lunedì 28 dicembre 2015

LA NECROPOLI DI SAN PAOLO



Andando al lavoro in metropolitana passo ogni giorno dalla basilica di san paolo, ma ovviamente non mi ci ero mai fermato.
Qui sorge una basilica grandissima che, pur essendo stata ricostruita in seguito al devastante incendio del 1823, dovrebbe aver mantenuto la stessa forma e dimensione. Nella basilica di San Paolo fuori le mura è conservata la tomba dell'apostolo Paolo. Pare fosse siriano e che perseguitasse i cristiani, prima di convertirsi. Va be ma sto divagando.
Prima di visitare la necropoli uno sguardo all'immensa basilica glielo diamo e devo dire che è veramente grande, forse seconda solo a san Pietro e San Giovanni.
All'orario dell'appuntamento con l'archeologa dell'associazione l'asino d'oro, ci troviamo all'entrata secondaria della basilica, come indicato dalla mail, solo che non c'è nessuno. Giriamo attorno alla basilica un paio di volte. Quando passiamo il cartello del terzo chilometro di giro a vuoto Cassandra mi suggerisce di provare con una profezia. Purtroppo ho finito il credito profetico e sono costretto ad affidarmi al telefono. Per fortuna troviamo il gruppo che stava a più di cento metri nel parco. Le indicazioni sul ritrovo stavolta lasciavano un po' a desiderare.
Ed eccola la necropoli di San Paolo fuori le mura. In realtà il sito da vedere è proprio piccolo: un'apertura del terreno ci mostra una manciata di stanze, anche se molto ricche. A quanto pare l'intera necropoli giace ancora tutta sotto il parco ed il quartiere San Paolo, e non è mai stata indagata. Con Cassandra ci basta uno sguardo per capirci: "Chissà cosa giace lì sotto a pochi metri dalla superficie".
L'archeologa intuisce i nostri pensieri e ci dice subito che non dobbiamo aspettarci di trovare chissà quali tesori. I defunti infatti venivano sepolti si con oggetti di loro proprietà, ma non gioielli, che si tenevano i parenti vivi. Nei rari casi in cui accadeva era perché il padrone della tomba doveva essere davvero molto molto ricco.

Nelle poche e piccole stanze che vediamo ci sono solo colombari che potevano contenere due, tre e a volte quattro urne cinerarie.
Erano stanze strette e profonde, dove, nonostante venisse ottimizzato ogni possibile spazio, angolo o parete, c'era sempre posto per la targhetta che indicava il nome del defunto.
Chi poi ne aveva la possibilità si faceva scolpire un ritratto o metteva un iscrizione sulla lapide o su un pilastro. Tutte le iscrizioni iniziavano per "Dis manibus", in modo da dedicare il sepolcro agli dei Mani, che erano proprio coloro che ne dovevano scongiurare le manomissioni. Solo dopo tale scritta venivano aggiunti i tre identificativi: il nome, il Gens, ovvero il clan di appartenenza, ed in fine il cognome.


Da vedere sembra ci sia poco, ma è tutto concentrato. Le informazioni che ci racconta l'archeologa sono interessanti, molto ritroviamo del modo di vivere il rito funebre dei romani in quello che è il nostro di oggi. Tra le varie similitudini troviamo i Libitinari, ovvero gli impresari delle pompe funebri che si occupavano del corpo del defunto.
Si usava già che dopo la cerimonia alcune persone portassero il corpo del defunto in spalla fino al sepolcro, così come la processione. Oggi non si usa più invece mettere una moneta nella bocca del defunto per pagare il traghettatore Caronte.
C'erano poi delle donne pagate per piangere. Più piangevano è più strillavano e meglio era. Queste raccoglievano addirittura le loro lacrime in piccoli contenitori, in modo da dimostrare di aver adempiuto al loro compito ed essere pagate. Al contrario di oggi c'era chi assumeva suonatori e perfino dei gladiatori per dare spettacoli di lotta. Non lo sapevo, ma pare che i gladiatori siano nati proprio in questo modo: come spettacoli funebri.


Una cosa diversa da oggi, e che per fortuna non si usa più, è quella di far indossare una maschera ad una persona, appositamente pagata, in modo da impersonare il defunto. Lo scopo era quello di farlo partecipa al suo stesso funerale.
Mi fa venire in mente la canzone di Jannacci:
Si potrebbe andare tutti al tuo funerale, per vedere l'effetto che fa...”
Dato che si poteva decidere se farsi cremare o inumare, chi sceglieva il fuoco, prima di incenerire il corpo, doveva tagliare un dito al cadavere per poterlo seppellire ed avere una parte del corpo a contatto con la terra. Questo perché la terra era vista come purificatrice.
Alla fine di tutto il rito si mangiava, perché mangiare era l'azione simbolo che separava i vivi dai morti: chi moriva non poteva mangiare. Chi poteva permetterselo dava perfino un grande banchetto.
Altra usanza arrivata fino a noi, oggi visto come rito scaramantico, è quella del lancio del sale dietro le spalle: per evitare che gli spiriti dei parenti potessero tornare a perseguitare i vivi si usava il sale, allora preziosissimo. Ovviamente il lancio era simbolico.
In ogni caso pare che già allora le persone fossero molto superstiziose...

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