Sveglia alle 6:30, c’è l’alba da vedere,
il sole è effettivamente già sorto, non ha ancora fatto capolino da dietro le
dune, per cui sono in tempo e riesco a filmare il momento in cui si affaccia
sul nostro campo tendato.
Dopo una rapida colazione, accompagnata
sempre dal pane sabbioso, alle 8 partiamo per una gita in jeep sulle dune.
Il giro inizia fermandoci in cima a un
belvedere, sopra quello che probabilmente era un mare perché l’altura su cui
poggiamo i piedi si rivela essere un giacimento di fossili: sulle rocce nere
che calpestiamo emergono decine di fossili che visti così assomigliano a dei
“cannolicchi”, in realtà sono Orthoceras, dei molluschi nautiloidi. Ce ne sono
di ogni dimensione alcuni perfino grandi come una mazza da baseball.
Purtroppo la sosta è molto breve,
prossima tappa le dune. Con un po’ di scossoni, niente di traumatico, arriviamo
alla base di due grandi dune su cui si arrampicano delle moto e poi
ridiscendono, sempre che riescano a mantenere l’equilibrio.
Considerando che sono dune di sola
sabbia, già difficili da scalare a piedi, per salire e scendere in moto si deve
comunque essere molto bravi.
Proseguiamo e gli scossoni da dune
aumentano, quasi non ce ne accorgiamo perché di tanto in tanto sbucano delle
macchine da rally. Sono troppo lontane per capire se stiano facendo una gara o
meno, però il numero sulle portiere potrebbe essere indice di qualcosa di
organizzato.
Ultima sosta: villaggio berbero.
Mentre il gruppo si fa offrire il the
caldo nella tenda berbera, io continuo a cercare fossili ovunque senza
successo. Mi consolo osservando dall’altura su cui sorge il villaggio, il rally
di Peugeot 205 che sfilano nella sabbia sotto di noi. Sono tutte 205,
probabilmente un raduno rally, forse a tappe. Ne passano tantissime e a
velocità moderata.
Appena il rally finisce ci accodiamo
anche noi alla carovana, facciamo le ultime evoluzioni ed arriviamo ad una
stazione di servizio dove ci attende Yussef con il pulmino.
Anche oggi la strada sarà molto lunga e
calda.
Ci fermeremo solo per pranzo in un bar,
dove mangeremo la famosa pizza di Rissani, che non è un famosissimo chef
marocchino, bensì una località berbera dove fanno questa “pizza” berbera. Sei
pizze giganti vegetariane. In realtà la ricetta originale prevede molta carne,
Lucia ha preferito optare per la linea vegetariana.
Prendo subito una fetta e già vedo che è
fatta come una focaccia ripiena. Solo dal tanfo intuisco che hanno abbondato
tantissimo con le spezie, in particolar modo cumino e coriandolo.
Cassandra neanche ci prova, io ne mangio
una fetta e prendo la seconda dopo che tutti hanno avuto il loro primo e unico
assaggio. Nemmeno Yussef riesce a mangiarla talmente è speziata, il che è tutto
dire.
Io però ne prendo una terza fetta, tanto
per fare la parte di Cassandra. Ora mi sento un pochino appesantito e la birra
analcolica presa per mandare giù la pizza non basta più. Allora faccio una cosa
che non facevo da bambino: prendo una lattina di Coca-Cola, e sai cosa
digerisci.
Ci metterò comunque tutto il giorno a
smaltire la sensazione di sazietà e soprattutto di cuminità, alla fine la coca
ha funzionato.
Sotto un sole caldo ci rimettiamo in
marcia e attraversiamo il deserto rosso. Ci fermiamo un paio di volte una delle
quali sopra un paio di canyon spettacolari.
I luoghi sono deserti, almeno così
all’inizio sembra, e invece... Puntualmente ovunque ci fermiamo, spuntano da
non so dove venditori di qualcosa. Compaiono dal nulla, non si capisce come
abbiamo fatto a non vederli prima. Le spiegazioni sono due: o i berberi hanno
inventato il teletrasporto, oppure erano d’accordo con il buon Yussef e sanno
quali sono le strade più battute dai turisti?
Mmm, effettivamente non ho visto in giro
molti vulcaniani…
Lungo la strada di tanto in tanto
spuntano piccole città di fango pressoché crollate. Alcune sembrano quasi
fortezze medievali, con torri e merlature in stile marocchino. Solo più tardi
scopriremo cosa sono veramente, per cui non anticipo nulla.
A volte si vedono villaggi di case che
sembrano palazzine basse degli anni sessanta, costruite come in Italia.
Non so quanti anni abbiano queste case,
ci passiamo accanto velocemente con il pulmino, poi mi viene in mente che
l’Italia è sempre stata riccamente popolata di muratori marocchini. Quando
facevo servizio civile a Varese c’era Majoub che si vantava di essere in Italia
da trent’anni e di essere il muratore più bravo d’Italia.
Era il ‘96. Togli 30 diventa 66.
Se uno come Majuob fosse tornato a casa
qualche anno dopo, e avesse messo su un’impresa di costruzioni? Magari mettendo
in pratica quello che hanno imparato in Italia negli anni 60? Case basse...
I conti tornerebbero...
Forse il caldo sta avendo la meglio...
Oggi è una giornata rovente e faccio strani pensieri… Almeno finché non
arriviamo alle gole di Todra.
Questa oasi di fresco è un piccolo
passaggio asfaltato lungo un torrente ai piedi di alte montagne rosse. Mi
ricorda un pochino il siq di Petra, o meglio ancora i serrai di Sottoguda, più
in grande e più corto.
La parte finale è quella più
spettacolare: circa seicento metri in cui i turisti vengono a cercare un po’ di
fresco e ad aspettarli trovano anche molti venditori e altri turisti.
Il posto è bello, lo testimoniano anche
molti marocchini che passeggiano in acqua, alcuni campeggiano addirittura
sull’altro lato del torrente.
Forse per apprezzarlo meglio si dovrebbe
venire la mattina presto, quando c’è poca gente, ma anche così va bene.
Ci sarebbero molti sentieri e vie di
arrampicata da fare. A parte il fatto che non abbiamo tempo, solo Giorgio credo
riuscirebbe a farne qualcuna. Io mi limiterei ai sentieri. Devo ammettere che mi
spiace molto non poterne percorrere qualcuno.
L’express del nostro viaggio corre verso
la prossima tappa, si rivela essere molto più interessante di quel che pensavo.
Ci fermiamo infatti a Skoura, dove c’è la
Kasbah Amridil. La visita guidata viene fatta da una guida locale in italiano
di nome Reza. Lucia si era premurata di prenotarlo in anticipo, pare sia molto
bravo.
Effettivamente ha spiegato tutto molto
bene aggiungendo anche diverse battute di comicità marocchina, rendendo così la
visita molto più godibile.
La kasbah è molto bella e recentemente
ristrutturata dalla famiglia che la possiede sin dalla sua costruzione nel
diciassettesimo secolo.
Sostanzialmente è fatta di mattoni di
fango e paglia lasciati fermentare in modo che siano più resistenti.
Appena dentro c’è il giardino interno con
le palme e alcune stanze che vi si affacciano. C’è un ufficio particolare,
ovvero quello di un giudice. Prima di passar a miglior vita stabilì il suo
ufficio all’interno di questa fortezza.
Da fuori sembra una fortezza, quasi un
castello medievale, una volta dentro è tutt'altro, anzi sembra molto
accogliente, per essere del diciassettesimo secolo.
La struttura ha diversi livelli e ogni
piano è costruito sui giunchi, flessibili e resistenti, oltre che più facili da
utilizzare per costruire. Sono così leggeri da essere perfetti per non gravare
sulle strutture che, pur se resistenti, restano pur sempre fatte di fango e
paglia.
Nel cortile sono esposti i vari attrezzi
e utensili che la famiglia della kasbah utilizzava tutti i giorni, ma quindi
cos’era una kasbah? Una casa, sì, ma fortificata. Ecco perché l'aspetto
intricato e medievale.
Entriamo a vedere la zona delle cucine
con i vari forni per i diversi tipi di pane. Ce ne è poi uno molto più grande
dove il montone veniva cotto per intero.
Usciamo in un altro piccolo cortile a
vedere l’esterno dove sono locate una macina manuale e una idraulica scoperta
di recente solo durante il restauro.
In pratica l’acqua del fiume che passava
all’esterno dove erano le palme, veniva fatta entrare sotto le mura e arrivava
a una turbina idraulica di legno che girava e, collegata a una macina,
produceva la farina. Poi l’acqua usciva dall’altra parte della Kasbah e tornava
nel fiume.
In questo cortile ci fanno vedere come
venivano costruite le mura: un grande cassero alto 80 cm veniva riempito di
pietre terra umida e paglia e lasciato riposare. Se il contenuto del cassero
diventava impermeabile, verificandolo versandoci sopra un po’ di acqua, allora
si poteva usare, altrimenti dovevano rifare tutto da capo.
Le parti superiori, quelle decorate,
specie dove ci sono le torri, venivano costruite con mattoni piccoli, sempre di
fango e paglia fermentati ovviamente.
Passiamo al prossimo ambiente esterno,
separato da mura e porta stretta e bassa. In alto sopra di noi ci sono sempre
le torri che ci guardano.
In questo altro ambiente c’erano gli
animali che di giorno uscivano all’esterno a pascolare fino a sera. Questo in
estate, in inverno invece gli animali entravano in un locale chiuso qui
accanto, in questo modo contribuivano al riscaldamento interno della kasbah.
Tutti questi ambienti erano piccoli e
intricati per un motivo: la difesa da attacchi esterni. Ed ecco su questo
argomento della difesa da attacchi esterni, l’anima comica della guida prende
il sopravvento.
La prima linea di difesa era creare un
labirinto, con dei falsi accessi ai piani superiori.
Ce l’abbiamo?
Sì, bravo!
Poi il buio: se entravi e non vedevi
nulla potevi cadere ed essere facilmente sopraffatto.
Ce l’abbiamo? Sì, bravo!
Se i primi due espedienti venivano meno e
trovavano le scale per accedere davvero ai piani superiori? Ecco i gradini
volutamente costruiti irregolarmente, con altezze completamente diverse tra
loro, così da disorientare e impedire agli invasori di correre.
Ce l’abbiamo? Sì, bravo!
Se le scale non erano un problema, tutti
gli accessi e le porte erano così strette che ci passava una sola persona alla
volta. In questo modo, anche se gli invasori fossero stati tantissimi, si
poteva affrontare un invasore alla volta.
Ce l’abbiamo anche questo? Sì, bravo!
Infine l'altezza delle porte davvero
ridotta in modo tale che per varcarle ci si doveva chinare.
La racconto come la guida:
L'invasore entra inchinandosi, anche per
rispetto al padrone di casa che lo accoglie gentilmente.
“Ciao, come stai? Tutto bene? Vuoi una
tazza di the? Chomp.”
L'ultimo suono era quello di una mazzata
in testa o nel caso peggiore di una decapitazione.
Abbiamo anche questo? Sì, bravissimo!
Insomma, i padroni di casa ne avevano
pensate una più del Jinn, (demoni mediorientali anche detti geni della
lampada). Ma come è andata veramente?
In realtà questa kasbah non è mai stata
attaccata.
Tutta fatica sprecata? Non direi perché
ci stiamo divertendo moltissimo.
Mentre siamo in visita nella moschea
della kasbah, Reza ha esposto una intelligentissima riflessione sui numeri
delle religioni:
5 il numero
dell’Islam. Ha come simbolo la stella a 5 punte, 5 sono i loro precetti: unica
fede la loro, pregare 5 volte al giorno, fare l’elemosina, il Ramadan, fare
pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita. Il loro giorno festivo
cade venerdì, quinto giorno della settimana.
6 il numero
dell’ebraismo, la loro stella a sei punte, il loro giorno sacro cade al sesto
giorno della settimana, sabato. Anche i multipli del 6 vedono largo uso. Per
citarne un esempio, le 12 tribù di Israele.
7 il numero
cristiano. La forma di come è scritto ricorda una croce; il giorno sacro il
settimo della settimana, domenica. I multipli di 7 si usano nel Vangelo,
esempio perdona settanta volte sette...
Ora comincia
la riflessione della guida sulle religioni orientali il cui simbolo
dell’infinito altro non è che un 8 rovesciato, la cui simbologia non fa che
ripetere il ciclo della vita. Non a caso credono nella reincarnazione.
Ma 8 è numero
che va oltre quelli della settimana, quindi al di là della vita.
Wow.
Reza è molto orgoglioso della sua
scoperta.
Continuiamo la visita dalle terrazze
della kasbah, da cui osserviamo le altre strutture che ci circondano e il fiume
ormai è asciutto da un paio di anni.
Mentre parla del fiume un'ombra
attraversa il suo volto, un ragazzo che non so se arriva a quarant'anni. In
realtà non svolge questo lavoro in modo esclusivo, lui sarebbe un contadino, ma
se il fiume è asciutto...
Tra le altre cose qui hanno girato
diversi film tra cui Lawrence d’Arabia, la serie Hanna e molto altro, a noi
sconosciuto.
Salutiamo il simpaticissimo comico
contadino, un po' dispiace andare via, anche se non vedo l'ora di arrivare in
hotel.
Non ci mettiamo molto, giusto 5 minuti,
giriamo in una strada sterrata che si infila in un villaggio di fango, con muri
e case di fango.
E qui mi ritorna in mente Maria,
capogruppo nel viaggio in Kazakistan. Ci dovevano portare sul mar Caspio e
siamo finiti in una discarica accanto ad una raffineria petrolifera. In
quell’occasione esclamò circa queste parole: “Mandocazzo ce sta’apporta’???”
Il dubbio atroce per fortuna dura poco e
arriviamo in un hotel fatto a forma di kasbah con piscina e dove ceneremo e
avremo la miglior colazione di tutto il viaggio.