Alle sei mi
dovevo comunque alzare a fare colazione perché alle sette ci si trova nella
hall per fare una corsetta con gli altri maratoneti che alloggiano in albergo.
Usciamo e fa
ancora abbastanza caldo, anche se meno di ieri. Camminiamo fino ad altri due
hotel dove ci sono molti altri runner. Partiamo
piano, molto piano, pianissimo.
Si
chiacchiera un pochino, c'è chi come me è alla prima
esperienza newyorkese e chi un veterano. La maggior parte devo dire mi sembra
qui solo per partecipare, come me del resto, ma c'è anche qualcuno che
aspira a fare il proprio personale.
In pochi attimi siamo già a Central Park, dove prendiamo la strada che domenica ci farà uscire dalla maratona.
Ci sono già
transenne ovunque ed è ancora buio. Sbircio a destra e sinistra e intravedo uno
specchietto d'acqua dove iniziano a risplendere i
primi riflessi rosa arancio dell'alba. Scappo a cercare un affaccio, tanto
vanno così piano che li riprendo.
Uno scorcio
fantastico.
Dietro di me
qualcuno mi ha seguito, finisce sempre così, io scopro i posti migliori e gli
altri mi copiano, magari poi fanno pure foto più
belle...
Va
be’, torniamo indietro e li trovo ancora là che zampettano
verso quello che sarà il traguardo di domenica. Arriviamo
da dietro ma va bene, un paio di selfie poi proseguiamo nel parco ormai
inondato da una luce arancio tenue che rimbalza sugli specchi degli altissimi
grattacieli che circondano il parco.
In questo
momento mi viene in mente che mi sono sempre sentito fortunato a correre quasi
tutti i giorni al parco degli acquedotti, specialmente all'alba e al tramonto,
ma devo ammettere che anche i newyorkesi sono piuttosto fortunati.
La corsetta
arriva ad una grande via pedonale con grandi alberi ai lati che ci salutano
gettando ai nostri piedi le foglie giallo arancioni, quindi si ritorna indietro
per andare a cercare lo Strawberry Fields, il
punto dove è stato fatto un monumento a John Lennon, che viveva praticamente
dall'altra parte della strada e fu ucciso proprio sotto il suo palazzo, il Dakota
Building.
Selfie e si torna in hotel, almeno gli altri. Io continuo a fare un'altra corsetta tornando al parco... Quando mi ricapita?
La mattina
prosegue sempre in compagnia degli atleti che vanno a ritirare il pettorale. Si
prende la metropolitana dirigendoci a Downtown e nel giro di mezz'ora siamo a
destinazione. Daniele spiega che bisogna fare
attenzione ad un altro aspetto subdolo della subway: se sul vagone c'è
scritto Express e non Local, allora è meglio desistere e aspettare la prossima
corsa, altrimenti si rischia di ritrovarsi dall'altra parte della città.
Express infatti è la linea veloce che salta a volte anche una decina o più di
fermate. Mo me lo segno.
Il punto di ritiro del pettorale è il solito carnaio di gente,
non tanto per il ritiro del pettorale (procedura abbastanza veloce), quanto per
i negozi e gli stand che regalano gadget.
Purtroppo ci accodiamo alla fila sbagliata. Entriamo nel
girone dei condannati agli acquisti ai punti vendita del merchandising della
maratona, cosa che non volevo fare.
All'uscita
gli stand dei gadget non sono moltissimi, per lo meno non sono uno in fila
all'altro come in Italia, però alcuni sono veramente lenti e io mi vado ad
impelagare in uno dei peggiori, perdendoci quasi
mezzora, tempo prezioso che avrei preferito impiegare per iniziare a vedere la
città.
Fuori di lì andiamo verso il Vessel, una strana struttura che a me ricorda una grande Pigna rovesciata, che sta proprio sotto il grattacielo The Edge. Il Vessel è stato chiuso per diverso tempo perché qualcuno ha ben pensato di salire per poi buttarsi di sotto. Ora lo hanno attrezzato con reti di protezione e riaperto.
Non abbiamo tempo per questo, magari un altro giorno. Dopo aver mangiato alla sua ombra, andiamo a “prendere il treno” che sta partendo sulla High Line. Si tratta una antica linea ferroviaria che attraversava questa parte di città su binari sopraelevati. Esiste ancora, trasformata in un parco lineare che, da una certa altezza, permette di attraversare i palazzi, nuovi e vecchi, sotto lo sguardo vigile dei grattacieli.
Un solo inconveniente. Il sole. Fa caldo, non come ieri ovviamente, ma nei punti più scoperti il sole si riflette sui tanti palazzi e grattacieli a specchio. Mi sento un po' come una formica presa di mira da un pestifero bambino che dirige i raggi solari verso di noi attraverso una lente d'ingrandimento gigantesca.
Per fortuna
non dura molto e nemmeno la High Line è molto lunga. Prima di scendere
definitivamente andiamo praticamente a sbattere contro il Chelsea Market, mercato coperto in cui la fanno da
padrone ristoranti e qualche negozietto. Il bello è
la struttura che lo ospita: un vecchissimo magazzino portuale, siamo
vicinissimi al mare. Pur non comprando o mangiando nulla, è molto bello
passeggiarci dentro.
Usciti dal Market, prima di riprendere il treno andiamo a vedere la Little Island, piccola isola artificiale costruita su una serie di imbuti di cemento sfasati in altezza tra loro. Come un piccolo parco in miniatura. Simpatica.
Risaliamo
sulla High Line ma è praticamente finita. Per fortuna il capolinea coincide con l'ultima
tappa della giornata, il Whitney Museum.
Avevo
programmato tutto ovviamente, sono mesi che mi studio questo viaggio nel
dettaglio per incastrare più cose possibili e non avere troppi tempi morti. Per
fortuna una città come New York ha talmente tante cose da vedere che il
problema era solo quello di fare il tetris con gli orari dei musei e dei mezzi.
Alla fine devo dire sono rimasto soddisfatto.
Non posso dire altrettanto del Whitney. Ero conscio del rischio che correvo. Non sono un ammiratore dell'arte moderna statunitense, non tutta. Non è stata una trappola in piena regola, buona parte delle opere sono riuscito ad apprezzarle, specialmente i quadri di Hopper.
Usciamo dal museo che ormai è ora di cena, quindi torniamo in
hotel e facciamo una piccola spesa, che per me si rivelerà fatale...
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