mercoledì 26 luglio 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 1

Prima che inizi a raccontare come è andata, se siete di Milano e andate da quelle parti, attenzione a come vi rivolgete ai sudafricani. Lo dico perché a casa mia quando devi mandare qualcuno simpaticamente a quel paese gli si dice
Ma va a ciapà i ratt!
In Africa, e se ti scappa questa frase, la gente potrebbe capire
Va a ciapà i rand!
Ovvero “vai a prelevare la moneta in uso nel paese del Sudafrica”.
A noi il terzo giorno di viaggio è capitato qualcosa di simile, quindi usate questa frase con parsimonia.

Giorno 1 - Roma - Dubai - Cape Town


Era da più di una settimana che stavamo in tensione, ma non solo per il viaggio: Cassandra, profetessa dell'ordine delle Trite Cariatidi, due giorni prima di partire si doveva laureare in storia della profezia. La tesi era sul profeta Sergio Zarathustra e su tutte le sue profezie che hanno influenzato i profeti successivi.
La tesi è andata bene, ora Cassandra è una profetessa laureata con 110 e lode. Lo aveva anche profetizzato.
Giusto il tempo di festeggiare con una pizza e l'ansia per il viaggio torna ad alzare l'asticella. Insomma, si dorme poco.
Partiamo per Fiumicino già un pochino intontiti, e ancora molto ansiosi.
All'aeroporto incontriamo i primi compagni di viaggio: Caterina e Stefano, una coppia di Firenze, e poi Pietro, cagliaritano Doc.
Il primo volo parte quasi in orario e in circa sei ore atterriamo a Dubai, dove sono le 23.30. Fuori, nonostante l'orario ci sono trentasei gradi, chissà di giorno.
Scopriamo solo allora che i nostri compagni di viaggio milanesi non sono ancora arrivati. Pare che a causa di problemi con l'aereo non siano nemmeno partiti. Solo più tardi, durante l'attesa del secondo volo, scopriamo che vengono riprotetti su un altro aereo, decollato alla volta del Sudafrica poco prima del nostro.
Per fortuna il capogruppo Pierluigi ci comunica i contatti dell'autista e dell'hotel per quando arriveremo a Città del Capo.
Tra le tre e le quattro del mattino ci imbarchiamo anche noi. Durante il trasbordo, dato che nel bagaglio a mano non ci stava, sono costretto ad indossare la giacca a vento. Purtroppo per salire sulla navetta dobbiamo uscire all'esterno.
Poco male, ormai siamo sullo shuttle, un paio di minuti e saremo seduti sull'aereo.
Invece no. La navetta supera tutti gli aerei visibili in pista, poi passa ad un altro terminal, dove ci sono decine di altri velivoli, ma nemmeno qui si ferma.
Sembra di essere finiti nel film di Fantozzi, quando col gruppo pensionati capeggiati da Filini, salgono sullo shuttle e si fanno tutto l'aeroporto prima di scoprire che non hanno un aereo, ma dovranno viaggiare da Roma a Venezia sulla navetta.
Sempre meno speranzosi “visitiamo” i terminal 1, 2, 3, 4 e 5. Poi l'autista si ferma a chiedere indicazioni e torna indietro di un paio di terminal. Si era perso.
Alla fine ci metteremo più di venti minuti e quando salgo le scalette dell'aereo con la giacca a vento appiccicata alla schiena per l'elevata umidità, da uno spiraglio del portellone sento già il dolce canto della sirena dell'aria condizionata. Che errore.
Mi bastano dieci minuti dopo la chiusura delle porte per capire di essere caduto in una trappola. La temperatura interna dell'aereo cala vertiginosamente come se si fossero imbarcati solo pinguini, non uomini.
A niente vale il tentativo di coprirmi con la coperta. Sarà un viaggio pessimo per me.
Arriverò distrutto dalla stanchezza, con dolori ovunque, specialmente alla spalla sinistra e alla testa.
Ad attenderci troviamo Cobus, un barbuto energumeno delle dimensioni di un armadio a due ante. Sarà il nostro compagno e pilota di viaggio. A prima vista sembra una persona burbera e poco incline a scherzare e, quando mi accorgo di essere rimasto solo a camminare con lui verso la jeep, cerco di fare conversazione, mantenendola su toni bassi. Giusto per iniziare a togliere qualche quintale di ruggine dal mio inglese. Mi racconta che odia Cape Town, lui è di Pretoria. Dice che è una città dove ogni giorno possono esserci tutte e quattro le stagioni. Ovviamente ascolto e gli do ragione su tutto.
Con la jeep di Cobus andiamo in albergo dove, nonostante le indicazioni e la prenotazione di Pier, fatichiamo non poco a farci dare le camere. Prima di svenire sul letto per la stanchezza, decidiamo tutti di uscire per vedere qualche scorcio di Città del Capo.
Il tempo è nuvoloso e ventoso, la famosa Table Mountain che sta alle nostre spalle non si vede perché immersa nelle nubi. Ci avviamo allora al Waterfront, il vecchio porto. Siamo in cinque e in giro non c'è molta gente. La città sembra pulita, ma la zona dove alloggiamo appare per lo più adibita ad uffici. Qualche sbandato in giro lo vediamo, ma il più strano individuo che incontriamo è una guardia. Appena arrivati ad un semaforo, ci agguanta e dopo un paio di domande ci mostra la strada per il Waterfront, accompagnandoci per un tratto. È un tipo molto entusiasta di cui capiamo solo il dieci per cento di ciò che dice e alla fine ci chiede:
C'è niente per me?
Noi non abbiamo ancora cambiato i nostri soldi e così riusciamo a liberarci, ma come noteremo in questi giorni sono in tanti che, pur senza insistere, ci chiedono la mancia con qualunque scusa.
Diciamo pure che avremmo potuto evitare l'incontro se i semafori pedonali non fossero così fulminei. In realtà sembra che qui il verde per i pedoni, che comincia a lampeggiare da quando appare, duri solo venti secondi, nulla di più. Tutto il resto, è una lunghissima attesa a veder passare le macchine.
Finalmente dopo mezz'ora di cammino arriviamo al Waterfront: si tratta del vecchio porto industriale trasformato in un quartiere commerciale pieno di ristoranti, locali e mercati.
Gironzoliamo piacevolmente per un po' finché arriva il momento di tornare: Pietro deve accompagnare Cobus a prendere i milanesi all'aeroporto.
Durante il ritorno ritroviamo la stessa guardia che ci chiede se abbiamo cambiato perché vuole la sua mancia. È molto deluso quando non la ottiene e noi, tanto per non correre rischi, stavolta non attendiamo più il semaforo verde.
Un'ora più tardi ecco finalmente il capogruppo Pier con Noemi, Daniele e Giovanni.
Ora siamo al completo, il viaggio può cominciare.



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