Da
quando ho iniziato a scrivere Cassandra Romae, mi è capitato di
sentire che mi sono appesantito. Non sto parlando di peso fisico eh,
ma degli argomenti che ho iniziato a trattare sul blog.
Se
qualcuno ha davvero pensato che fino ad ora sono stato “pesante”,
allora non ha ancora visto niente. Quello di cui parlerò oggi è
stato davvero pesante, non per l'argomento ma per l'intensità della
giornata vissuta viaggiando indietro nel tempo di due millenni.
Se
c'è un sito archeologico semi sconosciuto e sottovalutato, tra
quelli che ho avuto la fortuna e il piacere di visitare, fin'ora il
primo posto spetta senza alcun dubbio ad Ostia antica.
Una
città rimasta sepolta per secoli, al momento più piccola di Pompei
come scavi, è però più ampia rispetto a quello che si può
visitare.
E'
la prima domenica del mese, il che significa che i musei nazionali
sono gratuiti. Il biglietto non costerebbe neanche tanto, per quello
che c'è da vedere, 10€, sarebbero un furto.
Io
e Cassandra avremmo anche potuto aggregarci a qualche guida, già non
pagavamo il biglietto, ma abbiamo preferito il fai da te per essere
più liberi. Scelta coraggiosa per due assetati di archeologia come
noi.
La
città è talmente vasta che sulla cartina sono segnati ben 68 punti
da visitare. Iniziando la visita in tarda mattinata pronostico che il
giro sarà intenso, ma non troppo lungo. Che sbaglio.
Iniziamo
dalla necropoli, che era al di fuori delle mura: per legge i romani
dovevano seppellire i loro morti al di fuori della città, vedi
catacombe e via Appia a Roma.
Il
nome della città ha il significato di foce, difatti è nata sulla
foce del Tevere. Nata come accampamento militare, diventa importante
nei secoli per le sue saline. Così come i muri delle case di questa
incredibile città, anche il nome dello stipendio di allora è
rimasto lo stesso: il salario. Solo che allora non veniva pagato con
del vile denaro, ma con sacchettini di preziosissimo sale di Ostia.
Dopo
aver seguito la via ostiense, che porta ancora oggi fino a Roma,
attraversiamo quello che resta della prima delle tre porte della
città: porta romana. Qui c'è una grande piazza, detta della
vittoria per statua della minerva alata, su cui si affaccia il
colossale magazzino, attraverso cui passavano tutte le merci che dal
mare andavano a Roma.
Affascinati
e attirati come falene dal dedalo di muretti, entriamo nel primo
piccolo labirinto di stanze, alla ricerca di qualcosa da scoprire e
da assaporare. Basta poco per individuare il magnifico mosaico delle
terme dei cisiarii.
Riprendiamo
il basolato originale della strada, mai toccato negli ultimi duemila
anni, che all'interno delle mura prende il nome della via principale
di tutte le città romane, il decumano massimo. lo percorriamo per un
centinaio di metri costeggiando i resti del magazzino e dei primi
portici della città, dove c'erano esercizi commerciali di ogni
genere.
Fa
caldo, le previsioni davano tempo nuvolo e incerto, invece il sole è
uscito facendosi vedere e sentire, pure troppo. Io e Cassandra, dando
retta all'applicazione delle predizioni dei profeti del clima, ci
eravamo preparati coprendoci ben bene a cipolla. Prima di iniziare a
puzzare come l'ortaggio ci siamo spogliati degli strati superflui e
della fiducia nelle applicazioni telefoniche dei profeti.
Ci
nascondiamo così all'ombra degli altissimi pini marittimi e
riprendiamo l'esplorazione entrando in un altro dedalo, ancora più
intricato, che ci porta attraverso camere, camerette, corridoi e
piazzette, alla caserma dei vigili del fuoco, molto attivi a causa
dei numerosissimi incendi che scoppiavano.
Dopo
numerosi tentativi di ritrovare la via per il decumano, ci ritroviamo
nella palestra grande delle terme di Nettuno. Salendo gli scalini
fino al terzo piano di una terrazza, riusciamo ad ammirarne dall'alto
i mosaici che non sono in restauro. Una vista spettacolare, sia dei
disegni, che della città. Siamo nei quartieri esterni della “piccola
Roma” e nonostante l'altezza non se ne intravede nemmeno i confini.
Scesi
dalla torre ci imbattiamo nella prima caupona, una locanda, di cui
come testimonianza rimane solo una parte del mosaico a pavimento.
Proseguiamo
lungo la strada che sale a nord e ci imbattiamo nelle prime Insulae,
i palazzi, praticamente dei condomini, che potevano arrivare anche a
cinque o sei piani d'altezza.
Dato
che l'acqua corrente arrivava solo al piano terreno, per i piani
superiori si doveva attingere alle fontane che stavano in strada.
Torniamo
indietro e saliamo subito sugli spalti del teatro che, integro per i
suoi due terzi, una volta poteva ospitare fino a quattro mila
persone. Certo rispetto ai teatri visitati a Hierapolis o Efeso, è
molto piccolo, ma una struttura del genere mi sembra più a misura
d'uomo, godibilissimo.
Dietro
lo spazio per l'orchestra ci sono ancora le maschere della commedia
che per chissà quanto tempo ha divertito il pubblico ostiense. In
cima agli spalti ci gustiamo il pranzo prima di ripartire, cercando
di immedesimarci negli spettatori di un tempo.
E
dopo lo spettacolo? Un giro al centro commerciale.
Si
apre infatti di fronte al teatro. la piazza delle corporazioni, dove
al centro c'era un tempio, e tutto attorno, sotto i portici, vi
erano esercizi commerciali e spedizionieri di altri stati che
intrattenevano rapporti con Ostia e quindi Roma. Tra questi alcuni
erano l'Egitto, Cartagine, la Mauritania, la Tunisia, la Libia e la
Sardegna.
Seguendo
le indicazioni della cartina, dopo i quattro tempietti che troviamo
chiusi per restauro, dal decumano massimo incrociamo il tempio dei
collegiali, quindi ci perdiamo in una zona dove, secondo la mappa,
non dovrebbe esserci nulla di interessante. Invece troviamo delle
Domus molto belle, la fullonica che altro non era se non una delle
lavanderie, e poi scendiamo via casa del pozzo, andando sempre più a
sud, fino a raggiungere il campo della magna mater, il tempio di
bellona e la porta Laurentina.
Dalla
periferia risaliamo verso il cuore della città, diretti al Foro.
Scopriamo invece l'entrata di un'altra domus molto carina e le
piccole terme del filosofo.
Non
sempre guardiamo la cartina, anche perché altrimenti ci perderemmo
la grande bellezza attraverso cui stiamo camminando. Difatti lasciamo
nuovamente la strada, attirati dalle grandi strutture che, con il
gusto dell'archeologo dilettante allo sbaraglio, scopriamo essere le
grandissime terme del foro. Con le sue grandi sale, in parte ancora
ricoperte di marmo, rivela perfino un percorso sotterraneo attraverso
il quale si possono vedere le intercapedini sotto i pavimenti usate
per riscaldate l'acqua delle terme. Non solo, dalle pareti aperte
spuntano decine di tubature attraverso cui passava probabilmente il
vapore.
La
giornata è ancora lunga, la città è molto grande e dobbiamo fare
una pausa. Saltiamo direttamente ai bagni e da lì Cassandra è
attirata come una falena del museo che conserva le statue originali
ritrovate negli scavi e scampate ai secoli. Non è molto grande e
sinceramente non pensavo ne valesse la pena. Fortunatamente le statue
non sono così tante come credevo, inoltre sono molto belle.
Terminata
la visita al museo a tempo di record, scendiamo nella via dei mulini,
dove riposano numerose case con forni ancora in mezzo alle stanze.
Stanno ancora lì, dove li hanno lasciati secoli fa. Per i romani non
erano i diamanti ad essere per sempre, ma gli elettrodomestici.
Giriamo
per bene tra le case dove i mulini macinavano grano e cereali, quindi
scendiamo in un'altra via che porta ad una taverna rimasta
spettacolarmente integra. Oltre ai banconi ancora rivestiti in marmo,
possiede ancora un grande contenitore, sempre in marmo, e una
credenza a gradini, su cui venivano messi in mostra i piatti del
giorno. Sopra di essi infatti c'è ancora un'insegna con dipinti
delle verdure, il secchio di marmo, e il piatto unico che comprendeva
tutto.
A
terra, un po' nascosta, c'è un'immensa anfora interrata che
probabilmente conteneva il vino. Non si sa cosa contenesse il secchio
di marmo, a me piace pensare che fosse per il Garum, una salsa a base
di frattaglie di pesce macerate. Roba da antichi.
Proprio
di fronte ci sono le scale di un insulae, che portano ai piani
superiori. In questa piccola via è quasi possibile immaginarsi come
poteva essere la vita quotidiana di duemila anni fa. Le insulae
infatti che arrivavano anche a cinque o sei piani, avevano al livello
della strada le locande o le botteghe, in cui i commercianti
vivevano. Costoro facevano tutti una vita casa e bottega, infatti
alla sera, quando chiudevano il negozio sbarravano l'entrata, anche
solo con delle assi di legno, e non le riaprivano fino alla mattina.
Queste
però erano anche le abitazioni più ricche e migliori, a cui
arrivava perfino l'acqua corrente.
Per
i piani superiori la gente doveva scendere in strada a riempirsi i
secchi. L'acqua diveniva così pesante quanto importante, soprattutto
per cucinare, e difficilmente veniva utilizzata per pulire.
Il
problema più grande delle Insulae però erano gli incendi. Essendo
in legno gran parte delle strutture che le componevano, specie i
piani più alti, gli incendi erano molto frequenti. Se si abitava ai
piani più alti salvarsi, anche se in città c'era una caserma
stabile dei vigili del fuoco, diventava un'impresa quasi impossibile.
Altro
aspetto da non sottovalutare erano le condizioni igieniche. I bagni
non c'erano e l'urina veniva raccolta in vasi o secchi che, lasciati
in strada venivano ritirati dai garzoni delle lavanderie. Questi
infatti li utilizzavano come ingrediente per il detersivo dell'epoca.
C'era
poi chi abitava molto in alto e non sempre aveva voglia di scendere
cinque o sei piani di scale per riporre il secchio, così, senza
neanche guardare di sotto, ne svuotava il contenuto fuori dalla
finestra. Quando si dice che piovono schifezze...
Poco
distante da quel vicolo, proprio di fronte al grande spiazzo del
foro, sorge una struttura tra le più grandi e alte di tutta Ostia,
il Capitolium. Vi si accedeva tramite un'ampia scalinata, era un
edificio la cui funzione è rimasta quella che c'è ancora oggi nella
Roma moderna, ovvero il campidoglio. Era qui che le figure politiche
si riunivano per discutere i problemi della città.
Scendiamo
gli scalini osservando dall'alto il foro e ci spostiamo a destra
seguendo sempre la strada. Incontriamo la casa del larario, un
esempio di insulae con un larario, una sorta di nicchia composta da
rombi e triangoli in un disegno fine e ancora integro. A quasi due
metri di altezza, con tutta probabilità doveva contenere una statua.
Torniamo
in strada e, facendo attenzione alle bighe ed i carri che corrono
lungo il basolato, attraversiamo per andare al tempio rotondo. Non ne
rimane molto, solo un terrapieno rettangolare da cui spuntano qua e
la dei lastroni di marmo. Andando avanti si entra in quello che
doveva essere il cuore del tempio, insolitamente dalla forma rotonda.
Scendiamo
dalle scalinate del tempio e giungiamo ad un bivio. Proprio qui c'è
la taverna dei pescivendoli. Anche se i muri rimasti sono bassi, i
tavoli di marmo ed i banconi bianchi sono ancora integri, così come
il pavimento su cui è stato posato un mosaico che rappresenta dei
pesci. Da qui il nome, che probabilmente identifica ciò che vi si
poteva mangiare. Del resto Ostia antica era in riva al mare.
Proseguiamo
lungo la strada, ancora lunga e costellata di case, e sulla destra
troviamo i resti di una basilica cristiana. La città infatti è
stata si fondata dai romani, ma fu abitata fino al 1300, circa.
Poco
più avanti c'è la schola di Traiano, ma sfortunatamente oggi è
chiusa al pubblico e così dobbiamo arrampicarci sui resti delle case
che le stanno di fronte per poter scorgere qualcosa. Purtroppo lo
sforzo è inutile.
Il
giorno è stato lungo e il sole ora inizia ad abbassarsi. In mezzo a
questa luce più colorata, ma meno calda, continuiamo a camminare sul
basolato, passando accanto ad una fontana di marmo a lucerna. Ancora
molto bella con le sue numerose bocche. Chissà quanto poteva essere
splendida secoli fa quando era in funzione.
La
camminata storica ci porta fino alla Caupona di Alexander Helix. Dai
resti dei mosaici non si riesce a capire quale fosse la specialità
di questa taverna, si legge solo il nome. Probabilmente era il
proprietario, oppure un grande chef.
Proprio
accanto alla taverna doveva esserci la porta marina, quella che un
tempo si affacciava all'antica spiaggia. Non è rimasto granché
della porta, solo che il basolato si restringe parecchio e ai lati è
scavato. Forse qui c'erano le due torri di guardia che col tempo sono
state smantellate.
Accompagnati
da una luce crepuscolare, manco farlo a posta ci ritroviamo in un
altro cimitero.
Cassandra
vuole vedere l'antica spiaggia, ma come sospettavo non esiste più,
in duemila anni il livello del terreno è salito molto e ormai al suo
posto c'è una strada su cui corrono automobili e camion. Il mare si
è allontanato così tanto che neanche si vede.
Rientriamo
in città per cercare uno dei gioielli di Ostia antica: la casa delle
sette muse, dove ci sono degli splendidi affreschi. Dopo qualche
tentativo finalmente la troviamo, ma rimaniamo delusi dal constatare
che la casa è chiusa. Non ci rimane altro da fare se non
arrampicarci sui muri esterni per poter sbirciare all'interno i
magnifici mosaici e gli affreschi delle muse. Dopo aver girato invano
attorno alla casa, cercando un punto di osservazione decente, ci
imbattiamo nella piccola, ma carina, domus del ninfeo. Non molto
lontano sorgono i resti delle case a giardino. Queste erano un nuovo
quartiere voluto da Adriano per fare seguito allo sviluppo
demografico della città.
Scusate,
ho detto Adriano? Volevo dire l'imperatore Adriano. Del resto da
quando siamo stati in visita a Villa Adriana è come se fossi
diventato un suo conoscente.
Queste
nuove case a giardino, tra cui ogni tanto spunta ancora qualche muro
leggermente colorato, dovevano essere una residenza per un ceto medio
alto.
Un
po' delusi dallo stato di conservazione dei muri intonacati,
imbocchiamo il cardo degli aurighi, una via su cui campeggia un
grande caseggiato, detto anch'esso degli aurighi. Ci infiliamo tra
gli ampi archi, ispezionando ogni stanza in cerca di qualche
affresco, poi troviamo delle scale che salgono, salgono, e salgono
ancora, di ben tre piani. La vista dalla terrazza è veramente bella,
anche se non doveva essere nulla al confronto di quella che godevano
i poveri abitanti degli ultimi piani.
Scendiamo
e ci imbattiamo nella parete che ha dato il nome a questo caseggiato:
due aurighi, affrescati su una parete del pian terreno, si sfidano in
una gara con le loro bighe. Il disegno è molto ben conservato e
protetto da lastre di vetro. Ne abbiamo viste molte di pareti
affrescate qui a Ostia antica, ma solo questa mi sembra sia stata
così accuratamente protetta.
Sarà
che, oltre a sentirmi conoscente di Adriano, dopo una giornata
vissuta cercando di immaginare la città di duemila anni fa, inizio a
pensare proprio come un cittadino ostiense. Capisco che in un sito
del genere ci siano così tante cose da vedere e da gestire, che si
fa fatica a pensare di conservare tutto, ma questa che merita ben più
di altre, alla fine risulta un po' difficile da trovare. Forse sono
solo io che sto diventando pignolo. O forse lo ero già prima?
Proseguiamo
la visita tra stanze, corridoi e scale, fino a trovarci in mezzo alle
terme dei sette sapienti.
Anche
qui c'è una scalinata che porta in alto, anche più di quella
precedente. La vista però volge sull'altro lato del caseggiato, da
cui si vede la via della foce.
L'ora
ormai è tarda e il tramonto è prossimo. Calchiamo il basolato della
via della foce su cui si affaccia il caseggiato dei misuratori di
grano, testimoniato da un enorme e magnifico mosaico.
Incontriamo
poi le Horrea Epigathiana e l'area sacra repubblicana, una zona ricca
di templi e tempietti dedicati agli dei dell'era repubblicana.
Stremati
e letteralmente ubriachi come due consoli che escono da una Caupona
dove hanno prosciugato una giara di vino, strisciamo fino alla
piccola, ma molto carina, Domus di amore e psiche.
Quindi,
lentamente, soddisfatti e barcollanti per l'overdose di archeologia,
ci rifacciamo tutto il decumano massimo, senza nemmeno sentire più
la gibbosità dell'antico basolo.
Non
soddisfatti della visita, decidiamo di tornare gradualmente ai nostri
tempi: attraversiamo la strada tenendo bene in alto le nostre tuniche
e fermando le bighe e le quadriglie che altrimenti ci
calpesterebbero.
L'orologio
del nostro viaggio gira vorticosamente fino a farci piombare nel
borgo di Ostia antica, dominato dal magnifico castello, a base
triangolare, fatto costruire da Papa Giulio II. Ai suoi piedi il
borgo è ancora molto pittoresco, con la sua chiesetta e le poche ma
ben raccolte case che ne fanno da cornice.
Una
nota stonata il matrimonio di due disgraziati che non sanno a cosa
vanno incontro. Il tempo, come per Ostia antica, farà il suo dovere.