venerdì 2 novembre 2018

Giorno 6 - Museo - Vinapu - Papa vaka - Ovahe - Puna Pao - Ana Te Pahu - Ahu Te Pehu


Questa mattina pioviggina, per la prima volta da che siamo qui non vedremo quasi mai il sole durante tutto il giorno.
Speranzosi saltiamo in macchina e andiamo al museo, pregando che il clima nel frattempo migliori.
Trovarlo non è tanto semplice. Anche seguendo le indicazioni che ci portano ai cinque Moai del primo giorno, ci mettiamo un po’ a capire quale sia la struttura.
Il museo è gratis e appena entrati ci chiedono: “Volete vedere il filmato in italiano?”.
“Ma certo” rispondiamo.
Era una trappola!

Sullo schermo del video compare lui: Giacobbo! Fiero della sua puntata di Voyager su Rapa Nui, inizia a parlare dell'isola e dei suoi misteri.
Tra le varie cose che ha detto, più o meno vere, ci sono un paio di teorie sull’origine dei Moai degne di Voyager che devo assolutamente riportare.
Secondo uno scienziato i Moai, ricavati dal vulcano Rano Raraku, non venivano affatto trasportati sugli altari, ma venivano sparati in aria dal gas del vulcano, poi dove cadevano, cadevano. Solo dopo gli facevano l’altare attorno.
A questo punto Cassandra si alza e va a vedere il museo saltando il resto del filmato.
Un altro esimio scienziato sostenne che la pietra dei Moai non esiste sull’isola e che ce li avevano portati gli alieni. Peccato che questo scienziato illustre non sia mai stato a Rapa Nui...
Sfortunatamente queste non sono mie simpatiche invenzioni, sono vere. Non so per cosa essere più dispiaciuto.
Mentre Giacobbo continua a parlare, mi giro e vedo Cassandra laggiù, che osserva dei reperti. Mi sa che la raggiungerò presto.

Il museo è piccolo ma ci sono alcuni pezzi interessanti come un Moai femmina, uno degli unici dieci di tutta l’isola, una testa di Moai in pietra rossa, una parte di testa con occhio, e diverse altre cose tra cui le spiegazioni di come siano veramente caduti i Moai. Fu proprio l’uomo occidentale, nel periodo della guerra per le scarse risorse dell’isola, che istigò i nativi ad abbattere i Moai.
Forse oggi sarebbero ancora in piedi se non fosse stato per loro.
Li Moacci loro!
Dopo il museo il tempo non migliora. I luoghi da vedere però sono ancora diversi, così sfidiamo la pioggia e andiamo comunque in giro.
Sull’onda misterica di Voyager, facciamo perfino due scoperte: a Vinapu, oltre ad altri Moai abbattuti e un paio di Pukao davvero grandi, troviamo delle Pietre incredibilmente tagliate per combaciare tra loro come quelle degli Inca a Cuzco. Difficile pensare che gli Inca siano arrivati fino a qui, ma dopo tutto non impossibile.
Inoltre c’è un altro Mamozio femmina! Ovvero un altro Moai femmina.


Devo ammettere che è davvero poco riconoscibile, ma essendo in pietra lavica rossa, solo per questo è già singolare.
Purtroppo per Giacobbo nessuna traccia di templari, Santo Graal, cerchi nel grano o alieni Nibiru.
Ah, e neanche del Ciupacavra si è visto nulla. Purtroppo.
Con la coda del Ciupacavra fra le gambe ci dirigiamo verso il vulcano Poike, anche se con pochissime speranze di trovare una guida che ci accompagni. Difatti quando ci arriviamo la cima è coperta di nuvole. In teoria avremmo dovuto parcheggiare nei pressi di una fattoria, sperando di trovare qualche locale che ci accompagnasse verso i siti che si affacciano sul mare, dall'altra parte del vulcano. Purtroppo la giornata non lo consente... Anche solo raggiungere la fattoria con tutto quel fango sarebbe una fatica sprecata. Peccato, questa è una delle poche cose che non riusciremo a fare e per cui sarebbero necessari altri giorni di soggiorno.
Proseguiamo per Papa Vaka, dove ci sono dei petroglifi, disegni scolpiti nella roccia, quindi tentiamo di raggiungere l’unica altra spiaggia di sabbia dell’isola oltre ad Anakena, la spiaggia di Ovahe. Già arrivarci con la macchina è stata un'impresa, ma soprattutto un miracolo che non ci siamo impantanati nel fango. Una volta arrivati, anche rimanere in piedi sul pantano è difficile, per cui desistiamo e andiamo verso un altro sito che ieri avevamo saltato, Puna Pao.
Finalmente l’abbiamo trovato! Puna Pao si rivela essere il piccolo vulcano da cui estraevano la pietra rossa per fare i cappelli dei Moai.
Quindi per i cappelli, più piccoli e facili da trasportare, non c'era problema, grazie alla loro forma, mentre per i Moai doveva essere molto più difficile far arrivare l'ordinazione intera a destinazione. Fatta questa considerazione inizio a capire perché più ci si allontanava da Rano Raraku, la fabbrica dei Moai, più questi diventavano piccoli. Oltre al problema fragilità, c'erano anche delle spese di spedizione non indifferenti.... e noi che oggi ci lamentiamo di Amazon se ci fa pagare tre euro in più per un pacco!
Anche qui, come a Rano Raraku, ci sono diversi esemplari di Pukao che giacciono ancora in esposizione sulle pareti del vulcano e dentro la piccola bocca sulla sua cima. Purtroppo piove e siamo immersi tra le nuvole. Non si vede praticamente nulla oltre i venti metri. È un vero peccato perché in questo punto c’è un mirador da cui vedere il mare che doveva essere una favola.
Tornati in pista rifacciamo la strada di ieri per cercare di trovare la via sterrata che ci porterebbe al prossimo sito, ma finiamo per incontrare quello che ieri abbiamo trovato chiuso.

Chiediamo e ci dicono che siamo ad Ana Te Pahu, dove camminando per una ventina di minuti troveremo delle caverne. Da lì potremo proseguire verso Au Te Pehu, il villaggio sul mare che a quanto pare è raggiungibile solo così, a piedi.
Il tempo è molto incerto, continua a farci compagnia quella pioggia sottile ed appiccicosa, per cui Pier decide di rimanere in auto a riposare. Conoscendolo credo abbia già intenzione di tornare su quest'isola prima o poi, per cui non credo che si perderà qualcosa.
Camminiamo per una ventina di minuti circa, tra fango, pozzanghere e rocce vulcaniche, del resto siamo alle pendici del vulcano più grande di Rapa Nui: il Maunga Terevaka, con i suoi 511 metri di altezza.

Quando troviamo le caverne, devo ammettere che rimango sorpreso. Mi aspettavo di trovare dei piccoli ripari e invece sono molto alte e lunghe: dentro ci crescono perfino dei banani. Con molta cautela scendiamo le rocce bagnate e constatiamo che sono ancora più grandi. Furono utilizzate dagli antichi per ripararsi quando le risorse dell'isola, tra cui gli alberi con cui costruivano le capanne, si erano ridotte a tal punto che la gente cercava un posto dove nascondersi dai cannibali, oltre che per ripararsi dalle intemperie.
Queste in particolare dovevano ospitare molta gente perché erano grandissime. Quando proviamo ad esplorarne una piccola parte, in teoria non ci sono impedimenti, ci rendiamo conto che proseguono al buio per chissà quante centinaia di metri. Probabilmente sono così lunghe perché in origine dovevano essere dei canali di lava, strutture tipiche delle zone vulcaniche.
Non avendo il tempo per perderci dentro questi tunnel, risaliamo e ci dirigiamo verso il villaggio sul mare.
Il tragitto si rivela altrettanto impegnativo e lungo, ma per lo meno sembra aver smesso di piovere.
Lungo il percorso troviamo diverse carcasse di animali, probabilmente cavalli, di cui sono rimasti solo la pelle e qualche osso sparso. Come si sono ridotti così se non ci sono predatori su quest'isola? I cani? Non credo. Ah già che stupido, l'uomo.
Finalmente troviamo il villaggio che da un lungo muro basso si spinge verso il mare. A terra ci sono moltissime fondazioni delle case, con le pietre forate per poter infilarci i pali di sostegno della paglia. Ci sono anche strutture completamente in pietra, forse magazzini, una strana stele e poi i soliti altari con i Moai anche qui rovesciati. La situazione generale è più completa, sembra quasi che siano trascorsi solo pochi decenni da quando il villaggio è stato abbandonato.

Esploriamo il sito e troviamo anche il sentiero che si divide tra la costa che gira attorno al vulcano Terevaka e la direzione verso la sua cima.
Controllando la cartina ci rendiamo conto che entrambe le scelte sarebbero troppo lunghe da tentare, inoltre sta ricominciando a piovere. Controllando l'ora ci sorge il pensiero che forse Pier ci starà già dando per dispersi contattando i Carabineros. Meglio tornare.
Stavolta il tragitto mi sembra più corto, ma è anche più problematico a causa della pioggia che ci fa arrivare zuppi.
Speriamo che domani il tempo sia più generoso...

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