosa fossero i resti degli edifici che si affacciavano sulla piazza principale:
Poste e telegrafi, chiesa, il ciabattino, il fabbro. Praticamente è diventato
un museo diffuso.
Non
per niente Celleno è definita “il borgo fantasma”.
In
un edificio integro c'è una piccola mostra di materiale "fonico".
Un
signore di una certa età ha messo a disposizione la sua collezione di
grammofoni, fonografi e simili. Basta fermarsi davanti ad uno di essi e lui
parte a parlarne come se avesse un sensore di movimento. Non siamo gli unici e
ascoltarlo.
È
piacevole e interessante, ma dopo circa trenta minuti dobbiamo evadere. Solo
quando entra un'altra coppia riusciamo a sganciarci: sfruttando la terza legge
di Newton spingiamo l'altra coppia verso il signore dei grammofoni e ne
sfruttiamo la forza repulsiva per uscire dall'edificio.
Gironzoliamo
ancora un po’ nel borgo. L'ora è giunta, si torna casa, per il momento.
Lasciamo
Orvieto con la speranza di tornarvi presto. Ci dirigiamo verso casa, non prima
però di aver visto un paio di obiettivi che incontriamo lungo la strada del
ritorno.
Il
primo è Civita di Bagnoregio, la città che muore.
Come
Todi e Orvieto, anche Civita di Bagnoregio sorge su uno sperone di tufo, ma qui
siamo ad un livello molto più avanzato. Ciò che rimane del piccolo centro sono
pochissime case che spuntano da un cucuzzolo sporgente in mezzo ad una grande
valle su cui l'erosione ha lasciato un segno visibile nei calanchi che sporgono
più avanti.
La
città vecchia oggi è raggiungibile solo rigorosamente a piedi pagando un
simbolico biglietto di accesso. Si raggiunge attraverso un lungo ponte moderno
che passa dove un tempo c'era una lingua di terra che collegava la città con il
resto della valle e dell'abitato.
Il
ponte è molto lungo. Per arrivarci bisogna scendere dalla terrazza a cui si
arriva dall'attuale città e camminare un po’.
La
salita al sole non è male, non è un problema. Non si può dire la stessa cosa
per i molti turisti in sovrappeso e infradito che sorpassiamo mentre li
sentiamo ansimare come Darth Vader.
Cassandra
mi spiega che qui la gente non viene per ammirare la meraviglia geologica della
città, bensì per mangiare! Nonostante il paesino sia ormai ridotto all'osso, si
trovano diversi ristorantini che non sembra soffrano la crisi, tutt’altro.
Molti si lamentano di non trovare posto per consumare il pasto al tavolo.
Mentre
saliamo incontriamo le prime strutture, crollate intorno agli anni 50, poi passiamo
sotto la porta di accesso e siamo già quasi nel centro. Attraversiamo una
piccolissima piazzetta e dopo pochi passi siamo nella piazza "grande"
della chiesa. Entriamo subito nel piccolo Museo Geologico delle Frane
per capire la storia della città, la sua lenta erosione e i tentativi fatti per
cercare di non far crollare ulteriormente le case. Non facciamo in tempo a vedere la chiesa
sulla piazza che ci cacciano fuori per la pausa pranzo (qui sacrosanta!).
Dimenticavo, si viene qui per i ristoranti!!
Probabilmente
non c'è molta speranza di mantenere in piedi Civita di Bagnoregio, visto il
poco rimasto e ciò che abbiamo letto nel museo. Sommato tutto questo a quanto
imparato da Valerio nei sotterranei di Todi...Lasciate ogni speranza o voi
ch’entrate.
Forse
è per questo che spingono tanto sui ristorantini, come Venezia. Anche lì
cercano di sfruttare il posto il più possibile prima della fine…
Comunque
Civita è carina, si gira in pochissimo.
Scendendo
dall'altra parte si passa in quel che resta di una via cava. L'imbocco del
sentiero che porta ad una galleria che attraversa completamente da parte a
parte la città, però non è accessibile a causa di recenti crolli.
Qualcuno
rischia, a noi non sembra il caso e torniamo indietro a mangiare un panino
godendoci le scenate dei turisti che girano in continuazione da un ristorante
all'altro sperando di trovare un tavolo libero. Sembrano le palline di un
flipper.
Emersi
da questo primo trittico museale, riusciamo a sgranchirci le gambe quel tanto
che basta per attraversare la Piazza del Duomo ed infilarci nel Museo
Etrusco “Claudio Faina”.
Il
nome lo deve al collezionista privato che ha fondato questo museo nel 1864
esponendo i pezzi che raccolti nella sua vita da appassionato di archeologia.
Il
risultato non è male, anzi.
Bellissima collezione di materiale etrusco che
merita assolutamente di essere vista.
Non
ancora sazi di Orvieto, cerco di mettermi d'accordo con un archeologo che
organizza visite guidate nei siti al di fuori della Carta Unica. Si
tratterebbe di visitare un'altra necropoli, un altro pozzo e un paio di siti
etruschi all'interno della città.
Purtroppo
non arriviamo ad un accordo. Decidiamo di rimandare ad una prossima visita di
Orvieto, il cui soggiorno ci ha del tutto convinto a tornare per completare ciò
che è sfuggito.
Tanto
per essere sicuri, riprendiamo a girovagare per i vicoli della città e finiamo
in uno dei siti che avremmo dovuto vedere con l'archeologo: la Chiesa di
Sant'Andrea.
Carina,
ma la vera chicca sarebbero stati i sotterranei, che senza l'archeologo non si
possono vedere... Chiudiamo qui.
Cerchiamo
un posto per mangiare questa sera e goderci l'atmosfera etrusco-medievale di
questa bella cittadina.
Riemersi
alla luce del giorno, giusto il tempo di mangiare qualcosa, ci andiamo a
rintanare in una serie di musei.Il
primo è il Museo Emilio Greco accanto al Duomo nel Palazzo
Soliano del trecento, dove troviamo opere scultoree di Emilio Greco, colui
che ha realizzato le porte bronzee proprio del Duomo.
La visita è
abbastanza rapida, così passiamo al Museo dell'Opera del Duomo, in cui
sono presenti diverse terracotte dal duecento in poi e alcune opere pittoriche
relative al Duomo. Anche questa visita è abbastanza veloce.
Iniziamo
a pensare che questi musei siano solo dei “contorni” al Duomo, ma nel Museo
archeologico nazionale arriva finalmente il bello.
Ci
sono grandi sale ricolme di reperti provenienti da varie necropoli etrusche
della zona, soprattutto da quella del Crocifisso. I reperti sono davvero
belli e vari. Davanti a queste vetrine il tempo inizia a scorrere diversamente.
Abbiamo
perfino affreschi interi relativi a due tombe. Sono di un certo pregio, sebbene
forse a causa dello stato di conservazione, o per essere stati strappati in
loco, non sembrano magnificenti come quelli della Necropoli di Tarquinia.
In origine dovevano essere davvero eccezionali.
Vediamo
anche reperti romani e medievali, giustamente in parte minima rispetto a quella
etrusca.
Dopo
essere emersi dalla magnificenza del Duomo, approfittiamo per fare
merenda e andiamo a vedere Orvieto Underground, già ieri preventivamente
prenotata.
Scendiamo
lungo il fianco della città a ovest ed entriamo in un grande ambiente scavato
nel tufo.
Orvieto
è tutta costruita sul tufo. Ogni abitante che nei secoli ha vissuto qui, si è
scavato sotto casa un'altra stanza e il materiale estratto veniva utilizzato in
superficie per costruire nuovi edifici.
Col
passare del tempo e delle civiltà (etrusca, romana, medievale), la città, il cui nome odierno sembra derivi dal latino Orb Vetus, divenne una groviera di gallerie che ancora oggi la sorreggono. Poche sono
visitabili, pare siano circa 1200 ambienti più o meno grandi.
Il
sito dove entriamo per la visita era utilizzato come frantoio e, col passare
del tempo, l'ambiente è diventato sempre più ampio.
Purtroppo
se si scavava troppo potevano verificarsi dei disastri. Quindi nel medioevo
venne fatta una legge che imponeva restrizioni ben precise su come e quanto
scavare.
Ovviamente
non sempre venivano rispettate, come accadde alla galleria che visitiamo,
diventata poi una cava. Se i minatori venivano scoperti durante lo scavo, la
cava veniva chiusa.
Qualcun
altro però deve aver aperto un ulteriore passaggio. Andiamo a vederlo: abbiamo
altre serie di stanze utilizzate come colombari, in cui centinaia di uccelli
venivano allevati e permettevano ai proprietari di mangiarne la carne e
soprattutto venderne.
Erano
ambienti quasi a costo zero perché i piccioni venivano spontaneamente solo a
dormire e riporre le uova, mentre il cibo se lo cercavano autonomamente fuori.
Il
secondo giorno ad Orvieto prevede un tour de force che inizia subito con un
pezzo da novanta: il Duomo/Basilica cattedrale di Santa Maria Assunta.
Qui
di solito viene celebrato annualmente il Miracolo eucaristico di Bolsena,
sì proprio quella di Bolsena. In pratica il prete che assistette al miracolo
portò a Orvieto il panno (corporale) chiazzato dal sangue che uscì dall’ostia
spezzata.
Il
Duomo è fantastico, pure fuori con tutte le statue e la facciata
ripulita da poco, ma il bello è anche dentro: il Presbiterio tutto
affrescato, la Cappella del Corporale e la Cappella di San Brizio.
In
teoria in quest’ultima si potrebbe rimanere poco tempo, ma c’è poca gente e io
e Cassandra ci prendiamo tutto il tempo necessario per vedere ogni parete e
angolo dell’opera d’arte di Luca Signorelli. La decorazione era stata iniziata
da Beato Angelico, poi il Signorelli prese in mano tutto e realizzò quello che
vediamo oggi.
Con
l’aiuto di internet troviamo una buona descrizione di tutta la cappella. Come
al rallentatore, noi rimaniamo al centro mentre il via vai dei pochi turisti ci
gira intorno.
Rimaniamo
piantati lì per più di un’ora.
Usciamo
solo perché è tardi e dobbiamo vedere i pochi angoli del Duomo che ci
mancano prima di andare alla prossima tappa.
La sosta alla chiesa ha fatto
cambiare idea al temporale. Anche se non è tornato il sole, sembra che per il
momento non pioverà. Ne approfittiamo per attraversare quasi tutta la città e
andare in un altro posto accessibile con la Orvieto Card: Il Pozzo
della Cava.
Si trova quasi all'estremità
opposta della città, in un vicolo che sembra scendere verso valle e i cui
tratti assomigliano sempre di più a quelli di un piccolo borgo man mano che si
scende.
È all'interno di un negozio di
ceramiche e si sviluppa sotto di esso per diversi livelli.
In origine era un pozzo
etrusco, riaperto nel medioevo per attingervi acqua, chiuso poco più di un
secolo dopo.
Le leggende raccontano che sia
stato chiuso per una serie di sparizioni, tra ufficiali francesi e donne del
posto, oppure che venne chiuso durante la guerra di Castro, che trasformò via
della cava, dove si trova il pozzo, in una fortificazione.
Scendendo nei vari livelli non
c'è solo il pozzo a testimoniare l'utilizzo di questo luogo.
Si incontrano infatti una
fornace medievale, dei butti, una tomba etrusca trasformata nel medioevo in un
follone (macchinario medioevale per lavorare i tessuti), la cisterna etrusca,
una cantina medievale, i resti di una torre medievale, una muffola, ovvero una
sala per la terza cottura della ceramica, una cava con il secondo pozzo e i
cunicoli etruschi.
Il tutto è un perfetto esempio
di come gli abitanti di Orvieto abbiano sfruttato il tufo della città, scavando
sotto la propria casa, estraendo materiale da costruzione e continuando a
scavare.
In questo modo hanno creato centinaia di ambienti sotterranei e reso
una groviera il sottosuolo della città.
Quando usciamo il proprietario
del negozio e del ristorante confinante ci fa entrare nella sua sala da pranzo
per una prova di coraggio... Io già immagino mi chieda di indossare una maglia
rossonera o peggio ancora bianconera...Per fortuna niente di tutto questo.
Ci fa fermare su una lastra di
vetro e accende la luce: siamo proprio sopra il pozzo etrusco che scende per 14
metri. Non soffrendo di vertigini la prova è superata.
Sulla strada del ritorno passiamo
accanto alla Torre del Moro. Manca poco alla chiusura, almeno non c'è
nessuno. Saliamo le scale fino alla cima così da vedere tutta la città sotto i
nostri piedi.
Lasciata
definitivamente l'auto, ci incamminiamo verso il centro e questa volta
capitiamo davanti alla Chiesa di San Domenico, che non fa parte della Orvieto
Card.
Purtroppo
demolita in gran parte nel 1932 per far spazio all'accademia femminile di
educazione fisica, della struttura originale rimane pochissimo.
Doveva
essere molto bella e antica (risaliva al 1233), ed era forse una delle prime
chiese dell'Ordine Domenicano.
Di
originale è rimasto poco: il Mausoleo
del cardinale Guillaume De Braye realizzato da Arnolfo di Cambio, la
cattedra utilizzata da Tommaso d'Aquino per le sue lezioni di teologia e la Cappella
Petrucci realizzata tra il 1516 e 1523 da Michele Sanmicheli.
Usciti
dal Pozzo di San Patrizio siamo ancora nei pressi del parcheggio. In
quel momento mi viene un'idea: per vedere una delle cose che fanno parte della Carta
Unica ci vuole la macchina. Decidiamo di andarci subito così poi non la
toccheremo più per tutto il resto del soggiorno.
In
pochi minuti siamo alla Necropoli del Crocifisso che sorge poco sotto lo
sperone di Orvieto. In realtà non era molto lontano e ci si poteva anche andare
a piedi, però l'unica strada che vi arriva non è molto consigliabile a piedi.
Alla
necropoli c'è anche un piccolissimo museo, ma al nostro arrivo ci sono già
dentro due persone, il massimo consentito per limiti Covid, così decidiamo di
vedere prima l’esterno.
La
necropoli visitabile è proprio piccola e davvero particolare, almeno per la
nostra esperienza. Sembra un mini quartiere di casette squadrate e divise da
vie come quelle di un minuscolo centro abitato.
Del
resto gli etruschi si facevano costruire le tombe a forma di casa, soprattutto
l'interno che scolpivano come se avesse un tetto di legno. Poi arredavano con
dei letti di pietra su cui riponevano i morti. La maggior parte delle necropoli
da noi visitate erano scavate nella roccia, mentre qui le tombe sono state
proprio costruite. Solo a Cerveteri abbiamo visto quartieri simili.
La
forma della casetta si ritrova anche quando si entra nelle tombe, si vede
chiaramente la volta a spiovente.
Altra
particolarità di questo sito sono dei cippi funerari che spuntano un po’
dappertutto, e soprattutto le iscrizioni in etrusco proprio sugli stipiti delle
tombe che indicavano chi vi era sepolto.
La
necropoli ovviamente è stata più volte depredata. Inoltre gli scavi
archeologici nel 19° secolo non furono eseguiti proprio ad opera d'arte,
difatti la maggior parte dei reperti sono sparsi nei vari musei d'Europa e
America.
Le
tombe che vediamo oggi sono solo una piccola parte, il resto giace ancora sotto
la terra che nei secoli ha ricoperto il sito facendolo dimenticare agli
abitanti di Orvieto.
Vorrei
provare a cercare meglio se si intravedono altre tombe. L'erba alta ci
rallenta, un improvviso calo di temperatura e vento che si alza ci sospingono
vigorosamente verso l'uscita. Il segnale che il tempo sta cambiando è evidente,
così anche noi, dopo aver visto velocemente il museo, cambiamo meta e torniamo
a Orvieto.
Come
prima tappa scegliamo uno dei monumenti più singolari e iconici della città: il
Pozzo di San Patrizio che si trova proprio accanto alla Fortezza
Albornoz, all'estremità est del centro abitato. Appena fatto il biglietto
ci dicono che dovremo uscire entro mezz’ora perché purtroppo oggi chiuderanno
presto a causa di alcune riprese televisive.
-
Non ci sarà mica “Il Figlio”?
Lo
sguardo sorpreso della giovane cassiera mi fa capire che ci ho preso.
- Non si preoccupi, non lo dico a nessuno, nemmeno a Cassandra, altrimenti col
cavolo che esce dal pozzo, anzi, sarebbe capace di nascondersi dentro per
fargli un agguato...
In
realtà glielo dico eccome, però le dico anche che sarà pieno di telecamere, a
cui tutte le profetesse Trite sono estremamente allergiche.
Il
pozzo è una grande struttura scavata nel tufo con due scale a spirale che
sembra siano state progettate apposta in previsione di tempi pandemici come
questi: una scala per scendere e una per salire in modo che chi sale non
incrocia mai chi scende.
Sfortunatamente
quando scendiamo ci sono alcune famiglie con ragazzini molto vivaci e
chiassosi. Devo ammettere che ho fatto molta fatica a non gettarne tre o
quattro giù dalle molte finestre che si affacciano sul pozzo, soprattutto
quando eravamo ancora molto in alto...
Poi
ho visto i genitori che erano così stressati che pareva li avessero sciolti con
la speranza che cadessero nel vuoto per conto loro... tanto ne abbiamo altri...
Aspetto Cassandra per sapere se gli dèi hanno bisogno di qualche sacrificio...
Per loro fortuna Cassandra aveva previsto tutto e mi porta via distraendomi
mettendosi in posa per qualche fotografia.
Una
volta giunti sul fondo poi, la pace! Come erano arrivati, i piccoli diavoli
della Tasmania se ne erano andati, portandosi dietro i loro genitori e
lasciandoci il pozzo tutto per noi.
Siamo
tentati di cercare un pertugio in cui nasconderci per fare una sorpresa
"Al Figlio" (Alberto Angela), ma anche noi siamo qui per “vedere,
scavare, vasi, culturale”, così andiamo in cerca di altro da vedere, magari
cavalieri, o perfino spingitori di cavalieri.
Usciti,
ci incamminiamo per le viuzze della città, diretti in centro per vedere
qualunque cosa ci troveremo di fronte, lasciandoci guidare solo dall'istinto.