martedì 10 novembre 2015

Ostia antica




Da quando ho iniziato a scrivere Cassandra Romae, mi è capitato di sentire che mi sono appesantito. Non sto parlando di peso fisico eh, ma degli argomenti che ho iniziato a trattare sul blog.

Se qualcuno ha davvero pensato che fino ad ora sono stato “pesante”, allora non ha ancora visto niente. Quello di cui parlerò oggi è stato davvero pesante, non per l'argomento ma per l'intensità della giornata vissuta viaggiando indietro nel tempo di due millenni.

Se c'è un sito archeologico semi sconosciuto e sottovalutato, tra quelli che ho avuto la fortuna e il piacere di visitare, fin'ora il primo posto spetta senza alcun dubbio ad Ostia antica.

Una città rimasta sepolta per secoli, al momento più piccola di Pompei come scavi, è però più ampia rispetto a quello che si può visitare.

E' la prima domenica del mese, il che significa che i musei nazionali sono gratuiti. Il biglietto non costerebbe neanche tanto, per quello che c'è da vedere, 10€, sarebbero un furto.

Io e Cassandra avremmo anche potuto aggregarci a qualche guida, già non pagavamo il biglietto, ma abbiamo preferito il fai da te per essere più liberi. Scelta coraggiosa per due assetati di archeologia come noi.

La città è talmente vasta che sulla cartina sono segnati ben 68 punti da visitare. Iniziando la visita in tarda mattinata pronostico che il giro sarà intenso, ma non troppo lungo. Che sbaglio.

Iniziamo dalla necropoli, che era al di fuori delle mura: per legge i romani dovevano seppellire i loro morti al di fuori della città, vedi catacombe e via Appia a Roma.

Il nome della città ha il significato di foce, difatti è nata sulla foce del Tevere. Nata come accampamento militare, diventa importante nei secoli per le sue saline. Così come i muri delle case di questa incredibile città, anche il nome dello stipendio di allora è rimasto lo stesso: il salario. Solo che allora non veniva pagato con del vile denaro, ma con sacchettini di preziosissimo sale di Ostia.





Dopo aver seguito la via ostiense, che porta ancora oggi fino a Roma, attraversiamo quello che resta della prima delle tre porte della città: porta romana. Qui c'è una grande piazza, detta della vittoria per statua della minerva alata, su cui si affaccia il colossale magazzino, attraverso cui passavano tutte le merci che dal mare andavano a Roma.

Affascinati e attirati come falene dal dedalo di muretti, entriamo nel primo piccolo labirinto di stanze, alla ricerca di qualcosa da scoprire e da assaporare. Basta poco per individuare il magnifico mosaico delle terme dei cisiarii.





Riprendiamo il basolato originale della strada, mai toccato negli ultimi duemila anni, che all'interno delle mura prende il nome della via principale di tutte le città romane, il decumano massimo. lo percorriamo per un centinaio di metri costeggiando i resti del magazzino e dei primi portici della città, dove c'erano esercizi commerciali di ogni genere.

Fa caldo, le previsioni davano tempo nuvolo e incerto, invece il sole è uscito facendosi vedere e sentire, pure troppo. Io e Cassandra, dando retta all'applicazione delle predizioni dei profeti del clima, ci eravamo preparati coprendoci ben bene a cipolla. Prima di iniziare a puzzare come l'ortaggio ci siamo spogliati degli strati superflui e della fiducia nelle applicazioni telefoniche dei profeti.

Ci nascondiamo così all'ombra degli altissimi pini marittimi e riprendiamo l'esplorazione entrando in un altro dedalo, ancora più intricato, che ci porta attraverso camere, camerette, corridoi e piazzette, alla caserma dei vigili del fuoco, molto attivi a causa dei numerosissimi incendi che scoppiavano.

Dopo numerosi tentativi di ritrovare la via per il decumano, ci ritroviamo nella palestra grande delle terme di Nettuno. Salendo gli scalini fino al terzo piano di una terrazza, riusciamo ad ammirarne dall'alto i mosaici che non sono in restauro. Una vista spettacolare, sia dei disegni, che della città. Siamo nei quartieri esterni della “piccola Roma” e nonostante l'altezza non se ne intravede nemmeno i confini.

Scesi dalla torre ci imbattiamo nella prima caupona, una locanda, di cui come testimonianza rimane solo una parte del mosaico a pavimento.

Proseguiamo lungo la strada che sale a nord e ci imbattiamo nelle prime Insulae, i palazzi, praticamente dei condomini, che potevano arrivare anche a cinque o sei piani d'altezza.

Dato che l'acqua corrente arrivava solo al piano terreno, per i piani superiori si doveva attingere alle fontane che stavano in strada.



Torniamo indietro e saliamo subito sugli spalti del teatro che, integro per i suoi due terzi, una volta poteva ospitare fino a quattro mila persone. Certo rispetto ai teatri visitati a Hierapolis o Efeso, è molto piccolo, ma una struttura del genere mi sembra più a misura d'uomo, godibilissimo.

Dietro lo spazio per l'orchestra ci sono ancora le maschere della commedia che per chissà quanto tempo ha divertito il pubblico ostiense. In cima agli spalti ci gustiamo il pranzo prima di ripartire, cercando di immedesimarci negli spettatori di un tempo.

E dopo lo spettacolo? Un giro al centro commerciale.

Si apre infatti di fronte al teatro. la piazza delle corporazioni, dove al centro c'era un tempio, e tutto attorno, sotto i portici, vi erano esercizi commerciali e spedizionieri di altri stati che intrattenevano rapporti con Ostia e quindi Roma. Tra questi alcuni erano l'Egitto, Cartagine, la Mauritania, la Tunisia, la Libia e la Sardegna.





Seguendo le indicazioni della cartina, dopo i quattro tempietti che troviamo chiusi per restauro, dal decumano massimo incrociamo il tempio dei collegiali, quindi ci perdiamo in una zona dove, secondo la mappa, non dovrebbe esserci nulla di interessante. Invece troviamo delle Domus molto belle, la fullonica che altro non era se non una delle lavanderie, e poi scendiamo via casa del pozzo, andando sempre più a sud, fino a raggiungere il campo della magna mater, il tempio di bellona e la porta Laurentina.





Dalla periferia risaliamo verso il cuore della città, diretti al Foro. Scopriamo invece l'entrata di un'altra domus molto carina e le piccole terme del filosofo.

Non sempre guardiamo la cartina, anche perché altrimenti ci perderemmo la grande bellezza attraverso cui stiamo camminando. Difatti lasciamo nuovamente la strada, attirati dalle grandi strutture che, con il gusto dell'archeologo dilettante allo sbaraglio, scopriamo essere le grandissime terme del foro. Con le sue grandi sale, in parte ancora ricoperte di marmo, rivela perfino un percorso sotterraneo attraverso il quale si possono vedere le intercapedini sotto i pavimenti usate per riscaldate l'acqua delle terme. Non solo, dalle pareti aperte spuntano decine di tubature attraverso cui passava probabilmente il vapore.

La giornata è ancora lunga, la città è molto grande e dobbiamo fare una pausa. Saltiamo direttamente ai bagni e da lì Cassandra è attirata come una falena del museo che conserva le statue originali ritrovate negli scavi e scampate ai secoli. Non è molto grande e sinceramente non pensavo ne valesse la pena. Fortunatamente le statue non sono così tante come credevo, inoltre sono molto belle.



Terminata la visita al museo a tempo di record, scendiamo nella via dei mulini, dove riposano numerose case con forni ancora in mezzo alle stanze. Stanno ancora lì, dove li hanno lasciati secoli fa. Per i romani non erano i diamanti ad essere per sempre, ma gli elettrodomestici.





Giriamo per bene tra le case dove i mulini macinavano grano e cereali, quindi scendiamo in un'altra via che porta ad una taverna rimasta spettacolarmente integra. Oltre ai banconi ancora rivestiti in marmo, possiede ancora un grande contenitore, sempre in marmo, e una credenza a gradini, su cui venivano messi in mostra i piatti del giorno. Sopra di essi infatti c'è ancora un'insegna con dipinti delle verdure, il secchio di marmo, e il piatto unico che comprendeva tutto.

A terra, un po' nascosta, c'è un'immensa anfora interrata che probabilmente conteneva il vino. Non si sa cosa contenesse il secchio di marmo, a me piace pensare che fosse per il Garum, una salsa a base di frattaglie di pesce macerate. Roba da antichi.





Proprio di fronte ci sono le scale di un insulae, che portano ai piani superiori. In questa piccola via è quasi possibile immaginarsi come poteva essere la vita quotidiana di duemila anni fa. Le insulae infatti che arrivavano anche a cinque o sei piani, avevano al livello della strada le locande o le botteghe, in cui i commercianti vivevano. Costoro facevano tutti una vita casa e bottega, infatti alla sera, quando chiudevano il negozio sbarravano l'entrata, anche solo con delle assi di legno, e non le riaprivano fino alla mattina.

Queste però erano anche le abitazioni più ricche e migliori, a cui arrivava perfino l'acqua corrente.

Per i piani superiori la gente doveva scendere in strada a riempirsi i secchi. L'acqua diveniva così pesante quanto importante, soprattutto per cucinare, e difficilmente veniva utilizzata per pulire.

Il problema più grande delle Insulae però erano gli incendi. Essendo in legno gran parte delle strutture che le componevano, specie i piani più alti, gli incendi erano molto frequenti. Se si abitava ai piani più alti salvarsi, anche se in città c'era una caserma stabile dei vigili del fuoco, diventava un'impresa quasi impossibile.

Altro aspetto da non sottovalutare erano le condizioni igieniche. I bagni non c'erano e l'urina veniva raccolta in vasi o secchi che, lasciati in strada venivano ritirati dai garzoni delle lavanderie. Questi infatti li utilizzavano come ingrediente per il detersivo dell'epoca.

C'era poi chi abitava molto in alto e non sempre aveva voglia di scendere cinque o sei piani di scale per riporre il secchio, così, senza neanche guardare di sotto, ne svuotava il contenuto fuori dalla finestra. Quando si dice che piovono schifezze...

Poco distante da quel vicolo, proprio di fronte al grande spiazzo del foro, sorge una struttura tra le più grandi e alte di tutta Ostia, il Capitolium. Vi si accedeva tramite un'ampia scalinata, era un edificio la cui funzione è rimasta quella che c'è ancora oggi nella Roma moderna, ovvero il campidoglio. Era qui che le figure politiche si riunivano per discutere i problemi della città.





Scendiamo gli scalini osservando dall'alto il foro e ci spostiamo a destra seguendo sempre la strada. Incontriamo la casa del larario, un esempio di insulae con un larario, una sorta di nicchia composta da rombi e triangoli in un disegno fine e ancora integro. A quasi due metri di altezza, con tutta probabilità doveva contenere una statua.

Torniamo in strada e, facendo attenzione alle bighe ed i carri che corrono lungo il basolato, attraversiamo per andare al tempio rotondo. Non ne rimane molto, solo un terrapieno rettangolare da cui spuntano qua e la dei lastroni di marmo. Andando avanti si entra in quello che doveva essere il cuore del tempio, insolitamente dalla forma rotonda.

Scendiamo dalle scalinate del tempio e giungiamo ad un bivio. Proprio qui c'è la taverna dei pescivendoli. Anche se i muri rimasti sono bassi, i tavoli di marmo ed i banconi bianchi sono ancora integri, così come il pavimento su cui è stato posato un mosaico che rappresenta dei pesci. Da qui il nome, che probabilmente identifica ciò che vi si poteva mangiare. Del resto Ostia antica era in riva al mare.

Proseguiamo lungo la strada, ancora lunga e costellata di case, e sulla destra troviamo i resti di una basilica cristiana. La città infatti è stata si fondata dai romani, ma fu abitata fino al 1300, circa.

Poco più avanti c'è la schola di Traiano, ma sfortunatamente oggi è chiusa al pubblico e così dobbiamo arrampicarci sui resti delle case che le stanno di fronte per poter scorgere qualcosa. Purtroppo lo sforzo è inutile.

Il giorno è stato lungo e il sole ora inizia ad abbassarsi. In mezzo a questa luce più colorata, ma meno calda, continuiamo a camminare sul basolato, passando accanto ad una fontana di marmo a lucerna. Ancora molto bella con le sue numerose bocche. Chissà quanto poteva essere splendida secoli fa quando era in funzione.

La camminata storica ci porta fino alla Caupona di Alexander Helix. Dai resti dei mosaici non si riesce a capire quale fosse la specialità di questa taverna, si legge solo il nome. Probabilmente era il proprietario, oppure un grande chef.

Proprio accanto alla taverna doveva esserci la porta marina, quella che un tempo si affacciava all'antica spiaggia. Non è rimasto granché della porta, solo che il basolato si restringe parecchio e ai lati è scavato. Forse qui c'erano le due torri di guardia che col tempo sono state smantellate.

Accompagnati da una luce crepuscolare, manco farlo a posta ci ritroviamo in un altro cimitero.

Cassandra vuole vedere l'antica spiaggia, ma come sospettavo non esiste più, in duemila anni il livello del terreno è salito molto e ormai al suo posto c'è una strada su cui corrono automobili e camion. Il mare si è allontanato così tanto che neanche si vede.

Rientriamo in città per cercare uno dei gioielli di Ostia antica: la casa delle sette muse, dove ci sono degli splendidi affreschi. Dopo qualche tentativo finalmente la troviamo, ma rimaniamo delusi dal constatare che la casa è chiusa. Non ci rimane altro da fare se non arrampicarci sui muri esterni per poter sbirciare all'interno i magnifici mosaici e gli affreschi delle muse. Dopo aver girato invano attorno alla casa, cercando un punto di osservazione decente, ci imbattiamo nella piccola, ma carina, domus del ninfeo. Non molto lontano sorgono i resti delle case a giardino. Queste erano un nuovo quartiere voluto da Adriano per fare seguito allo sviluppo demografico della città.

Scusate, ho detto Adriano? Volevo dire l'imperatore Adriano. Del resto da quando siamo stati in visita a Villa Adriana è come se fossi diventato un suo conoscente.

Queste nuove case a giardino, tra cui ogni tanto spunta ancora qualche muro leggermente colorato, dovevano essere una residenza per un ceto medio alto.





Un po' delusi dallo stato di conservazione dei muri intonacati, imbocchiamo il cardo degli aurighi, una via su cui campeggia un grande caseggiato, detto anch'esso degli aurighi. Ci infiliamo tra gli ampi archi, ispezionando ogni stanza in cerca di qualche affresco, poi troviamo delle scale che salgono, salgono, e salgono ancora, di ben tre piani. La vista dalla terrazza è veramente bella, anche se non doveva essere nulla al confronto di quella che godevano i poveri abitanti degli ultimi piani.





Scendiamo e ci imbattiamo nella parete che ha dato il nome a questo caseggiato: due aurighi, affrescati su una parete del pian terreno, si sfidano in una gara con le loro bighe. Il disegno è molto ben conservato e protetto da lastre di vetro. Ne abbiamo viste molte di pareti affrescate qui a Ostia antica, ma solo questa mi sembra sia stata così accuratamente protetta.

Sarà che, oltre a sentirmi conoscente di Adriano, dopo una giornata vissuta cercando di immaginare la città di duemila anni fa, inizio a pensare proprio come un cittadino ostiense. Capisco che in un sito del genere ci siano così tante cose da vedere e da gestire, che si fa fatica a pensare di conservare tutto, ma questa che merita ben più di altre, alla fine risulta un po' difficile da trovare. Forse sono solo io che sto diventando pignolo. O forse lo ero già prima?





Proseguiamo la visita tra stanze, corridoi e scale, fino a trovarci in mezzo alle terme dei sette sapienti.

Anche qui c'è una scalinata che porta in alto, anche più di quella precedente. La vista però volge sull'altro lato del caseggiato, da cui si vede la via della foce.

L'ora ormai è tarda e il tramonto è prossimo. Calchiamo il basolato della via della foce su cui si affaccia il caseggiato dei misuratori di grano, testimoniato da un enorme e magnifico mosaico.

Incontriamo poi le Horrea Epigathiana e l'area sacra repubblicana, una zona ricca di templi e tempietti dedicati agli dei dell'era repubblicana.

Stremati e letteralmente ubriachi come due consoli che escono da una Caupona dove hanno prosciugato una giara di vino, strisciamo fino alla piccola, ma molto carina, Domus di amore e psiche.

Quindi, lentamente, soddisfatti e barcollanti per l'overdose di archeologia, ci rifacciamo tutto il decumano massimo, senza nemmeno sentire più la gibbosità dell'antico basolo.

Non soddisfatti della visita, decidiamo di tornare gradualmente ai nostri tempi: attraversiamo la strada tenendo bene in alto le nostre tuniche e fermando le bighe e le quadriglie che altrimenti ci calpesterebbero.

L'orologio del nostro viaggio gira vorticosamente fino a farci piombare nel borgo di Ostia antica, dominato dal magnifico castello, a base triangolare, fatto costruire da Papa Giulio II. Ai suoi piedi il borgo è ancora molto pittoresco, con la sua chiesetta e le poche ma ben raccolte case che ne fanno da cornice.

Una nota stonata il matrimonio di due disgraziati che non sanno a cosa vanno incontro. Il tempo, come per Ostia antica, farà il suo dovere.

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