domenica 9 febbraio 2025

Lunedì 4 novembre

Questa mattina lasciamo l’hotel della maratona e stasera ci trasferiamo in zona Time Square. Prima abbiamo una giornata piena: il Metropolitan Museum.

Considerando quanto ci ha messo Cassandra l’altro giorno al Moma, sento già le Parche inneggiare un canto disperato: la prima tesse il filo da seguire lungo il museo, la seconda dispensa quanto tempo si potrà avere in ogni sala, mentre la terza, l’inesorabile, è pronta a tagliare il filo prima che si abbia il tempo di vedere quello che vi interessa davvero. Le loro decisioni sono immutabili, neppure gli dei possono cambiarle, ma gli dei non hanno corso la maratona, io sì!

La profetessa però è Cassandra e io non proferisco parola, anche se di fronte alla maestosa entrata del museo odo ben chiaro quel canto triste.

Tanto per farci sentire a casa, il filo delle Parche ci conduce subito al settore greco romano. Sorrido incoscientemente: cosa vuoi che abbiano di così imperdibile rispetto ai musei di Roma? Attraverserò quest’ala con la velocità di Achille!

 

Invece le parche hanno steso un filo lunghissimo che si snoda tra i reperti in un intricato labirinto. Quando mi trovo di fronte ai reperti non posso fare a meno di esclamare: alla faccia della bocca della verità!

Un letto in osso e avorio, intarsiato, intero, compreso il piccolo poggiapiedi. Statue bellissime che, anche se su questo possiamo ancora primeggiare, non posso non ammirarle. Urne con ancora del colore. Come se non bastasse, intere stanze affrescate di una villa di Boscotrecase, gioielli e alcune piccole statue notevoli… Non riesco, non posso… Devo fermarmi ad ogni teca…

 


Le Parche ridono sotto i baffi…

Salgo a vedere la zona etrusca….

 

Non c’è molto eh, ma quello che c’è… Non c’è più in Italia.

Un intero carro da guerra in bronzo, quasi del tutto integro. Già questo è eccezionale, poi noto le decorazioni: un cinghiale, un rapace… Mai visto nulla di simile!

Poco più in là c’è un'altra scultura in bronzo di Cibele… Ci rinuncio… Ho capito che stasera mi toccherà consolare Cassandra per quello che si sarà persa. 

Parto allora all’esplorazione del mondo arabo, tanto l’arte araba è bella, poco varia, sicuramente non ci sarà molto da….

Le sale sono grandi, ci sono tappeti e altre cose trascurabili, in piccole teche sono esposti gioielli e armi ingioiellate che ti tengono incollato al vetro finché vogliono loro!

Ora di pranzo!!!

Solo la fame poteva spezzare l’incantesimo!

Chiediamo dove andare a mangiare e una ragazza del museo ci indica l’altra ala del museo: dobbiamo superare il tempio e arrivare fino ad una piazza con molte statue dove ci sono delle panchine.

 

Ci incamminiamo e quando vediamo il tempio mi cedono le gambe. Un piccolo, ma intero, tempio egizio davanti a cui c’è anche una piscina con sculture egizie ai suoi lati, due coccodrilli per la precisione. Sullo sfondo una grandissima vetrata da cui si vedono gli alberi del parco in foliage.

Voglio stare qui!

Cassandra però è un caterpillar e mi trascina alla piazza delle statue: bellissima! Prima mangiamo e poi vediamo le statue.

 

Siamo a metà panino quando una sciura del museo arriva a cacciarci.

Provo a dire che ci ha detto una sua collega di venire qui, ma la signora è inflessibile.

Ci manda alla mensa sotterranea, praticamente dove ci sono i cessi, va be’, io e Cassandra abbiamo fatto di peggio…

Vedo le tre Parche ridere e darsi il cinque con la sciura che ci ha cacciato…

Parche miserie!

Dopo pranzo è la volta del secondo piano, quello dei dipinti! Un mondo infinito dove solo i più coraggiosi entrano speranzosi di uscire sani di mente.

Io sono coraggioso, molto, le parche non lo sanno e stanno già impugnando le forbici per tagliare il filo… Evidentemente sono convinte che la visita si concluderà qui. Sfortunatamente per loro io sono già sparito in un’altra sala. Coraggioso sì, scemo no. Consapevole del fatto che non potrei mai vedere tutti i dipinti che hanno in esposizione, vado al sodo. Anche nell’altra sala c’è un’altra Parca che mi aspetta, la semino e mi dirigo sui soli dipinti che mi interessano.

Le Parche sono contrariate perché non seguo il filo, anzi lo ingarbuglio. Si mettono a litigare tra loro per chi deve sbrogliarlo e io ne approfitto per dileguarmi ancora e far perdere le mie tracce finché arrivo alla sala del Caravaggio.

Tre dipinti isolati apparentemente anonimi che i turisti non degnano di troppa attenzione.

Ci sono anche Artemisia Gentileschi ed il padre Orazio. Non capisco, la gente è troppo poca.

Non perdo tempo ad indignarmi e me li godo senza la folla che in Italia li circonderebbe.

Tra l’altro quella folla che in Italia per la maggior parte è composta da turisti stranieri! Non capisco.

Qui me la sono presa un po’ comoda, lo ammetto, ma quando mi ricapita? Ricomincio a girovagare e mi imbatto in diverse altre opere degne di nota, oblitero velocemente la stanza di Chagall e Gauguin. Vedo delle forbici cadere a terra e il triste canto delle Parche diventa un pianto disperato. Se ne vanno a cercare Cassandra. Peccato per loro perché quando la profetessa si trova in un museo non guarda faccia e non sente nessuno.

Ho così il tempo di vedere con calma Filippo Lippi, il Ghirlandaio, Lorenzo di Credi, Paolo Uccello, Antonello da Messina, Botticelli, Andrea del Verrocchio, Luca Signorelli, Lucas Cranach il vecchio, Lorenzo Lotto, Tiziano, il Mantegna, Perin del Vaga, Andrea del Sarto, Correggio, il Perugino, Pietro Lorenzetti, Simone Martini e Raffaello. Già qui potrei andare a casa passeggiando sulle nuvole... Visto che ci siamo, andiamo avanti con Monet, Van Gogh, Cezanne e completare tutta l’ala dei dipinti europei e andare al medioevo con le armature europee e quelle giapponesi con le loro magnifiche spade. Solo allora mi rendo conto che il tempo rimasto è poco. Posso ancora farcela, se mi gioco bene le mie carte posso ancora vedere l’ala delle statue, dell’Egitto e forse mi avanza altro.

Ma le Parche ne sanno una più del dio dell’inganno Hermes, così fanno chiudere mezzo museo con la scusa di una cena ambientata nella sale delle statue.

In realtà gli invitati sono chiaramente divinità greche chiamate a raccolta dalle Parche, ma riesco imbucarmi nell’ala egiziana e vedere almeno il tempio.

Ma che ci fa qui un tempio egiziano? Sembra che quando in Egitto si sono messi a costruire una grande diga, per salvare molti monumenti antichi che sarebbero stati sommersi, gli americani abbiano offerto il loro aiuto e in cambio hanno ricevuto un intero tempio, come ringraziamento.

Ormai è giunta l’ora della chiusura. Mi dirigo all’uscita per attendere Cassandra… Chissà dove è arrivata…

La ritroverò dieci minuti più tardi fuori dal museo, ovviamente contrariata per non aver visto tutto, consapevole che bisogna tornare.

C’amma’ffa’

Torneremo. Ho un conto in sospeso con le Parche!

Consoliamoci con l’aglietto, anzi, con la pasta! Dall’Italia ci siamo portati la pasta e le buatte di pomodoro! Un po' come Totò e Peppino quando arrivano a Milano: aprono la valigia e oltre alle caciotte e le galline vive, hanno portato:

“Tre chili di pasta bianca, basteranno?”

A due passi da Times Square c'è l'appartamento con cucina che abbiamo prenotato fino a sabato. La stanza non è grandissima, però con cucina e frigorifero. Va benissimo.

Usciamo subito a fare la spesa facendoci indicare il supermercato più vicino. Devo dire rispetto a quelli che abbiamo provato fin ora è il migliore. I prezzi sono sempre quelli, forse leggermente più alti.

Per lo meno questa sera possiamo goderci un piattone di pasta al pomodoro, un paio di uova e una birra gelata. I love NY. 

sabato 8 febbraio 2025

Domenica 3 novembre - Maratona

 

Dopo aver passato come sovente accade, una pessima giornata di attesa, sono incredibilmente riuscito a dormire qualche ora. Giusto per avere solo tre borse sotto gli occhi.

 

Nonostante il cambio dell’ora favorevole mi sveglio molto presto, almeno un’ora e mezza prima del previsto. Faccio colazione. Scendo a prendere un paio di banane nel negozio di fronte aperto 24h. Mi serviranno più tardi.

Il ritrovo è fissato alle 5:30 per prendere il pullman che parte alle 5:45 e ci porterà dall’altra parte del ponte di Verrazzano, partenza della maratona.

Siedo accanto ad un signore di Bologna molto simpatico. Il viaggio, più lungo del previsto, passa comunque velocemente. Il gran traffico ci consente di rimanere al caldo dell’autobus per un’ora in più. Mi sembra già un ottimo inizio.

 

Il sole si fa vedere, le temperature si sono abbassate tantissimo, c’è un vento molto freddo, all’ombra si gela.

Per fortuna ho ancora addosso i vestiti che abbandonerò più tardi, soprattutto ho indossato il sacco nero della spazzatura che attira i raggi solari e mi riscalda.

Davanti a me in fila un asiatico è in calzoncini e canottiera, sta tremando dal freddo, non lo invidio per niente.

 

Dopo un’ora di attesa finalmente abbiamo la possibilità di trovare un angolo per sederci. Quando mi muovo sento i polpacci già preda di strani dolori... Le mie ansie notturne si risvegliano e iniziano a sussurrarmi che era scritto: “Tu, uomo, correrai coi crampi!”

Il pessimismo si impossessa di me, realizzo di tutta la magnifica organizzazione sponsorizzata, non vedo alcuna traccia. Dicevano avrebbero distribuito the caldo e bagels...Vedo solo bottigliette di acqua gelata!

 

Sto per rilassarmi al caldo del sacco nero quando il cannone spara dei colpi: sono partiti i primi! Pochi minuti e parte un altro colpo! Fra poco tocca a noi, giusto il tempo di trovare le gabbie.

Seguendo il consiglio di Daniele, provo a cambiare posto mettendomi sulla parte alta del ponte, giusto per avere un po' di sole e soprattutto il panorama libero. Se non mi dovessero far passare, mi toccherà correre al livello inferiore, nella fredda oscurità.

Mi avvicino, mostro il pettorale sotto il sacco nero e… Passato!

Già mi sento fortunato di avere un po’ di sole a scaldarmi!

L’annuncio diceva di gettare i panni da donare prima di entrare nella gabbia, in realtà lo si poteva fare anche dentro.

Mi rimane solo il mio fidato sacco nero che nel frattempo si è strappato e lascia entrare molta aria fredda…

Sfortunatamente devo rifare pipì e mi sono già tolto tutti i vestiti caldi…Ora sono io che tremo come l’asiatico…. Speriamo di farcela in tempo altrimenti… Sul ponte non potrò farla, rischierei la squalifica…

Giusto in tempo!

Ci incamminiamo verso la linea di partenza, pochi minuti e giunge anche per noi il colpo di cannone!!!

Con un urlo di liberazione inizio a saltellare a tempo di musica insieme a tutto il ponte, l’adrenalina ha un’impennata pazzesca. Mi tolgo il sacco nero, il freddo e inizio a correre. La gara è partita!

 

Non so dove arriverò, è la mia ultima maratona per cui andrà bene in ogni caso. Saranno pure serviti a qualcosa tutti questi mesi di allenamenti?

Il primo chilometro e mezzo è tutta salita. C’è molta gente, non posso andare veloce neanche volendo, così mi attesto al ritmo della mandria e mi godo il panorama dal ponte sospeso più grande di New York: a destra l’oceano, a sinistra lo Sky Line di Manhattan.

Arrivato in cima la musica cambia: sono in discesa, le gambe vanno da sole. Sì, sì, lasciale andare che ci scaldiamo un po’. Anche se c’è il sole, l’aria è ancora frizzante.

 

Scendiamo dal ponte e a questo punto devo spegnere la musica delle auricolari. Non mi serviranno più per tutto il resto della gara. Ci infiliamo infatti nelle strade di Long Island dove ci si immerge in un casino come in un concerto da stadio. Il tifo è indiavolato, la musica suonata a tutto volume dalle case, a bordo strada dalle band, è così alta che non riuscirei a sentire la mia musica.

Una partecipazione incredibile, sembra che tutta la città sia venuta a vedermi correre.

 

Ovviamente non sono qui per me, però i primi dieci chilometri volano alla velocità per cui mi sono allenato duramente, inizia qualche salita e mi ricordo chi sono e quali sono i miei limiti. Rallento un filino, giusto per non arrivare al 15° ed avere già i crampi come mi è già successo in passato.

Vorrei pensare ad una strategia per non scoppiare, il fracasso è davvero fortissimo, specialmente quando qualcuno che corre vicino a me viene intercettato dai propri supporters: urla disumane, bombe e tric trac esplodono ogni cento metri come se stessero tagliando un traguardo invisibile.

La cosa si ripeterà per tutta la gara, qui sarà il momento più intenso e quasi mi stordisce.

 

Cerco di aumentare il passo per lasciarmeli indietro. Non è facile, qualche salita e soprattutto queste festicciole creano dei piccoli ingorghi che non mi permettono di correre come vorrei… Tocca fare lo slalom anche oggi.

Tutto questo trambusto inizia a diventare pesante, assordante. Sembra di stare in uno stadio con gente che urla.  Il rumore ce l’hai a pochi metri e anche se sprona, un po’ infastidisce.

Come se non bastasse, al quindicesimo si manifesta l’avvisaglia di qualcosa che non va… mal di pancia!

Per ora è solo un pensiero, dopo che sono stato male ieri il pensiero diventerà poco a poco ansia… Preoccupato di non arrivare fino in fondo cerco di tenere a bada le gambe che vorrebbero andare più forte.

Verso metà gara sono in zona Queens, vedo il quartiere da sopra un grande ponte, in salita ovviamente.

Sono un po’ demoralizzato perché ho appena visto il tempo della mezza ed è molto più lento di quello che volevo… L’orologio non risponde! Ho rallentato troppo? Dove ho sbagliato?

Cerco di calcolare il ritmo a cui sono andato ma il diagramma di Nyquist che disegno nella mia mente per verificare la stabilità non c’entra nulla con la realtà e mi demoralizzo ancora di più.

Sotto di me mi pare di vedere palazzi vecchi, più o meno come quelli da cui si affacciava Eddie Murphy gridando “Ti amo New York” e mi viene in mente solo la risposta ricevuta…

Per di più sta per arrivare il ponte di Queensboro… il maledetto ponte di Queensboro…

Daniele aveva detto che era il punto peggiore della gara. Si dimostra tale: tutto in salita e lunghissimo.

Qui credo di aver tenuto il passo più lento di tutta la maratona e, soprattutto, di non averci capito un Queensboro.

Intanto la salita sembra inizi molto prima del ponte lungo 1 km e 100. Mi aspettavo di arrivare a metà ponte e iniziare a scendere, seeee lallero! Una volta giunto all’isola in mezzo al fiume il percorso ha continuato a salire, e lo ha fatto fino a Manhattan, quando la discesa si è manifestata in due tornanti ripidissimi a cui non ho saputo resistere e verso i quali mi sono lanciato in picchiata.

Via, via il più lontano possibile dal Queensboro.

 

First Avenue. Un rettilineo lunghissimo, assordante ma gestibile, tutto sommato divertente. Temevo per il suo saliscendi, non ho patito per niente. Forse aver sofferto così tanto il ponte è servito a qualcosa.

 

Ero anche un po' distratto: cerco Cassandra tra la folla. Non la vedo. Cerco Cassandra, non la sento… Non è che si è persa a New York? Stai a vedere che dopo la maratona ne devo fare un’altra per riportarla a casa… Già mi vedo al commissariato a cercare di fare un identikit e ogni volta mi disegnano la Fornarina (io la vedo così).

 


Conto le strade dalla 66° alla 120° senza vederla, arriva un altro ponte e la salita mi riporta alla realtà: siamo nel Bronx, da dove inizia la fuga dei Guerrieri della notte. Tutto bello, tranquillo e veloce, come in tutta la maratona la gente è festosa e offre di tutto: dal bicchiere di birra, alle bottigliette d’acqua, alle banane (che prendo al volo), ai gel, ai semplici fazzoletti di carta o solo una mano da schiaffeggiare per farsi dare forza.


Un cartello avvisa “The last fucking bridge!”.

Tutto contento vado verso la discesa. Un’ambulanza parte a sirene spiegate, la tranquillizzo baldanzoso “Dopo! È ancora troppo presto!!!”.

Nessuno mi capisce ma guardando il mio cappellino mi incoraggiano chiamandomi Flash.

 

Giriamo attorno ad un parco e già intravedo Central Park dove inizia la quinta strada con la sua salita e proprio lì il mal di pancia, fino ad ora gestibile, torna alla carica in modo prepotente.

I crampi allo stomaco e questa salita che sembra lunghissima sono capaci di rallentarmi parecchio, almeno fino a quando non entriamo un paio di chilometri più in là nel parco.

 

Mancano sei chilometri. Non lo sapevo, sapevo solo di vedere la luce.

 


È autunno, la mia stagione preferita. Mentre cadono le foglie dai tanti alberi attorno a noi, scendo verso il fondo del parco superando gente che come me non ce la fa più.

A volte vengo ancora salutato dal pubblico, forse per la velocità apparente, forse per il cappello di Arale, forse perché in quel momento c’ero solo io da salutare… I successivi quattro chilometri mi autoconvinco che ne mancano solo due.

 

Usciamo da Central Park. Sull’orologio un messaggio di mia sorella dall’Italia mi dice: dai, manca solo un km!

Solo allora mi rendo conto che è fatta.

 

Continuo a correre come posso, sapendo che fino agli ultimi cento metri non vedrò il traguardo. Quasi non sento l’emozione per il mal di pancia, taglio il traguardo.

Stordito e incredulo di esserci arrivato, in 3 ore e quaranta.

Se mi avessero chiesto di firmare per questo tempo prima della partenza non credo lo avrei fatto, ma dopo averla fatta…

 

Un viaggio, in mezzo ad una parte di Stati Uniti che non avevo ancora visto e gustato, in una città che festeggia questa gara come mai nessuno ha fatto e farà.

Migliaia di cartelli e di mani tese per dare la carica a quasi sessanta mila sconosciuti.

Mentre mi mettono la medaglia al collo la commozione prende il sopravvento, finalmente inizio a rendermi conto.

Sono tutti felici e piango. Anche io sono felice.

 

È stata veramente dura, probabilmente per le mie condizioni fisiche precarie e magari perché è veramente tosta come maratona. Non lo posso sapere ora, forse un giorno tornerò per scoprirlo.

Avevo detto sarebbe stata la mia ultima maratona... Ora non sono proprio sicuro di poter rinunciare a tutto questo divertimento. Sì, perché nonostante tutto mi sono divertito da morire.

Come premio per essere arrivato sano alla fine mi vado a prendere tre fette giganti di pizza al taglio ed una birra gelata.

Ci volevano!

Ora sono pronto a ripartire e, con la Fornarina Cassandra, andiamo verso un mercatino delle pulci che ho trovato mentre uscivo dalle transenne della maratona. Ovviamente al collo porto la pesantissima medaglia, nel senso che è veramente pesante, non solo figurativamente.

Al mercatino qualcuno mi fa anche le congratulazioni e sembra di essere finiti in un film di Woody Allen. Non compriamo nulla, anche perché poi vaglielo a spiegare a quelli del check-in che quel lampadario di vetri colorati l'ho preso ad un prezzo imperdibile. Tutto sommato l’atmosfera, che ancora non riesco a descrivere bene, mi piace molto, è proprio come in un film.

Sarà la pizza, sarà la birra, sarà l’Imodium, ora mi sento bene, cosa molto insolita per me dopo una maratona. Non ho alcun dolore alle gambe e ho voglia di camminare. Ci dirigiamo verso Central Park per andare a vedere il parco, direzione riserva idrica Onassis. Ci manca ancora un pochino per arrivarci, il parco è veramente grande, e nei pressi di alcuni campi da baseball una signora mi ferma per vedere la medaglia e poi mi fa pure una foto.

Girovaghiamo un pochino, inizia a far freddo e ritorniamo a casa. Sulla strada del ritorno, ormai al tramonto, sono ancora tanti che vedo uscire dal parco con la medaglia al collo e il poncho arancione. Vedo perfino i due signori di Bologna, marito e moglie, con cui ho chiacchierato durante il primo allenamento. Non potendola correre, l'hanno camminata. Si sono comunque divertiti.

Giunti in hotel, ancora non hanno rifatto la camera. Rimaniamo nella hall in attesa che finiscano. Fuori è ormai buio, saranno le sei e mezza passate e, silenziosa come un ninja, spunta nella hall una sciura che avrà avuto 70/75 anni. Dal poncho arancione della maratona spuntano solo la visiera del cappellino e un paio di occhiali, dietro i quali c'è il volto impassibile di chi ha vissuto qualcosa che non può raccontare. D'improvviso il marito, spaparanzato a leggere il giornale sulle poltrone della Hall, la vede e scatta ad abbracciarla. Lei non riesce neanche ad alzare le braccia per ricambiare. Lui non la molla e rimane così per qualche minuto. Inizio a pensare che appena la lascia, lei crollerà come un pezzo di stoffa bagnato.

Invece, appena la libera, questa senza una parola e senza alcuna espressione sul volto si dirige verso l'ascensore. Se il marito non l’avesse seguita di corsa, sarebbe rimasto a piedi. Anche questo è partecipare a New York.

Dopo cena usciamo a fare una passeggiata. È l'ultima serata in questo quartiere e vogliamo salutarlo facendo un'ultima spesa al mercatino.

Tra le tante cose che mi hanno colpito della città, a parte l’odore di marjuana ovunque, ci sono le biciclette elettriche. In realtà non mi hanno colpito, ma ci è mancato poco.

Sono dei missili terra aria!

Accanto al marciapiede delle strade di Manhattan c'è sempre la ciclabile. Prima di attraversare, anche se il semaforo è verde, bisogna sempre fare attenzione a questa corsia perché vi passano dei razzi che a volte neanche si fermano ai semafori. Altro che Glovo, qui a New York ci sono dei pazzi assassini che se non stai attento ti portano via con loro e ti consegnano assieme alle pizze.

venerdì 7 febbraio 2025

Sabato 2 novembre


Notte travagliata, la cena mi ha fatto stare male, per fortuna ho un giorno per recuperare. In ogni caso avevo già deciso di lasciare libera Cassandra di scorrazzare per il Moma ed io avrei deciso con calma cosa fare.

Prima decido di uscire a corricchiare, giusto una sgambatina per vedere l’altra parte di Central Park che non abbiamo visto ieri. Il ritrovo è sempre alle 7. Oggi è molto più fresco e ci sono meno persone rispetto a ieri.

Ci dirigiamo verso l’ingresso del parco. Una volta arrivati invece di andare a destra ci muoviamo verso il centro e poi a sinistra. La destinazione è il Central Park Reservoir, oggi laghetto Jacqueline Kennedy Onassis, sia per il suo contributo alla città sia perché ci veniva a correre quasi tutti i giorni.

 

È un bel laghetto e fino a pochi anni fa, il 1993, riserva idrica di Manhattan. Ci affacciamo meravigliati e iniziamo a girarci attorno. Daniele ci consiglia l’altro lato per fermarci a fare le foto, ed effettivamente quando ci arriviamo gli dobbiamo dare ragione: lo specchio d’acqua riflette gli alberi e lo skyline dei grattacieli che iniziano a illuminarsi per l’alba. Fantastico.

Concluso il giro si torna indietro ma sono ancora troppo carico e faccio un altro pezzo di lago per poi tornare da un’altra strada del parco, in ogni caso ritroverò il gruppo all’uscita. Ora possiamo iniziare la giornata.

Con la metro 1 andiamo verso Downtown, siamo vicini a Time Square, giusto qualche centinaio di metri e arriviamo al MOMA, apre alle 10,30. Pur con un pochino di anticipo la fanno entrare ugualmente.

Bene ora ho la città tutta per me, sì, lallero. Sarà che sono rimasto solo, sarà che forse stamattina ho corso troppo, sarà che l’effetto delle medicine starà svanendo, inizio a sentire le gambe molli e cedenti.

Riprendo la metro 1 per Uptown e ritornare verso l’hotel, forse riposandomi un pochino mi riprenderò. Sfortunatamente non avevo fatto i conti con i trabocchetti della Subway!

Anche se ho preso la direzione giusta, invece del Local sono salito su un Express. Dovevo scendere alla 79° ma me ne rendo conto solo quando il treno non si ferma a nessuna stazione intermedia. Stavolta sono davvero caduto in una chtrappola.

81°, 83°, 85°… 101°, 105°…. 121°… 125°! Ecco che finalmente si aprono le porte!

Scendo e aspetto il treno giusto, che ci metterà molto di più. Devo rifare tutte le fermate.

Questo scherzo mi è costato la mattinata.

Pranzo e inizio a pianificare il pomeriggio, vorrei noleggiare una bicicletta e girarmi con calma Central Park. Chissà quanti angoli suggestivi da fotografare troverò… Gli imprevisti non finiscono qui.

Mi sento ancora male e la biciclettata salta.

Non è un paese per vegetariani.

 

Chiuso in hotel mi vengono in mente le scende dei film in cui si sentono le sirene della polizia. Le sento anche io proprio ora e mi rendo conto che ce ne sono tantissime e molto diverse tra loro: della polizia, delle ambulanze e dei pompieri. Solo ora ci faccio caso ma sono davvero strane e allo stesso tempo famigliari. Alcune sembrano uscite da dei videogiochi degli anni ’80. Affacciandomi alla finestra a volte mi aspetto di vedere un Pacman gigante che passa a mangiarsi le auto in sosta, magari potrebbero arrivare un paio di astronavi di Galaga che si inseguono. Non ci avevo mai fatto caso perché nei film pensi sempre che siano parte degli effetti speciali, invece sono proprio reali.

Quando inizio a sentirmi un po' meglio è già ora di andare a recuperare Cassandra. Ovviamente la trovo imbronciata, per non dire contrariata. Non è riuscita a vedere tutto quello che c’era da vedere nel museo. Me l’aspettavo eh, però almeno sono riuscito a tenerla impegnata tutto il giorno senza che perdesse tempo con un moribondo come me.

 

Tornando a casa scendiamo alla fermata della 72° strada, stavolta abbiamo preso il treno giusto. Ci fermiamo in un supermercato abbastanza affollato, soprattutto di maratoneti. Quando usciamo salutati dalle solite sirene da film non si può non essere travolti dall’intenso aroma di marjuana che sembra essere ovunque nella città. C’è molto smog ovviamente, siamo in una metropoli, non so dire se ci sia più marjuana che smog. Non me l’aspettavo. Speriamo almeno che averla respirata mi aiuti a calmare l’ansia e mi faccia dormire stanotte, domani ho una maratona da portare a casa…

giovedì 6 febbraio 2025

Venerdì 1 novembre

 


Questa mattina mi sveglio presto. Nonostante il gran sonno alle 4 sono già in piedi. I pensieri pre-gara sono sempre pronti a gettarmi nell'insonnia appena socchiudo gli occhi, per poi non mollarmi più.

Alle sei mi dovevo comunque alzare a fare colazione perché alle sette ci si trova nella hall per fare una corsetta con gli altri maratoneti che alloggiano in albergo.

Usciamo e fa ancora abbastanza caldo, anche se meno di ieri. Camminiamo fino ad altri due hotel dove ci sono molti altri runner. Partiamo piano, molto piano, pianissimo.

Si chiacchiera un pochino, c'è chi come me è alla prima esperienza newyorkese e chi un veterano. La maggior parte devo dire mi sembra qui solo per partecipare, come me del resto, ma c'è anche qualcuno che aspira a fare il proprio personale.

In pochi attimi siamo già a Central Park, dove prendiamo la strada che domenica ci farà uscire dalla maratona.

Ci sono già transenne ovunque ed è ancora buio. Sbircio a destra e sinistra e intravedo uno specchietto d'acqua dove iniziano a risplendere i primi riflessi rosa arancio dell'alba. Scappo a cercare un affaccio, tanto vanno così piano che li riprendo.

Uno scorcio fantastico.

Dietro di me qualcuno mi ha seguito, finisce sempre così, io scopro i posti migliori e gli altri mi copiano, magari poi fanno pure foto più belle...

Va be’, torniamo indietro e li trovo ancora là che zampettano verso quello che sarà il traguardo di domenica. Arriviamo da dietro ma va bene, un paio di selfie poi proseguiamo nel parco ormai inondato da una luce arancio tenue che rimbalza sugli specchi degli altissimi grattacieli che circondano il parco.

In questo momento mi viene in mente che mi sono sempre sentito fortunato a correre quasi tutti i giorni al parco degli acquedotti, specialmente all'alba e al tramonto, ma devo ammettere che anche i newyorkesi sono piuttosto fortunati.

La corsetta arriva ad una grande via pedonale con grandi alberi ai lati che ci salutano gettando ai nostri piedi le foglie giallo arancioni, quindi si ritorna indietro per andare a cercare lo Strawberry Fields, il punto dove è stato fatto un monumento a John Lennon, che viveva praticamente dall'altra parte della strada e fu ucciso proprio sotto il suo palazzo, il Dakota Building.

Selfie e si torna in hotel, almeno gli altri. Io continuo a fare un'altra corsetta tornando al parco... Quando mi ricapita?

La mattina prosegue sempre in compagnia degli atleti che vanno a ritirare il pettorale. Si prende la metropolitana dirigendoci a Downtown e nel giro di mezz'ora siamo a destinazione. Daniele spiega che bisogna fare attenzione ad un altro aspetto subdolo della subway: se sul vagone c'è scritto Express e non Local, allora è meglio desistere e aspettare la prossima corsa, altrimenti si rischia di ritrovarsi dall'altra parte della città. Express infatti è la linea veloce che salta a volte anche una decina o più di fermate. Mo me lo segno.

Il punto di ritiro del pettorale è il solito carnaio di gente, non tanto per il ritiro del pettorale (procedura abbastanza veloce), quanto per i negozi e gli stand che regalano gadget.

Purtroppo ci accodiamo alla fila sbagliata. Entriamo nel girone dei condannati agli acquisti ai punti vendita del merchandising della maratona, cosa che non volevo fare.

All'uscita gli stand dei gadget non sono moltissimi, per lo meno non sono uno in fila all'altro come in Italia, però alcuni sono veramente lenti e io mi vado ad impelagare in uno dei peggiori, perdendoci quasi mezzora, tempo prezioso che avrei preferito impiegare per iniziare a vedere la città.

Fuori di lì andiamo verso il Vessel, una strana struttura che a me ricorda una grande Pigna rovesciata, che sta proprio sotto il grattacielo The Edge. Il Vessel è stato chiuso per diverso tempo perché qualcuno ha ben pensato di salire per poi buttarsi di sotto. Ora lo hanno attrezzato con reti di protezione e riaperto.

 

Non abbiamo tempo per questo, magari un altro giorno. Dopo aver mangiato alla sua ombra, andiamo a “prendere il treno” che sta partendo sulla High Line. Si tratta una antica linea ferroviaria che attraversava questa parte di città su binari sopraelevati. Esiste ancora, trasformata in un parco lineare che, da una certa altezza, permette di attraversare i palazzi, nuovi e vecchi, sotto lo sguardo vigile dei grattacieli.

 

Un solo inconveniente. Il sole. Fa caldo, non come ieri ovviamente, ma nei punti più scoperti il sole si riflette sui tanti palazzi e grattacieli a specchio. Mi sento un po' come una formica presa di mira da un pestifero bambino che dirige i raggi solari verso di noi attraverso una lente d'ingrandimento gigantesca. 

Per fortuna non dura molto e nemmeno la High Line è molto lunga. Prima di scendere definitivamente andiamo praticamente a sbattere contro il Chelsea Market, mercato coperto in cui la fanno da padrone ristoranti e qualche negozietto. Il bello è la struttura che lo ospita: un vecchissimo magazzino portuale, siamo vicinissimi al mare. Pur non comprando o mangiando nulla, è molto bello passeggiarci dentro.

Usciti dal Market, prima di riprendere il treno andiamo a vedere la Little Island, piccola isola artificiale costruita su una serie di imbuti di cemento sfasati in altezza tra loro. Come un piccolo parco in miniatura. Simpatica.

Risaliamo sulla High Line ma è praticamente finita. Per fortuna il capolinea coincide con l'ultima tappa della giornata, il Whitney Museum.

Avevo programmato tutto ovviamente, sono mesi che mi studio questo viaggio nel dettaglio per incastrare più cose possibili e non avere troppi tempi morti. Per fortuna una città come New York ha talmente tante cose da vedere che il problema era solo quello di fare il tetris con gli orari dei musei e dei mezzi. Alla fine devo dire sono rimasto soddisfatto.

Non posso dire altrettanto del Whitney. Ero conscio del rischio che correvo. Non sono un ammiratore dell'arte moderna statunitense, non tutta. Non è stata una trappola in piena regola, buona parte delle opere sono riuscito ad apprezzarle, specialmente i quadri di Hopper.

 

Usciamo dal museo che ormai è ora di cena, quindi torniamo in hotel e facciamo una piccola spesa, che per me si rivelerà fatale...

mercoledì 5 febbraio 2025

Giovedì 31 ottobre

Questa volta siamo da soli. Niente gruppo, niente voli disperati ad orari impossibili con scali terrificanti stile Avventure nel Mondo. In tutti questi anni di viaggi sono stato infettato dal morbo delle profezie funeste che si manifestano immancabilmente in queste occasioni:

vedevo scendere me e Cassandra dall’aereo stravolti, senza i bagagli perché smarriti, sbagliando metropolitana che ci avrebbe portato a destinazione non prima di tre ore... Saremmo finiti a dormire in mezzo alla strada fra gli scatoloni come i due miliardari di Una poltrona per due… I Duke.

 

Mentre siamo in attesa di imbarcarci, per distogliermi da queste angosce comincio a pensare alla nostra destinazione e, seduto sulle poltrone davanti all’imbarco, scrivo quanto segue:

  

Non sono mai stato a New York, eppure è una di quelle città che tutti hanno già visto moltissime volte, senza quasi rendersene conto, nei tanti film che la ritraggono.

 

Io ci vado per fare il Maratoneta.

Molti la ricordano perché qui si sono presentati Harry e Sally o per cercare dove Micheal Corleone ha fatto fuori Sollozzo, oppure vedere dove Audrey ha consumato la colazione più salata della storia, sebbene in realtà ci sono pure locali in cui agli angeli servono fagioli.

 

Vedrò New York in autumn, correndo, non sarò famoso, nemmeno un highlander, mi basterà fare come i guerrieri della notte che attraversando la città cercheranno di Staying Alive...

 

Malgrado le buone intenzioni, temo che dopo la maratona crederò di essere John Malkovich o perfino Serpico.

A proposito di New York, molte cose le abbiamo già viste tutti. I soliti sospetti sono che quei bravi ragazzi ci abbiano spoilerato il viaggio, ma in fondo Basta che funzioni. Del resto non sono un Dittatore e se a China Town finissi in un grosso guaio, come quando piovvero pallottole su Broadway, che cosa farei? Chi chiamerei? I Ghostbusters? Forse meglio gli Avengers.

 

È una città da favola, proprio come quelle dove le storie iniziano con C'era una volta a New York la leggenda di Carabaggio, che non ha il quinto potere di Mr Crocodile Dundee... Ma se passeggeremo sulle strade scoprendo la Forrester di Central Park, alla fine del viaggio torneremo felici realizzando che C'è posta per te.

  

Il tempo di finire di scrivere, ci chiamano per imbarcarci. Speriamo che le profezie funeste siano partite con un altro aereo…

 

E sembra proprio così! Arriviamo in orario, troviamo subito i mezzi e con pochi dollari e un’ora di tempo trascorso a cambiare metropolitane siamo già in hotel. Abbiamo messo meno del tempo che avremmo impiegato a Roma per arrivare dall’aeroporto a casa. L'unico vero inconveniente lo sperimentiamo alla fermata Columbus Circus: un circo di stazione in cui si incrociano diverse linee. Per trovare la direzione giusta dobbiamo scorrazzare dieci minuti su e giù per le scale strette, sobbarcandoci i trolley ovviamente.

Il problema delle metropolitane di New York lo individuiamo subito: la rarità di scale mobili e/o la presenza di scale strette, indicazioni poche e di non facile interpretazione. Per il momento niente di traumatico.

In hotel conosciamo Daniele di Ovunque Running, che dà a tutti appuntamento a domani mattina per una corsetta a Centrak Park.

Prima di cena usciamo a fare un giro per il quartiere perché è presto, per di più oggi è Halloween: tutti sono in giro travestiti a raccogliere dolci. Genitori che portano figli, figli che trascinano genitori, ognuno sul piede di guerra all'assalto di qualunque porta si affacci sulla strada: candy, candy, candy!!! Non è la canzone del cartone animato degli anni ‘80, non è nemmeno una richiesta, è una pretesa, un annuncio, un comandamento minaccioso. Vedendoli aggirarsi con quegli occhi famelici e minacciosi, sospetto che la maggior parte dei bambini ne abbiano già mangiati abbastanza. Sono così su di giri che sembrano sotto l'effetto di droghe pesanti.

I negozi, le pizzerie, i pub, i fruttivendoli, le lavanderie, gli hotel e portieri dei condomini sono prede troppo ghiotte per questa orda impazzita di lemmings che migrano da una portale all'altro.

E i genitori? Stanno a debita distanza, controllano, comunque fuori dalla portata della frenesia.

Dopo cena torniamo fuori, fa molto caldo, ci saranno circa ventotto gradi nonostante sia buio. Mi prende l'ansia per domenica. Se farà così caldo… Temo, non solo di non finire la gara, ma di stare male, cosa che qui a New York non mi posso permettere, in tutti i sensi.

Gironzoliamo fino a trovare una strada chiusa al traffico dove le case sono state addobbate a dovere con luci, zucche, pupazzi, scheletri, ragnatele. I padroni di casa fanno da distributori di dolci. Alcune case hanno anche piccoli trucchi per spaventare i bambini come luci, fantasmi che si muovono avanti e indietro tra una finestra e l'altra, fumo che scende tra le luci colorate creando una nebbia da film horror e un ragno gigante, tipo un gatto, accoccolato sul marciapiede: ogni tanto gli si accendono gli occhi di rosso e fa un balzo in avanti tra le urla terrorizzate dei bambini e le risate dei genitori.


Ci sono perfino i sosia della copertina del libro Antologia di Spoon River.

Come prima sera direi che si inizia bene, caldo a parte.

come in un film

 

La necessità di andare in vacanza per staccare la spina, sentirsi meglio, lontano dai problemi di tutti i giorni non va forse in contraddizione con il pensiero che non esiste posto migliore della propria casa?

Allora...Perché parto per un viaggio appena posso?

Sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, di più bello. So che in realtà potrebbe non esistere, comunque non vedo l'ora di andarmene per scoprire quanto di meraviglioso il mondo ha ancora da offrire.

Sono solo uno stupido sognatore, consapevole che vedrò molti specchietti per allodole, trappole per turisti capaci di ammaliare e incantare, senza guardare la realtà che ci circonda. Che ci posso fare se in questa mia balordaggine trovo anche un barlume di felicità?

C'è un gruppo su facebook che si chiama “Spenderò tutti i miei soldi in viaggi”. Quando l’ho scoperto ho pensato fosse un'ottima idea da realizzare. Sono andato oltre: ho già speso tutti i miei soldi in viaggi.

Purtroppo non posso dire di aver visto il mondo e vorrei vederne il più possibile finché ho possibilità.

Tra le mete ad oggi mancanti, una particolarmente interessante sebbene completamente differente da quelle sperimentate finora: New York.

In realtà una volta ci sono andato vicino, quando l'ho sorvolata per atterrare a Newark di ritorno dall'Alaska.

Quale momento migliore se non per la maratona più famosa e ambita del mondo?

Quale momento migliore per festeggiare il mezzo secolo che sono su questo pianeta a rompere i cosiddetti a chi mi conosce?

Nessuna speranza di vincere questa maratona e diventare famoso per averlo fatto a cinquant'anni compiuti, ma nemmeno di battere la migliore versione di me stesso. La prendo ormai come una delle ultime opportunità rimaste per correrla in maniera, speriamo, dignitosa.

Basta con ‘sta lagna, già sento Cassandra che commenta e mi segna in rosso le parti pesanti.

Meno male c'è sempre lei al mio fianco, anche in questa nuova avventura, sperando non si perda il giorno della gara... Altrimenti di chilometri per ritrovarla ne dovrò fare molti di più dei 42 previsti.