martedì 27 novembre 2018

Maratona di Firenze 2018

Aspettavo che la maledizione mi colpisse e alla fine l’ha fatto: l’ansia. Che bruta bestia.
Sono partito titubante per il capoluogo toscano, temendo di tutto: dall’esondazione dell’Arno, alla periostite, ai calcoli renali, a svariate contratture, alle cavallette, alle sette vacche magre fino alla rielezione dei 5S.
Per tutta la settimana prima della gara sono stato afflitto da una grande stanchezza, ma nonostante ciò ho completato la tabella del capitano fino alla fine. Mai successo prima. Sabato ero a Firenze, distrutto.
La notte però mi concede un po’ di riposo, almeno fino alle cinque, quando mi sveglio per il rumore della pioggia. Inutile dire che così l’ansia mi assale.
Con essa inizia a farmi male una coscia. Un vecchio infortunio che chissà come è risorto proprio oggi dalle ceneri degli ultimi massaggi.
Memore dalla sofferenza provata nella gara dell’anno scorso inizio a chiedermi: ma chi me lo fa fare? Perché? 
Provo a dire a Cassandra che quasi quasi non corro e lei dal dormiveglia mugogna qualcosa del tipo: "se non esci te pisto come l’uva passa."
Sa usare degli argomenti molto convincenti. Esco. Tanto peggio di così, cosa potrebbe succedere? Potrebbe piovere? No, piove già.
Esco tardi per evitare un pochino di acqua e mi metto in griglia alle 8. Manca solo mezzora, poi si parte. Purtroppo le paranoie mi mostrano cose che non vorrei vedere... Tipo che tornerò zoppicante in camera un paio d'ore prima del previsto...
Per fortuna in griglia incontro Roberto e con lui mi distraggo. Il tempo vola fino alla partenza, quando però lo perdo subito nella folla.
Bastano poche centinaia di metri e inizio a prendere velocità. Va be', mi dico: giusto per togliermi dall'ingorgo della partenza.
Giunto sulle strade più ampie però mi viene naturale mantenerla. Al primo biscotto vedo Renzo dall’altra parte che viaggia spedito e gli caccio un urlo di incitamento, poi proseguo sempre sostenuto.
Sono un po’ euforico perché con questa velocità sto seminando l’ansia. Quell'animaccia è dura a morire e di tanto in tanto prova a farsi viva: ho appena superato i palloncini delle 3 ore e 45 quando dall’altra parte vedo quelli delle 4 ore.
Ma com'è possibile? Non dovrebbero stare dietro di me?
Per non sentire le scimmie urlatrici che nella mia testa mi dicono che sto sbagliando tutto, mi rivolgo a quello che ho a fianco facendogli notare la stranezza.
Questo mi guarda e non mi risponde neanche.
Mi viene il dubbio che non abbia capito, sarà svizzero? 
Poi sempre dall’altra parte vedo i palloncini delle 4:15 e poco lontano quelli delle 4:30.
Sono io lo svizzero! Dall’altra parte del biscotto dove prima c'era Renzo ora ci sono io! Con un calcio figurato ricaccio l’ansia, le scimmie urlatrici, tutti i Filistei e proseguo sempre più euforico.
Arrivo al Parco delle Cascine e mi rendo conto che forse sono troppo euforico. Ma io sono contento. Corro con un sorriso stampato in faccia. Il sorriso del miracolato che fino a pochi minuti prima era dato per spacciato e poi scopre di poter fare ancora qualche km da morto.
Cerco di darmi una calmata e per abbassare la temperatura mi viene in aiuto la pioggia, che si fa un pochino più intensa. Forse a causa del raffreddamento, forse perché nei primi km ho accelerato troppo, ma inizio a sentire un leggero affanno. Troppo presto. Mangio il primo fruttino e rallento, anche se di poco. L'ansia mi riacciuffa. 
Ora la pioggia mi dà fastidio, invece di smettere è leggermente aumentata. Mi fa venire in mente il supplizio dell’anno scorso, solo che era iniziato molto più avanti.
Stringo i denti e infilo il lungo rettilineo finale del parco delle cascine. Ogni tanto qualcuno mi si affianca e mi fa i complimenti per il cappello, anche il pubblico eroico sotto la pioggia mi indica spesso. È il mio portafortuna, ma è anche una sorta di doping: quando ne ho bisogno guardo la gente che guarda il cappello e poi mi indica o sorride e mi saluta. Pure fuel.
Ora sono sull’Arno e, anche se pensavo di aver abbassato la velocità, in realtà non l’ho fatto quasi per niente.
Al diciottesimo butto giù un altro gel, quasi mi ingozzo per la fame. Per lo meno mi tappa un buchetto e mi fa arrivare tranquillo a Ponte Vecchio dove, nascosta tra mille omoni e donnone, spunta la manina saltellante di Cassandra. La vedo solo all’ultimo ma la sento bene, almeno fino al trentesimo rimarrà nella mia testa a farmi compagnia.
Il ritmo ondeggia, ma di poco, la media è abbastanza in linea con quella della partenza. Alla mezza credo di essere passato sull’ora e 44'. Togliendo qualcosa del real time direi che non sono mai andato così forte in maratona. 
Calma e respira. Continua a respirare e pensa che questo era solo il riscaldamento: la gara inizia adesso.
Intorno al 26 esimo chilometro, lungo lo stradone che porta alla desolazione di Smaug che sta attorno allo stadio, nella zona di Campo di Marte, vengo preso da un po' di solitudine. 
C'era un tizio che mi superava sempre con facilità, solo che poi lo trovavo fermo ai ristori ad aspettare i suoi compagni, che fino alla fine hanno fatto come Godot...
Inizio allora a scambiare qualche parola e scherzare con un anconetano, il quale ovunque va a correre trova pioggia (gli ho chiesto di scrivermi dove farà la prossima maratona così non mi ci iscriverò). 
In fondo vediamo i palloncini delle 3 ore e trenta e cominciamo a fantasticare su quanto ci metteremo a prenderli, su quale tempo potremmo concludere la gara, su cosa gli diremo quando li supereremo in agilità. Quando iniziamo a vaneggiare su un possibile podio, ci rendiamo conto di essere preda dell'euforia e ricominciamo a correre scoprendo di essere a Campo di Marte.
Passo sotto il maledetto cavalcavia, dove l'anno scorso venni quasi congelato dal vento. Stavolta trovo solo un tizio con la maglietta rossa ed una croce bianca.
Mi affianco e lo vedo un pochino in difficoltà, così per scherzare faccio il verso alla pubblicità della cioccolata:
- Svizzero?
Mi aspettavo che dicesse - No! Novi!
Invece mi risponde paonazzo, ma sorridente con lieve accento - Sì, di Berna!
Manco le battute mi vengono... Lo svizzero sono sempre io...
Ora non mi ricordo nulla di Berna per poterci scherzare. L'unica assonanza che mi fa nascere è con il trenino rosso del Bernina, ma temo di scadere nel banale. Metti che poi mi scambia per Gervasoni e mi spara come Huber. "Non si può scherzare sul trenino del Bernina!"
Per sicurezza me ne vado dicendogli - Salutami Guglielmo!
Allo stadio di atletica raggiungo finalmente coloro che ho inseguito vanamente per quattro anni: i palloncini delle tre ore e trenta.
Li saluto, mi accodo un pochino e poi ecco il maledetto cavalcavia. I pacer iniziano a urlare incitamenti. Io abbasso la testa e tiro dritto. Li semino in discesa dove ritrovo l'anconetano. Non ha troppa voglia di parlare così lo lascio tranquillo, anzi mi distanzia un pochino.
Ormai si rientra verso il centro. 
Dopo qualche chilometro il percorso inizia a diventare intricato, con molte curve e il lastricato bagnato.
Per fortuna le alette acchiappa sguardi continuano a sostenermi, manca poco. Cassandra mi ha chiamato dicendomi che è al trentanovesimo km, vediamo se riesco a vederla anche stavolta, ne avrei proprio bisogno.
Il passaggio sotto il Duomo indica che manca poco, forse quattro chilometri, così butto giù l'ultimo gel per lo sprint finale. Il percorso però si fa ancora più stretto e affollato.
Scopro che i veri palloncini delle tre ore e trenta sono davanti a me. Quelli rimasti indietro infatti mi raggiungono e si uniscono al gruppone. C'è troppa gente, non va bene.
Per fortuna loro sono più avanti di una ventina di metri...
Quando sto per entrare nel finale mi rendo conto che ormai la pioggia non la sento più: il clima è fantastico, la gente incita, anche se c'è sempre qualcuno che tenta di attraversare la strada proprio quando passo io...
Sarà, ma a causa delle curve e dell'affollamento, sia di pubblico che di runner, temo di aver rallentato un pochino. Forse se riesco a tenere il passo dei palloncini potrebbe bastarmi per portarla a casa.
Il trentottesimo passa, sotto gli Uffizi arriva anche il trentanovesimo ma di Cassandra non ci sono tracce.
Sto per arrivare al quarantesimo ed eccola li a saltare come se fosse su un tappeto elastico.
Ok, adesso posso finire quello che ho cominciato. Portiamo a casa sta garetta.
Sul lungarno riprendo il gruppone dei palloncini, ma non li supero. Vanno alla mia velocità e c'è tutto lo spazio che voglio.
Quando si rientra nei vicoli però l'aria cambia: si fa più pesante. Siamo troppi e in pochissimo spazio. Aumento la velocità ma lo fanno anche i pacer. Non contenti si mettono a cacciare urla lancinanti per incitare chi li vuole seguire fino alla fine. Per carità! Famme passà! Cerco un pertugio ma non lo trovo fino alla parallela di via dei Calzaiuoli, quando accelero. 
Non mi è rimasta molta benzina nel serbatoio e sento i crampi a fior di pelle, ma il frastuono del pubblico che incita, e soprattutto le urla dei palloncini che diventano sempre più lontane man mano che accelero, sono un anestetico perfetto.
Ecco Piazza della Signoria e Via dei Calzaiuoli. Accelero ancora, che me frega, ciò il diesel!
Proprio prima della curva sento delle urla famigliari: Mauro mi chiama a squarcia gola e io ricambio con quel poco che mi rimane, lo indico sorridendo e tiro dritto verso il curvone finale, dove a sua volta qualcuno mi indica. In preda all'esaltazione alzo le mani per dire "DAI! DAI! DAI! Fatemi sentire un po' di casino".
Giro l'angolo e sul tabellone lampeggiano ancora loro: 3:29:44
Ossignur! Ho pochi secondi! 
Dai.
3:29:50
DAI
3:29:56
Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta! 
L'anno scorso al traguardo ho cacciato un urlo. Stavolta non riesco, devo piangere, non riesco a fare altro, se non un pochino di stretching, sempre mentre piango.
Alla fine il real time è di 3:27:05
Quello che cinque anni fa, quando iniziai a correre, era solo un sogno inarrivabile, si è realizzato. Sta diventando un'abitudine anche se so che non durerà... 
Sarà l'esaltazione del momento, ma sono così felice che mi viene in mente Mel Brooks nei panni del Re di Francia quando dice: "è bello essere me".
Quattro anni fa a Firenze furono 4 ore e 12 minuti. 
E ho detto tutto. 
Anzi no, non ho ancora detto tutto: ne devo fare ancora tanti di chilometri prima di dire tutto.







giovedì 22 novembre 2018

Aspettando Firenze 2018

Mancano pochissimi giorni alla maratona di Firenze. Dati i miei trascorsi mi guardo in giro chiedendomi quando arriverà a colpirmi la solita maledizione pre-gara. Abitualmente si presenta nelle settimane che precedono la maratona, condizionandole e facendomele vivere con ansia e agitazione, come se non fossi già abbastanza preoccupato...
Temo che se continua a temporeggiare così finirà per raggiungermi durante la gara, probabilmente il momento peggiore. L'unica soluzione sarebbe quella di correre più veloce della sfiga: una bella impresa per un polentone come me. 
Questa sarà la mia ottava maratona. Se mi guardo indietro faccio fatica a ricordare quando è iniziato tutto questo. Per lo meno sono certo che nel momento in cui decisi di cominciare a correre, non avrei mai immaginato che un giorno mi ci sarei impegnato così tanto.
Certo i risultati sono quelli che sono, come il fisico e l'età, ma si fa quel che si può, cercando di non mollare, cercando di alzare un pochino alla volta l'asticella per vedere se ce la faccio, per vedere se...
Ora che ci penso non so veramente perché lo faccio. Forse, in fondo, in fondo, sogno sempre di fare qualcosa che ho sempre anelato di riuscire a portare a termine, ma in cui non credevo nemmeno io veramente. Del resto che cos'è un sognatore se non qualcuno che vive di fantasie, rincorrendo la felicità pur sapendo che a volte è irraggiungibile?
A furia di rincorrere i miei sogni tre anni fa sono arrivato a Roma. Avevo già fatto tre maratone, ma tutte con una preparazione del tipo "io speriamo che me la cavo". In pratica ero come i primi astronauti: sapevo che sarei partito, ma non se sarei arrivato...
Il mio personale era di 4 ore e 12 minuti. Tra i compagni milanesi non ero il peggiore, anzi, lo consideravo un tempo di tutto rispetto. Conoscevo già gente che chiudeva i 42 km con tempi più o meno variabili attorno alle 3 ore e 30 minuti, ma li consideravo quasi dei pazzi che correvano per stare male, non per stare bene.
A Roma ho dovuto ricominciare tutto da capo. Da solo. Però mi consolavo con il parco più bello che ci sia per correre.
Poi una domenica mattina mi sono presentato al parco, alle sette passate, dove c'era un gruppetto di ragazzi che stava per iniziare a correre. Dopo qualche momento di esitazione sono partiti, lasciandomi lì da solo. Mi son guardato in giro e li ho rincorsi, chiedendo se potevo unirmi a loro. 
Ho iniziato così a conoscere Aldo, poi Federico, poi Luciano, Flavio e pian piano tutti gli altri.
Domenica dopo domenica sono tornato, quando potevo, poi anche quando non potevo.
A sentire i tempi del gruppo mi son detto che se correvo con loro avrei potuto migliorare un pochino, per lo meno avrei potuto continuare a sognare di farlo. 
Diciamo che non ho smesso di sognare. Inoltre il divertimento è aumentato.
Domenica farò per la quarta volta Firenze. Cercherò di alzare ancora un pochino l'asticella, tentando di avvicinarmi un pochino a quelle 3 ore 30 che un tempo vedevo come un traguardo irraggiungibile, un sogno.
Sarà, ma da quando sono arrivato a Roma di sogni ne ho realizzati tanti, chissà che prima o poi non possa aggiungerne un altro alla lista...

lunedì 12 novembre 2018

Tre anni


Tre anni? Minchia tre anni!
Il tempo sull'isola del film mediterraneo è trascorso in fretta, quasi quanto per me nell'isola capitolina.
Se mi guardo indietro mi pare ieri che vivevo e lavoravo a Milano, ma poi ripenso al tempo trascorso a Roma con Cassandra e mi sembra di essere sempre stato con lei, anche da prima di conoscerla. Un paradosso temporale, qualcosa che non mi so spiegare, ma che non ho nemmeno voglia di cercare di comprendere, mi va bene così.
Tre anni sono tanti e le cose che sì potrebbero fare in questo lasso di tempo sono moltissime, ma io che mi sono sempre considerato una persona pigra, sono riuscito a farne molte di più di quelle che pensavo fosse possibile fare. Non sono rimasto ad aspettare sull'isola che la guerra finisse nascondendomi. Animato da una nuova forza mi sono come svegliato da un torpore che durava da quasi tutta la vita.
Ho viaggiato, corso, lavorato (sì pure questo tantissimo), sognato e realizzato cose che voi romani e milanesi non potete nemmeno immaginare. 
Non starò qui a fare la solita lista di ciò che ho concluso o delle batoste che ho preso, anche perché tutto ciò che mi capita prima o poi finisco per inserirlo in qualche storia che poco alla volta diventa un romanzo, per cui non c'è pericolo di perdersi qualcosa di interessante.
Tutto qui insomma, il viaggio continua a vele spiegate, verso una meta che ancora non esiste, verso un luogo che non so dove sia, come dice uno dei miei autori preferiti, Steven Wilson:
"Arrivando da qualche parte, ma non qui..."
Effettivamente se solo a Roma c'è così tanto da fare e vedere, chissà nel resto del mondo... ed io non voglio fermarmi, finché ce la faccio, finché posso, finché...
Qui di seguito metto solo alcune delle foto dei posti visitati, ma di cui non ho ancora trovato il tempo di scrivere sul blog:

La porta alchemica
Il porto di Traiano

 Villa Farnese a Caprarola



Il museo dell'alto Medioevo all'Eur

 Le terme di Caracalla di notte



















Il tempietto del Bramante


 Ostia antica












 

La nave dell'isolaTiberina


 La ninfa egeria











 

Il colosseo quadrato




Il sepolcro di Priscilla















 

Il mausoleo di Annia Regilla


 L'Appia antica

martedì 6 novembre 2018

Giorno 10 - Il volo di rientro - più veloci del vento



Stamattina si riparte per casa. Non c'è stato tempo di salutare gli altri perché alle 5:30 eravamo già in reception ad aspettare un Uber, per cui l'abbiamo fatto ieri sera dopo la passeggiata post cena.

Ci imbarchiamo senza problemi, almeno finché non scopriamo che durante il primo volo per Sao Paulo io e Cassandra non saremo vicini ma uno davanti all'altra. La tizia della compagnia aerea ha fatto casino.

Poco male, il volo non durerà molto, anche qui gli alisei faranno la magia di diminuirne la durata di un'ora.

Quando però ci imbarchiamo per Roma e controllo i posti mi salta la mosca al naso: siamo ancora lontani? Cassandra è su un corridoio mentre io sull'altro.





Inizio ad inveire contro la tizia che ci ha fatto i biglietti. Lo faccio a voce alta e in italiano, tanto sull'aereo parlano tutti portoghese o spagnolo, chi vuoi che mi capisca?

Proprio mentre sto dicendo a Cassandra:


-Ma ti rendi conto? C'è l'aereo mezzo vuoto e sta figlia “dell'antica città greca assediata ed espugnata per mezzo di un cavallo di legno” ci ha messo lontani!!!;

Appena pronuncio il nome dell'antica città greca, sbuca da un sedile occupato il volto velato di una suora.

Spaventata alza subito lo sguardo per vedere se ce l'avevo con lei.

Mi sa che conosce l'italiano.

Per fortuna quando troviamo i posti scopriamo che anche se su due corridoi differenti siamo entrambi nei sedili centrali, quindi vicini.

Mentre cerco di addormentarmi sugli scomodi sedili dell'aereo, ripenso al viaggio che si è appena concluso. È stato strano per essere di Avventure nel Mondo. Di solito i suoi piani di volo sono pessimi, in più quasi ogni giorno è caratterizzato da molte ore di viaggio da un luogo all'altro, a volte perfino dodici. In questi momenti però ho sempre trovato il tempo per scrivere le mie impressioni, i miei pensieri e quello che è successo nel viaggio. Va da sé che alla fine della vacanza di solito ho già scritto il novanta per cento del mio diario, che in certi casi ha superato perfino le ottanta pagine.

Ora mi rendo conto che non ho scritto quasi nulla.

Stavolta mi riporto il lavoro a casa, chissà quando finirò di scrivere e di pensare a Rapa Nui, già mi manca.




lunedì 5 novembre 2018

Giorno 9 - Palazzo de La Moneda e cambio della guardia – La Chascona - Collina di San Cristobal - Ultima corsa per Santiago - Ultima cena


Ultimo giorno a Santiago. Come prima tappa ci aspetta il palazzo de La Moneda con il cambio della guardia. È la residenza del presidente della repubblica, il palazzo da cui Salvador Allende tentò l'ultimo discorso prima che venisse bombardato sia da terra che dal cielo, e dove si suicidò per non farsi prendere vivo dal golpe di Pinochet.
Dopo la classica cerimonia ci dirigiamo verso una delle case di Pablo Neruda. Diventata museo da non molto, venne fatta costruire dal poeta a partire dagli anni 50 e dove visse con l'amante Matilde Urrutia. Chiamò questa La Chascona proprio in riferimento ai capelli dell'amata, che erano sempre spettinati.
La casa è carina, con molte stanze costruite in modo e stile particolare, nonché molto lussuose per l'epoca. C'era perfino un passaggio segreto simpatico.
Subito dopo il golpe di Pinochet, essendo Neruda era molto vicino al presidente Allende, la casa venne assaltata e vandalizzata dai sostenitori del nuovo regime.
Solo dopo diversi anni Matilde riuscì a restaurarla come doveva essere un tempo, fino a farla diventare museo.
Dalla Chascona la prossima tappa non è molto distante, basta fare qualche centinaio di metri verso la collina di San Cristobal, praticamente una montagnetta al centro della città.
Anche qui c'è un bell'ascensore/funivia che sale fino in cima, da dove si può ammirare il panorama e l'avanguardia della Cordigliera, con le zone più alte ancora lievemente imbiancate dalla neve.
Purtroppo c'è molta foschia e non riusciamo a godere a pieno del panorama. Poco male, io e Cassandra ci guardiamo negli occhi: andranno meglio le prossime volte. Già sappiamo che torneremo in Cile, probabilmente proprio in questa città: direzione Patagonia e Atacama.
Dopo un altro po' di shopping ed esplorazione sulla montagnola, che volendo necessiterebbe una buona mezza giornata, ridiscendiamo con la teleferica e riattraversiamo il Barrio per tornare a casa.
Questa sera mi aspetta l'ultima corsa per Santiago, un po' mi dispiace, ma d'altro canto non vedo l'ora di tornare a calcare le strade ed i sentieri del Parco degli Acquedotti.
Per continuare con la tradizione che se c'è un cane stronzo in tutta Santiago lo dovevo pur incontrare, presto detto e presto fatto. Sto per ultimare la corsa nel parco, così per cambiare un po' il giro mi addentro nella parte dove il sentiero diventa più sinuoso e le panchine sono numerose, ma quasi tutte occupate da gente che chiacchiera o pomicia.
Con più gente ci sono anche più cani liberi in cerca di qualcosa. Venti metri avanti a me c'è un ciclista. Non faccio in tempo a pensare ai cani della Bolivia che abbaiavano ed inseguivano qualunque cosa avesse le ruote, che ne arriva uno e si avventa sul ciclista.
Questo rallenta ma poi riesce a seminarlo, lasciandomi in consegna il quadrupede che, vedendomi sopraggiungere di corsa forse pensa che sia un suo compagno. Inizia ad abbaiarmi e minacciosamente si dirige a testa bassa verso di me. Su una panchina lì accanto c'è un tizio che non fa mezzo fiato e si gode lo spettacolo sgranocchiando noccioline.
Memore dei miei trascorsi incontri ravvicinati con canidi del terzo tipo, abbasso le mani mostrando i palmi e mi fermo. Il cane abbaia ancora un paio di volte, poi mi viene vicino incuriosito e invece di prendere le mie mani per salsicce le annusa, inizia a scodinzolare e poi ci infila sotto la testa in cerca di qualche carezza. Io non mi faccio pregare e lo accontento deludendo lo spettatore che in un gesto di disappunto strizza le noccioline facendone schizzare qualcuna, attirando però l'attenzione del mio nuovo amico quadrupede.
La sera a cena usciamo per provare la pizza cilena, giusto per stare assieme almeno quest'ultima volta.
Più che pizza era una piadina, ma almeno ci ho fatto mettere dell'avocado buonissimo sopra che le ha regalato un gusto particolare e fresco. Un sueño.