Aspettavo che la maledizione mi colpisse e alla fine l’ha fatto: l’ansia. Che bruta bestia.
Sono partito titubante per il capoluogo toscano, temendo di tutto: dall’esondazione dell’Arno, alla periostite, ai calcoli renali, a svariate contratture, alle cavallette, alle sette vacche magre fino alla rielezione dei 5S.
Per tutta la settimana prima della gara sono stato afflitto da una grande stanchezza, ma nonostante ciò ho completato la tabella del capitano fino alla fine. Mai successo prima. Sabato ero a Firenze, distrutto.
La notte però mi concede un po’ di riposo, almeno fino alle cinque, quando mi sveglio per il rumore della pioggia. Inutile dire che così l’ansia mi assale.
Con essa inizia a farmi male una coscia. Un vecchio infortunio che chissà come è risorto proprio oggi dalle ceneri degli ultimi massaggi.
Memore dalla sofferenza provata nella gara dell’anno scorso inizio a chiedermi: ma chi me lo fa fare? Perché?
Provo a dire a Cassandra che quasi quasi non corro e lei dal dormiveglia mugogna qualcosa del tipo: "se non esci te pisto come l’uva passa."
Sa usare degli argomenti molto convincenti. Esco. Tanto peggio di così, cosa potrebbe succedere? Potrebbe piovere? No, piove già.
Esco tardi per evitare un pochino di acqua e mi metto in griglia alle 8. Manca solo mezzora, poi si parte. Purtroppo le paranoie mi mostrano cose che non vorrei vedere... Tipo che tornerò zoppicante in camera un paio d'ore prima del previsto...
Per fortuna in griglia incontro Roberto e con lui mi distraggo. Il tempo vola fino alla partenza, quando però lo perdo subito nella folla.
Bastano poche centinaia di metri e inizio a prendere velocità. Va be', mi dico: giusto per togliermi dall'ingorgo della partenza.
Giunto sulle strade più ampie però mi viene naturale mantenerla. Al primo biscotto vedo Renzo dall’altra parte che viaggia spedito e gli caccio un urlo di incitamento, poi proseguo sempre sostenuto.
Sono un po’ euforico perché con questa velocità sto seminando l’ansia. Quell'animaccia è dura a morire e di tanto in tanto prova a farsi viva: ho appena superato i palloncini delle 3 ore e 45 quando dall’altra parte vedo quelli delle 4 ore.
Ma com'è possibile? Non dovrebbero stare dietro di me?
Per non sentire le scimmie urlatrici che nella mia testa mi dicono che sto sbagliando tutto, mi rivolgo a quello che ho a fianco facendogli notare la stranezza.
Questo mi guarda e non mi risponde neanche.
Mi viene il dubbio che non abbia capito, sarà svizzero?
Poi sempre dall’altra parte vedo i palloncini delle 4:15 e poco lontano quelli delle 4:30.
Sono io lo svizzero! Dall’altra parte del biscotto dove prima c'era Renzo ora ci sono io! Con un calcio figurato ricaccio l’ansia, le scimmie urlatrici, tutti i Filistei e proseguo sempre più euforico.
Arrivo al Parco delle Cascine e mi rendo conto che forse sono troppo euforico. Ma io sono contento. Corro con un sorriso stampato in faccia. Il sorriso del miracolato che fino a pochi minuti prima era dato per spacciato e poi scopre di poter fare ancora qualche km da morto.
Cerco di darmi una calmata e per abbassare la temperatura mi viene in aiuto la pioggia, che si fa un pochino più intensa. Forse a causa del raffreddamento, forse perché nei primi km ho accelerato troppo, ma inizio a sentire un leggero affanno. Troppo presto. Mangio il primo fruttino e rallento, anche se di poco. L'ansia mi riacciuffa.
Ora la pioggia mi dà fastidio, invece di smettere è leggermente aumentata. Mi fa venire in mente il supplizio dell’anno scorso, solo che era iniziato molto più avanti.
Stringo i denti e infilo il lungo rettilineo finale del parco delle cascine. Ogni tanto qualcuno mi si affianca e mi fa i complimenti per il cappello, anche il pubblico eroico sotto la pioggia mi indica spesso. È il mio portafortuna, ma è anche una sorta di doping: quando ne ho bisogno guardo la gente che guarda il cappello e poi mi indica o sorride e mi saluta. Pure fuel.
Ora sono sull’Arno e, anche se pensavo di aver abbassato la velocità, in realtà non l’ho fatto quasi per niente.
Al diciottesimo butto giù un altro gel, quasi mi ingozzo per la fame. Per lo meno mi tappa un buchetto e mi fa arrivare tranquillo a Ponte Vecchio dove, nascosta tra mille omoni e donnone, spunta la manina saltellante di Cassandra. La vedo solo all’ultimo ma la sento bene, almeno fino al trentesimo rimarrà nella mia testa a farmi compagnia.
Il ritmo ondeggia, ma di poco, la media è abbastanza in linea con quella della partenza. Alla mezza credo di essere passato sull’ora e 44'. Togliendo qualcosa del real time direi che non sono mai andato così forte in maratona.
Calma e respira. Continua a respirare e pensa che questo era solo il riscaldamento: la gara inizia adesso.
Intorno al 26 esimo chilometro, lungo lo stradone che porta alla desolazione di Smaug che sta attorno allo stadio, nella zona di Campo di Marte, vengo preso da un po' di solitudine.
C'era un tizio che mi superava sempre con facilità, solo che poi lo trovavo fermo ai ristori ad aspettare i suoi compagni, che fino alla fine hanno fatto come Godot...
Inizio allora a scambiare qualche parola e scherzare con un anconetano, il quale ovunque va a correre trova pioggia (gli ho chiesto di scrivermi dove farà la prossima maratona così non mi ci iscriverò).
In fondo vediamo i palloncini delle 3 ore e trenta e cominciamo a fantasticare su quanto ci metteremo a prenderli, su quale tempo potremmo concludere la gara, su cosa gli diremo quando li supereremo in agilità. Quando iniziamo a vaneggiare su un possibile podio, ci rendiamo conto di essere preda dell'euforia e ricominciamo a correre scoprendo di essere a Campo di Marte.
Passo sotto il maledetto cavalcavia, dove l'anno scorso venni quasi congelato dal vento. Stavolta trovo solo un tizio con la maglietta rossa ed una croce bianca.
Mi affianco e lo vedo un pochino in difficoltà, così per scherzare faccio il verso alla pubblicità della cioccolata:
- Svizzero?
Mi aspettavo che dicesse - No! Novi!
Invece mi risponde paonazzo, ma sorridente con lieve accento - Sì, di Berna!
Manco le battute mi vengono... Lo svizzero sono sempre io...
Ora non mi ricordo nulla di Berna per poterci scherzare. L'unica assonanza che mi fa nascere è con il trenino rosso del Bernina, ma temo di scadere nel banale. Metti che poi mi scambia per Gervasoni e mi spara come Huber. "Non si può scherzare sul trenino del Bernina!"
Per sicurezza me ne vado dicendogli - Salutami Guglielmo!
Allo stadio di atletica raggiungo finalmente coloro che ho inseguito vanamente per quattro anni: i palloncini delle tre ore e trenta.
Li saluto, mi accodo un pochino e poi ecco il maledetto cavalcavia. I pacer iniziano a urlare incitamenti. Io abbasso la testa e tiro dritto. Li semino in discesa dove ritrovo l'anconetano. Non ha troppa voglia di parlare così lo lascio tranquillo, anzi mi distanzia un pochino.
Ormai si rientra verso il centro.
Dopo qualche chilometro il percorso inizia a diventare intricato, con molte curve e il lastricato bagnato.
Per fortuna le alette acchiappa sguardi continuano a sostenermi, manca poco. Cassandra mi ha chiamato dicendomi che è al trentanovesimo km, vediamo se riesco a vederla anche stavolta, ne avrei proprio bisogno.
Il passaggio sotto il Duomo indica che manca poco, forse quattro chilometri, così butto giù l'ultimo gel per lo sprint finale. Il percorso però si fa ancora più stretto e affollato.
Scopro che i veri palloncini delle tre ore e trenta sono davanti a me. Quelli rimasti indietro infatti mi raggiungono e si uniscono al gruppone. C'è troppa gente, non va bene.
Per fortuna loro sono più avanti di una ventina di metri...
Per fortuna loro sono più avanti di una ventina di metri...
Quando sto per entrare nel finale mi rendo conto che ormai la pioggia non la sento più: il clima è fantastico, la gente incita, anche se c'è sempre qualcuno che tenta di attraversare la strada proprio quando passo io...
Sarà, ma a causa delle curve e dell'affollamento, sia di pubblico che di runner, temo di aver rallentato un pochino. Forse se riesco a tenere il passo dei palloncini potrebbe bastarmi per portarla a casa.
Il trentottesimo passa, sotto gli Uffizi arriva anche il trentanovesimo ma di Cassandra non ci sono tracce.
Sto per arrivare al quarantesimo ed eccola li a saltare come se fosse su un tappeto elastico.
Ok, adesso posso finire quello che ho cominciato. Portiamo a casa sta garetta.
Sul lungarno riprendo il gruppone dei palloncini, ma non li supero. Vanno alla mia velocità e c'è tutto lo spazio che voglio.
Quando si rientra nei vicoli però l'aria cambia: si fa più pesante. Siamo troppi e in pochissimo spazio. Aumento la velocità ma lo fanno anche i pacer. Non contenti si mettono a cacciare urla lancinanti per incitare chi li vuole seguire fino alla fine. Per carità! Famme passà! Cerco un pertugio ma non lo trovo fino alla parallela di via dei Calzaiuoli, quando accelero.
Non mi è rimasta molta benzina nel serbatoio e sento i crampi a fior di pelle, ma il frastuono del pubblico che incita, e soprattutto le urla dei palloncini che diventano sempre più lontane man mano che accelero, sono un anestetico perfetto.
Ecco Piazza della Signoria e Via dei Calzaiuoli. Accelero ancora, che me frega, ciò il diesel!
Proprio prima della curva sento delle urla famigliari: Mauro mi chiama a squarcia gola e io ricambio con quel poco che mi rimane, lo indico sorridendo e tiro dritto verso il curvone finale, dove a sua volta qualcuno mi indica. In preda all'esaltazione alzo le mani per dire "DAI! DAI! DAI! Fatemi sentire un po' di casino".
Giro l'angolo e sul tabellone lampeggiano ancora loro: 3:29:44
Ossignur! Ho pochi secondi!
Dai.
3:29:50
DAI
3:29:56
L'anno scorso al traguardo ho cacciato un urlo. Stavolta non riesco, devo piangere, non riesco a fare altro, se non un pochino di stretching, sempre mentre piango.
Alla fine il real time è di 3:27:05
Quello che cinque anni fa, quando iniziai a correre, era solo un sogno inarrivabile, si è realizzato. Sta diventando un'abitudine anche se so che non durerà...
Sarà l'esaltazione del momento, ma sono così felice che mi viene in mente Mel Brooks nei panni del Re di Francia quando dice: "è bello essere me".
Quattro anni fa a Firenze furono 4 ore e 12 minuti.
E ho detto tutto.
Anzi no, non ho ancora detto tutto: ne devo fare ancora tanti di chilometri prima di dire tutto.