lunedì 31 luglio 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 6


Hobas - Bethaine – Sesriem





Altra giornata di lungo trasbordo. Metto la sveglia alle sei e quando suona somiglia molto allo scoccare dell'ora di un condannato. Siamo finalmente riusciti a dormire bene ed è difficile alzarsi.

Per di più scopriamo che la Namibia ha un fuso differente per cui non sono le 6, bensì le 5!

Colazione polverosa, smontaggio tende polveroso, e via verso nuove strade polverose, sterrate, lunghe, molto lunghe.

La polvere ormai è una costante del viaggio, la respiriamo, la mangiamo. Ormai non ce ne preoccupiamo più anzi, è diventata un po’ come la Forza di Guerre Stellari: ci circonda, ci penetra, mantiene unita la nostra galassia.

Stando così le cose, quindi noi siamo jedi, e viviamo in simbiosi con essa?

Abbassiamo i cappucci sulla testa, riponiamo le spade laser e proseguiamo il viaggio.

Dopo pochi chilometri dalla partenza ci fermiamo in un bellissimo hotel con molte vecchie auto, probabilmente americane degli anni cinquanta, alcune forse addirittura precedenti.

Ce ne è perfino una che dimostra chiaramente che l'inventore dell'albero motore è Namibiano.



Dopo averle viste tutte, alcune sono anche dentro l'hotel e nel negozio di souvenir, scopriamo che c'è il wifi gratis. Appena il collegamento si attiva, ci blocchiamo in piedi nell'atrio dell'hotel, come se fossimo dei robot a cui hanno staccato la spina. Il blackout dura solo qualche minuto, quindi ripartiamo controvoglia. Riusciremo a contrastare la dipendenza da internet solo con la distrazione data dai primi avvistamenti: anche se molto sporadici, da lontano appaiono zebre, orici, gazzelle, struzzi e quegli avidi dei loro piccoli: gli struzzini.

Viaggiamo tutto il giorno, immersi in una strana luce che cambia a seconda del lato della jeep. I paesaggi sono sconfinatamente e desolatamente magnifici. Cerco di ritrarne l'essenza con qualche scatto, ma i risultati non sono all'altezza. La strada sterrata si perde in lontananza attraverso queste montagne, lungo le pianure che ormai sembrano sempre più savana.

Verso sera arriviamo al campeggio, ma prima di piantare le tende, Cobus ci accompagna in un posto fantastico, dove possiamo ammirare il tramonto sulle dune del deserto, ma non solo. Abbiamo ancora una ventina di minuti di luce, così ci diamo un'occhiata attorno e scopriamo una gola scavata da un fiume ormai scomparso.


Il richiamo della gola è irresistibile e uno alla volta scendiamo il sentiero che si perde in essa per vedere cosa nasconde.




Un bellissimo percorso di circa un chilometro sullo scomparso letto del corso d'acqua sormontato dalle sponde sagomate, erose, smangiate che ha formato caverne e finestre dalle forme bizzarre. Sembra di essere scesi nello scheletro di un gigantesco animale preistorico consumato dal tempo.


Per non perdere il tramonto risaliamo proprio quando mancano pochi minuti al calar del sole. Il disco solare sta scendendo rapidamente a lambire le dune all'orizzonte, ma come attirati magneticamente volgiamo lo sguardo dalla parte opposta, dove un'altra meraviglia sta per nascere.

Dietro la vetta di un'arida montagna rossa, sorge una luna magnifica. 










Uno spettacolo eccezionale che mi fa tornare in mente Guerre Stellari, quando Luke Skywalker si staglia nel deserto di Tatooine, alla luce del tramonto dei due soli, in sottofondo la musica di John Williams che drammatizza la scena, immortalandola per sempre.

Stavolta le foto mi riescono meglio e anche se mi sono perso il tramonto, non me ne importa più nulla.
La forza è con me.
Con la Luna ormai alta, torniamo al campeggio che è quasi buio. 
Il montaggio della tenda per fortuna è facile anche se siamo in una piazzola con due grandi alberi, letteralmente circondati dalla sabbia. Il vento è molto debole, ma guardandoci attorno vediamo che tra una piazzola e l'altra ci sono almeno duecento metri di sabbia. Anche i bagni non sono comodissimi da raggiungere, anzi, sono perfino più lontani. Quando parto per cercare di fare la doccia, indico a Daniele la direzione verso cui sto andando, così in caso venga dato per disperso, qualcuno sa dove cercarmi, oppure dove piantare una simbolica croce.

Giunto alle docce scopro che anche qui non c'è l'acqua calda. Per non sprecare tutto il tempo impiegato per arrivare fin qui decido di farla lo stesso, fredda.

A conferma della dimensione del camping Noemi decide di sperimentare un turismo di esplorazione estremo: parte per una spedizione verso il bagno, ma finisce per perdersi vagando a casaccio nelle piazzole degli altri. Quando sconfina in quella di una famigliola di colore aveva ormai fatto diversi chilometri. Questi, mossi a compassione sacrificano il padre per riaccompagnarla.

La rivedremo solo verso l'ora di cena. Il signore che l'ha salvata si presenta a noi annunciando il suo ingresso con “Mama missing!”, quindi se ne va. Chissà se è riuscito a tornare sano e salvo anche lui.

A cena Daniele sfodera un buon risotto allo zafferano e poi, dopo aver lavato i piatti (questa è zona di iene e sciacalli), andiamo a dormire.

Accoccolati nelle nostre tende, per farci cullare ascoltiamo il suono del vento sulla sabbia. Trasportate dall'aria però, ci giungono da una piazzola vicina, forse a mezzo chilometro di distanza, le scordatissime note di una chitarra classica. Pare che un gruppo di tedeschi stia cercando di tenere un corso per principianti. Per alcuni potrebbe anche essere un modo per tenere lontani gli animali pericolosi. Di certo quella cacofonia ignobile potrebbe funzionare, ma sicuramente a noi non concilia il sonno.

A difesa dei nostri timpani Pietro collega la sua cassa portatile inaugurando le trasmissioni di Radio Murgias International. Il primo pezzo trasmesso in terra namibiana è un ripasso delle basi musicali: il classico giro di Do reinterpretato dai Deep Purple con Smoke on the water. Poi, per chiudere in bellezza e non sfidare troppo la SIAE, arrivano i PFM con le "Impressioni di settembre".

A questo punto le trasmissioni si interrompono e riusciamo finalmente ad addormentarci.

domenica 30 luglio 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 5

Springbok - Hobas - Fish river canyon – Hobas




Sveglia alle sette, o per lo meno ci alziamo, visto che non abbiamo dormito.

Uscendo dai bagni vedo che ha smesso di piovere e che anche tutti gli altri sono fuggiti a ripararsi al chiuso.

Noi siamo stati i primi, ma poi ci hanno seguito verso le 00:30 Stefano e Caterina, all'una Daniele, alle due Pier e alle cinque il vincitore del premio "tutte le magliette che avevo in valigia ora sono bagnate" Pietro.

Della nostra tenda ne è rimasta in piedi solo metà.

Prima di smontarla faccio colazione, quindi mi metto all'opera. Una delle bacchette si è sbriciolata e un paio di chiodi sono stati divelti dalla forza del vento.

Dietro suggerimento e aiuto di Cobus, le ripieghiamo e mettiamo via così. Poi ci penseremo.

Indolenziti e assonnati saltiamo in auto e ci dirigiamo verso il confine con la Namibia. Non c'è neanche coda, stavolta siamo fortunati. Cobus dice che in giornate affollate avremmo anche potuto aspettare un’ora o due.

Namibia, finalmente un altro mondo, veramente.

Subito dopo il confine ci immergiamo in un deserto bellissimo, sconfinato, a volte quasi monocromatico. Illuminato da una bianca luce che fa splendere le montagne della stessa, gli spazi sono così grandi che quando dopo pochi chilometri vengo sorpreso dal cambiamento di colori, ora tendenti al rosso, riesco solo a pensare quanto sia bella la sua contrapposizione all'azzurro infinito del cielo.

Nonostante la precedente notte insonne, continuo a non avere sonno.

Il fascino del panorama è tale da tenermi incollato al finestrino per godermi questi spazi sconfinati.




Anche se non riesco a fotografare quasi nulla, questi sono alcuni degli istanti migliori che sogno di assaporare in un viaggio. Gli scossoni della jeep, la polvere che entra in auto con il suo odore, la sua dinamicità, completano la sensorialità del momento e rivelano che non stiamo osservando delle immagini proiettate, le stiamo vivendo. Dentro di me sento divampare il fuoco del viaggiatore che rimarrà acceso fino alla fine di questa avventura, vedendo, osservando, fantasticando, assaporando, cercando di capire dove sono finito veramente. Anche se sono consapevole di essere sempre sullo stesso pianeta, qui è così bello e diverso che quasi non lo voglio riconoscere. Come ogni volta nasce e si rafforza in me il desiderio di poterlo vedere ed esplorare tutto. Giusto per essere sicuro di non essermi perso niente di questo spettacolo.

Verso le tre del pomeriggio arriviamo al nuovo camping che sembra molto meglio rispetto a quello di ieri.

Possiamo riprovarci.

Prima però andiamo a vedere il secondo gran canyon più grande del mondo: il Fish River canyon.




Ci sono molti punti di osservazione dall'alto, ma non si può scendere a camminare. L'unica opportunità sarebbe quella di ingaggiare una guida per un'escursione di cinque giorni. Pare sia un esperienza molto dura e anche pericolosa. Noi ci limitiamo a un breve trekking di un’ora, passeggiando tra un punto di osservazione e l'altro, ma è comunque coinvolgente.

Nato milioni di anni fa da un terremoto, è stato scavato per altrettanti milioni dal fiume, disegnando un paesaggio fantastico.

Personalmente non sono ancora stato al Grand Canyon americano, per cui non ho modo di fare un confronto, ma posso senz'altro dire che questo è un posto bellissimo, le immagini parlano da sole.

Al nostro ritorno scopriamo che mentre camminavamo, Cobus ha riparato le bacchette delle nostre tende e così al campeggio possiamo rimettere in piedi l'opera di ricostruzione.

Ancora fradice, le prepariamo molto più velocemente di ieri. Anche i chiodi si riescono a piantare nel terreno senza problemi e in poco tempo costruiamo la veranda.

Certo, non c'è il vento a rompere 'hoglioni, come direbbe il nostro compagno di viaggio Stefano da Firenze.

Unica nota negativa, la sabbia che entra ovunque e la puzza di carogna che aleggia all'interno della tenda a causa della pioggia di ieri. Per fortuna tenendo le porte aperte, per l'ora della nanna sarà andata via.

Sfruttando la vicinanza degli alberi tutti, appendono i propri vestiti ancora umidi, ma Cobus ci avverte che in questa zona ci sono un sacco di babbuini. Oltre ad essere attratti dal cibo sono infatti anche dei ladri formidabili. Velocissimi a prendere qualunque cosa e portarselo sugli alberi, ti guardano dall'alto mentre tu rimani in basso senza poter far nulla. Deve essere uno spettacolo molto divertente per questi primati. Meno per i malcapitati derubati.

Il campeggio è bello e nuovo, così tento di fare la doccia ma l'acqua si rivela essere fredda. Ma che cavolo! In un posto così non c'è l'acqua calda nelle docce. Solo dai rubinetti esce un acqua caldissima, quasi bollente. Mah.




Sempre sotto la guida di Daniele prepariamo la pasta con fagiolini e patate a cui verrà aggiunto il pesto.

Volevamo fare anche la frittata, ma essendo poco pratica, si decide per le uova sode.

Durante la cena Cassandra stappa anche una bottiglia di vino Bonne Esperance, acquistata in viaggio. Un rosso da 14 gradi che però sembra novello. Molto buono.

Dopo cena laviamo subito i piatti per evitare che arrivino gli sciacalli e poi facciamo una passeggiata fino al bar per digerire.

Ci ritiriamo presto, anche perché fa un gran freddo. Nella tenda invece si sta abbastanza bene e stavolta riusciamo a dormire, nonostante la russatura di un non bene definito compagno di viaggio. I tappi hanno fatto il loro dovere.


sabato 29 luglio 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 4

Capetown - Springbok – Tornado

Sveglia presto, alle 5:15. Dobbiamo fare più di 500 chilometri e arrivare con la luce e poter mettere in piedi le tende. Sarà la prima volta che montiamo il campo, per cui meglio arrivare presto per avere più tempo.
Il viaggio è lungo ma la jeep sembra comoda. Sembra. Ogni due ore ci fermiamo per mangiare qualcosa o comprare altro, oppure anche solo per fare pipì. Il paesaggio è particolare: un deserto con grosse rocce modellate dal vento che ha creato strane forme arrotondate. In certi momenti pare di stare nel Far West, in altri nel nord della Sardegna, dove ci sono rocce molto simili.
Quando il paesaggio cambia, mi accorgo che diverse montagne che vediamo accanto alla strada, hanno, oltre alla forma arrotondata, evidenti righe, segni, quasi verticali. Ovviamente io non sono un geologo, per cui mi chiedo come si siano formate veramente. Sembra quasi che un grosso ghiacciaio le abbia scavalcate lasciando le sue tracce millenarie.
Forse però sto solo immaginando un po’ di fresco perché sulla jeep, causa effetto serra, il sole brucia. Paradossalmente veniamo a sapere che a Cape Town oggi è arrivato l'inverno: sta nevicando.
Durante il viaggio Cobus ci fa fermare in un posticino anonimo dove però c'è un negozio di vini biologici. Proviamo a prendere qualche bottiglia, anche se non hanno il tappo di sughero ma quello che si avvita e svita, il vino sudafricano è famoso per essere pregiato. Verifichiamolo.


Arriviamo a Springbok verso le 15:30 circa, con un bel sole e un po’ di vento. Dato che l'autista si è reso conto di avere ancora problemi alla frizione, proviamo a chiedere al meccanico della città il pezzo di ricambio che risolverebbe il guaio, ma purtroppo non ce l'ha. Cobus non batte ciglio, evidentemente ha un piano alternativo.
Andiamo allora al campeggio dove Pier prova a sentire quanto costano le camere. Sono molto care rispetto alle piazzole per le tende e tutti decidono di sperimentare la vita da campeggio. Si deve pur cominciare da qualche parte.
Il primo impatto con il montaggio è del tipo: non ho la più pallida idea di cosa fare. Con in mano le bacchette di sostegno della tenda sbircio gli altri che sono già intenti ad unirle e così cerco di imitarli.
Provo a stendere la parte interna in modo da poterla fissare al terreno, ma il vento è molto forte per cui devo prima picchettarla. Purtroppo il terreno è durissimo e i chiodi all'inizio non entrano. Pensando di essere solo io l'imbranato, mi consolo vedendo che anche gli altri hanno lo stesso problema.
Armato di pazienza e olio di gomito afferro un grosso sasso da usare come martello e mi impegno di più. Alla fine i chiodi entrano un pochino, ma il grosso sasso ha ora un grosso buco nel centro.
Il vento cresce di intensità e la copertura della tenda è ancora più difficile da mettere, ma alla fine ce la facciamo.


Il risultato non è male, anche se non ci accorgiamo che manca la veranda. Inoltre solo più tardi scopriamo di avere montato la tenda al contrario e di aver utilizzato come accesso il retro.
Sufficientemente soddisfatti, andiamo a fare la doccia e poi a preparare la cena. Lo chef Daniele gestiva un ristorante e sotto la sua guida si prepara pasta al pomodoro e basilico ed insalata. Per dessert ananas.
La pasta è buona, l'insalata pure, l'ananas passabile.
Intanto fuori il vento soffia sempre più forte. C'è chi dice che potrebbe anche piovere. Volgendo lo sguardo verso l'alto però vedo il cielo limpido e pieno di stelle, così ci accomodiamo in tenda mettendo i bagagli a rinforzo della struttura e ci sistemiamo col nostro sacco a pelo. 

Sono le 20:30, ma anche se ci siamo svegliati alle cinque non ho sonno.
Il vento è implacabile e soffia sempre più forte. Per non sentirlo uso i tappi, ma non sono sufficienti. Comunque sono tranquillo, è ancora presto.
Verso le dieci sento chiaramente che sta iniziando a piovere. Non mi sembra nulla di eccezionale, giusto qualche goccia.
Il tempo passa lentamente, mi giro e mi rigiro continuamente incalzato dalle urla del vento e delle tende, poi verso mezzanotte mi accorgo del disastro: la tenda è fradicia.
Anche parte dei bagagli dei vestiti messi a sostegno della tenda sono bagnati. Fuori sembra ci sia il finimondo.
Sveglio Cassandra, che stava russando come il leone della metro Goldwin Mayer, e raccattiamo tutti i nostri averi per andare a stabilirci nel bagno delle donne.
Soluzione asciutta ma non molto comoda. Alla fine non chiuderò occhio e rigirandomi come un Minipimer nel sacco a pelo, sveglierò svariate volte Cassandra, che imperterrita continuava a russare.

venerdì 28 luglio 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 3

Table Mountain- Passeggiata in centro - Waterfront- Recital

Questa mattina ce la prendiamo comoda. Purtroppo, come temevo, la visita a Robben Island non si può fare perché non ci sono posti disponibili, avremmo dovuto prenotarla per tempo. In alternativa andiamo tutti alla Table Mountain salendo con la funivia rotante fino ad un altezza di 1067 metri. La vista da sopra la montagna è davvero bella e a 360 gradi. Seguendo un sentiero in mezzo a rocce dalle strane forme modellate dall'acqua e dal vento, si può ammirare il mare, oltre che di Cape town, anche dalla parte opposta, dove c'è Cape Point e Capo di Buona Speranza. La giornata è molto bella e limpida per cui la vista riesce a spingersi lontanissimo. Tra una roccia e l'altra incontriamo ancora il piccolo cugino dell'elefante. Il topofante è il re della cima e non ha paura di avvicinarsi all'uomo pur di guadagnare qualche boccone gratis.
Percorriamo il sentiero che costeggia tutta la sommità, un leggero trekking fino ad incrociare il sentiero che scende in una gola verso la base della funivia. Dandogli un occhiata sembra fattibile anche per Cassandra, a cui non mancano coraggio e tenacia. La profetessa però pecca in velocità. Facendo due conti a mente mi rendo conto che probabilmente ci metteremmo troppo tempo e sforeremmo l'orario dell'appuntamento, per cui riprendiamo la strada per la funivia rotante.
Al nostro ritorno scopriamo che Pier ha già fatto tutta la spesa per i primi giorni di viaggio assieme a Cobus, il quale ha avuto anche il tempo di far sistemare una noia alla frizione della Jeep.
Saltata la visita a Robben Island la giornata è diventata un po' vuota, così torniamo a casa per iniziare a preparare la valigia visto che domani ci dovremo svegliare prestissimo. Mangiamo rapidamente un boccone e usciamo per una passeggiata sulle due strade più caratteristiche del centro, dove troviamo un'atmosfera diversa da Waterfront. La prima strada è ricca di locali notturni e gente bianca, la seconda più pittoresca è più variegatamente popolata, con negozietti e persone di tutti i tipi.

Dagli sguardi che riceviamo inizio a sentire una chiara differenza nei nostri confronti, non tanto di ostilità, quanto di occasione. Ho la netta sensazione che siamo seguiti. Un ragazzino di colore mal vestito, passeggia accanto a noi studiandoci con aria disinteressata. A lui si unisce un uomo bianco e molto magro e poi altri, che però vengono distratti da altre prede e li seminiamo.

Quando arriviamo ad una piazzetta dove c'è il mercatino, sarà la suggestione, ma io non mi sono divertito molto a vedere le bancarelle: per molti degli astanti sembrava che fossimo noi il banco più interessante da cui pescare.
Gironzoliamo per una ventina di minuti cercando di schivare alcuni che cercano di attaccare bottone, poi riprendiamo la strada per il porto. Una volta arrivati ci rilassiamo, tranquilli e sicuri di poterci godere il resto della giornata.

Sgranocchiando una merenda chiacchieriamo spensieratamente iniziando a conoscerci. Il gruppo sembra molto promettente e il capo ancora di più. Speriamo di continuare su questa strada.
Dopo cena usciamo per cercare una navetta o un autobus che ci riportino in hotel, ma non troviamo nulla. A parte Noemi e Daniele che prendono un taxi, si decide di tornare a piedi sfidando la sorte. È buio ma forse è ancora presto per correre rischi.
Ridendo e scherzando arriviamo a poco più di un chilometro, forse meno, dall'hotel, quando ecco che arriva l'imprevisto: un paio di ragazzi di colore ci fermano avvisandoci che la strada è chiusa e non si può proseguire. Guardo oltre ma non si vede nulla. Non è che c'è sotto qualcosa?
Siamo in tanti e forse basterebbe tirare avanti come sempre per vedere se la strada è veramente chiusa, ma poi spuntano altre due persone avvisandoci della stessa cosa. Qualcuno di noi si ferma a parlarci per capire cosa vogliono veramente: in poche parole dicono che per continuare è necessario ritirare un lascia passare.
Ma de che?
Sopra "l'ufficio" del lasciapassare c'è chiaramente scritto Atm, ovvero Bancomat.
In pratica ci stanno mandando “A ciapà i rand!”.
Cerco di allontanarmi pensando che anche gli altri abbiano mangiato la foglia e mi seguano, ma le persone aumentano di numero pareggiando il nostro e poi superandolo.
Al recital si aggiunge anche una donna che entra nel bancomat e ne esce sventolando uno scontrino annunciando: "Finalmente anche io posso passare da questa strada grazie al lasciapassare!"
È sempre più chiaro che vogliono che qualcuno tiri fuori una carta di credito e digiti il codice per “andà a ciapà i rand”, dopo di che non so cosa potrebbe succedere, anche se posso immaginarlo.
Nonostante la loro forte insistenza, il livello della discussione rimane sempre lo stesso, anche quando Pier cerca di spiegargli che non abbiamo carte di credito, che sono in hotel, che non gireremmo MAI con soldi e carte di credito, di notte, a Cape Town.
Nooooooo.
Io e Cassandra abbiamo tutti i nostri averi con noi, macchina fotografica compresa, ma non credo fossimo gli unici del gruppo.
Chiediamo allora se accettano quei pochi contanti che abbiamo, ma loro non li vogliono, l'unica cosa che gli interessa è il codice della carta di credito.
Il numero degli estorsori cresce, ma per fortuna la loro furbizia no. Ci mostriamo convinti della loro recita e prendiamo parte alla messinscena. Spiazzandoli, li salutiamo ringraziando e torniamo indietro dirigendoci verso il porto. Li lasciamo disorientati. Non ci seguono nemmeno.
Forse si aspettavano che facessimo il giro del palazzo e di ritrovarci al varco, magari più numerosi e agguerriti, ma noi al primo incrocio saltiamo su un taxi.
Quando ripassiamo di lì, non c'è più nessuno. Probabilmente sono andati davvero ad aspettarci dall'altra parte.
Poco male, ci abbiamo perso solo 50 rand di taxi in sette, praticamente 3 euro.
Adesso che sono al sicuro sul taxi posso anche dire, senza correre il rischio di essere frainteso:
Ma va a ciapà i ratt!

giovedì 27 luglio 2017

Va a ciapà i Rand! - Giorno 2

Cape Town - Signal Hill - Hout bay - Cape Good Hope - Cape Point - Boulders Beach - Cape Town


La sveglia è incredibilmente dura. Nonostante la sera prima la finale di champions della Juve sia finita bene e mi sia addormentato subito, ci svegliamo distrutti.
Il primo giorno in terra sudafricana sarà ricco di cose da fare e dopo colazione partiamo subito per Signal Hill. Si tratta di una collina in mezzo alla città su cui i giovani, nelle serate estive si ritrovano per ammirare il tramonto, sorseggiando un bicchiere di vino.
Alle 8:30 di mattina sulla collina non c'è nessuno a parte noi. Possiamo ammirare il panorama e il tramonto tranquillamente.
Un momento! È mattina, quindi è l'alba! Qui il sole sorge dalla parte sbagliata? Per come è disposta la città sembra quasi che il sole sorga ad Ovest, ma dopo aver controllato la bussola ci rendiamo conto dell'errore.
Oltre al panorama ammiriamo anche la “testa di leone”, un'altra collina che assomiglia al profilo del Re degli animali. Finalmente oggi la Table Mountain è libera dalle nuvole. Dopo una prima raffica di foto ci muoviamo verso Hout Bay, dove veniamo imbarcati alla volta dell'isola delle foche.
Nessuno ha fatto colazione e fino a quando siamo saliti sul battello, io e Cassandra ci sentivamo dei privilegiati per averla fatta in camera con le nostre scorte. Poi le onde hanno iniziato a farci ondeggiare e la paura di essere invece condannati è cresciuta.
Per fortuna il viaggio dura poco.
La colonia di foche è comodamente adagiata su un grosso scoglio in mezzo al mare sporco e schiumoso. Sembrano in attesa del sole quindi non si spostano dal .
Pochi minuti per le foto e si ritorna indietro.
L'escursione dura davvero poco, ma le foche sono simpatiche e poi il biglietto non è costato molto.
Ci dirigiamo ora verso il Capo di Buona Speranza che assieme a Cape Point, fa parte di un parco naturale protetto.

Cobus ci scarica in riva al mare, dove possiamo fare un po' di trekking assaporando qualche salita e una bellissima vista sull'oceano.
Ci sono diversi punti panoramici che cadono a strapiombo sul mare e una grande spiaggia bianca su cui la forza dell'oceano scarica i suoi ultimi respiri.
Tra una gola e l'altra incontriamo il Dacie, un piccolo mammifero che ricorda un po' una marmotta, insomma un grosso topo. In realtà, anche se risulta difficile crederlo, è un cugino dell'elefante. Un topofante. Ce ne sono molti e non sembra abbiano paura dell'uomo, anzi sono abbastanza disinteressati.

Il percorso sale fino a una stazioncina da cui parte una cremagliera per la cima, dove c'è il faro di Cape Point.
In cima dovrebbero esserci anche i temuti babbuini. Temuti perché contrariamente a quanto sembrano simpatici nei documentari, pare siano molto aggressivi e attratti dal cibo. Saliamo a piedi, ma con circospezione, stando attenti a scorgere ogni minimo segno di movimento. Quando arriviamo alla fine della salita invece dei babbuini nemmeno l'ombra. Forse c'era troppa gente.

Ci sono però dei piccoli uccelli coloratissimi e un bellissimo panorama. Pier ci spiega che questo, contrariamente a quanto pensavo, non è il punto più a sud dell'Africa: non è qui dove gli oceani si incontrano, bensì a quattrocento chilometri più in là, a Capo Agulhas. In ogni caso, complice la prospettiva, lo trovo ugualmente suggestivo.
Riprendiamo la strada e andiamo a vedere i pinguini. In realtà saremmo dovuti andare a Boulders Beach, dove si paga il biglietto d'ingresso per vedere una colonia di questi animaletti, ma Cobus ci accompagna in un'altra spiaggia libera, in cui secondo lui a volte si possono vedere liberamente.

Difatti c'è una piccola colonia transennata all'interno della quale i pinguini hanno fatto il nido e a volte nuotano e passeggiano sulla spiaggia oltre le transenne. Hai capito l'autista che dritta ha estratto dal cilindro?
In un primo momento mi fanno uno strano effetto. Sarà che sono troppo vicini, ma finché stanno fermi a prendere il sole non sono così simpatici come uno potrebbe pensare. Poi però basta che si alzino, sbattano le ali e provino goffamente a camminare, oppure a saltare da un sasso all'altro, ed ecco che viene restituita loro giustizia.
Chiedo venia.
In serata torniamo al Waterfront, tutti assieme stavolta, per fare shopping e poi cenare.
Per venire incontro a me e Cassandra si sceglie un ristorante che possa fare anche dei piatti vegetariani. Ne troviamo uno e ordiniamo entrambi penne primavera, ma senza formaggio.
I piatti arrivano in modo abbastanza rapido e tutti sono soddisfatti. Io un po' meno: il formaggio non c'era, ma in compenso il cuoco ha ben pensato di immergere le penne in un lago di panna.
La fame è una brutta bestia, e poi domani saremo ancora a città del capo, così rischio e mangio. Buona, per essere in Sudafrica, ma a me sembra buona.
Per fortuna l'indomani non ci sono state conseguenze, che fosse panna di soia?