giovedì 17 marzo 2016

LA VILLA ED IL CIRCO DI MASSENZIO

Dopo circa un anno dalla mia prima visita a Roma, torno tra il secondo e il terzo miglio dell'Appia antica, dove ancora resiste al passare dei secoli il circo di Massenzio. Nota dimensionale: un miglio romano sono all'incirca un chilometro e quattro.
Siamo sull'Appia antica, una delle cose più belle e sottovalutate di tutta Roma, impossibile non parlarne. Come tratto urbano partiva da porta catena, l'attuale piazza Numa Pompilio, e arrivava a porta San Sebastiano. Da qui fino a Frattocchie era il tratto definito suburbano, ovvero quello che attraversava la campagna romana. Oltre questa zona iniziava l'Appia extraurbana, che a tutt'oggi arriva fino a Brindisi.
L'Appia fu costruita da Appio Claudio cieco, soprannome derivante dalla cecità che lo colpì in tarda età. Appio cieco era un personaggio illustre della repubblica che costruì oltre alla via Appia, anche l'acquedotto Claudio. Anche da questo si può capire come mai Augusto, quando fece il suo Foro, vi mise una statua che lo raffigurasse e lo ricordasse.
In realtà Appio cieco con l'Appia ricostruì una strada che già esisteva e conduceva a sud, fino a Santa Maria Capua Vetere. Ovviamente lo fece per prestigio, ma soprattutto per poter permettere a Roma di conquistare il resto del sud. Prolungando la strada nel 190 a c fino a Brindisi, Roma conquistò tutte le terre e le popolazioni che incontrava, aprendosi così una via verso l'oriente, proprio attraverso il porto di Brindisi.
Larga di media 10 metri, per consentire a due carri di passare e ai pedoni di camminare sui marciapiedi laterali, inizialmente era stata costruita con dei basoli di tufo e poi selciata con i basoli vulcanici. Nel 500 d c era ancora considerata una delle migliori strade mai viste per la sua perfezione costruttiva.
I curatori della via Appia infatti venivano scelti tra i personaggi più importanti della politica di Roma, ed era il gradino appena precedente alla carriera di Console. Con il passaggio dalla repubblica all'impero, la strada non perde importanza, anzi, saranno molti gli imperatori che faranno dei lavori su di essa.
L'archeologa sottolinea che i romani, se non avessero avuto queste strade, non sarebbero mai diventati un impero così grande e duraturo. La via Appia è sempre stata importante, perfino quando gli americani entrarono a Roma nella seconda guerra mondiale passarono sull'Appia.
La villa di Massenzio è uno dei gioielli che si possono ancora ammirare al giorno d'oggi lungo l'Appia. Quindi non c'erano solo tombe, ma anche vigne e ville rustiche. Queste ultime infatti, in torno al primo secolo a c, si trasformarono diventando delle residenze di lusso in cui i ricchi romani venivano a trascorrere il loro tempo libero, il famoso “ozium” dei romani: tempo dedicato alla cultura, all'arte e al relax.
Col passare degli anni le ville diventano veri e propri palazzi imperiali e i grandi possedimenti che si affacciano all'Appia, vengono annessi poco a poco a quello che era il demanio imperiale.
Un altro magnifico esempio è la Villa dei Quintili, dove due fratelli molto ricchi e nobili, vennero uccisi dall'imperatore Commodo a causa di “affari interni”, e poi anche per poter annettere i loro possedimenti, villa compresa, al demanio imperiale.
Stesso destino tocco alla villa di Massenzio che, in epoca repubblicana era una residenza agricola, e venne poi in tarda età repubblicana acquistata dalla famiglia degli Anni, nobile famiglia romana. Nel secondo secolo d c tutto questo luogo, compreso la parte dove sorse Cecilia Metella, divenne proprietà di un importantissimo filosofo e studioso greco di nome Erode Attico. Costui era niente meno che il precettore di Marco Aurelio, colui che poi sarebbe diventato imperatore. Erode acquistò il terreno trasformandolo in un enorme tenuta per sua moglie, Annia Regilla.
Ancora non si sa quanto fosse vasto il possedimento di Erode, ma si sa che si chiamava Triopio, a ricordare le sue origini greche. Pare fosse qualcosa di magnifico, con varie dependance, un giardino lussureggiante con tanto di fontane e molto altro ancora.
In realtà la moglie di Erode morì in circostanze misteriose, tanto che molti lo incolparono. Fu per difendersi da tali accuse che costruì questo enorme possedimento, dedicandolo così a sua moglie. Fece erigere perfino un tempietto dedicato ad Annia Regilla, una tomba meravigliosa e altri templi dedicati alla dea Proserpina, alla ninfa Egeria e ad altri dei. Tutto in onore della moglie scomparsa.
Non avendo eredi, alla sua morte l'impero acquistò tutto e agli inizi del 300 d c l'imperatore Massenzio ci poté costruire la sua famosa dimora.
Ciò che rimane oggi della villa non è in buono stato, infatti già dal medioevo tutta l'Appia fu soggetta a spoliazioni che servirono per costruire, non solo le casa in città o chiese e cattedrali, ma perfino le semplici case di campagna dei pastori.
Massenzio nacque nel 278, figlio dell'imperatore Massimiano, si era diviso l'impero con il fratello Diocliziano perché troppo vasto. Prese il potere a Roma per acclamazione dei soldati, ma senza che nessuno lo avesse legittimato. Sono gli anni in cui Costantino cerca anche lui di prendere il potere.


Massenzio per legittimare il suo potere, decide di riportare la capitale dell'impero Roma, fino a quel tempo infatti Diocliziano l'aveva spostata a Milano.
Sarà l'ultimo a riportare il centro dell'impero a Roma, dopo di lui Costantino stabilirà a Bisanzio la capitale.
Massenzio governò poco, dal 306 al 28 ottobre del 312, quando morì durante la battaglia di ponte Milvio contro Costantino, il quale, avendo sposato sua sorella Fausta, era pure suo cognato.
In questi pochi anni di regno Massenzio realizzò la sua Basilica ai fori imperiali e questa immensa villa sull'Appia.
Composta da tre parti, la prima era il circo, unico esempio di circo rimasto a Roma ben conservato. Non era il più grande, qui ci potevano entrare al massimo diecimila persone, ma il potervi passeggiare dentro è ancora un emozione unica.
Oltre agli spalti per gli spettatori, sul lato corto vicino all'Appia, c'erano le carceres, ovvero i cancelli da dove entravano le bighe e le quadrighe.
Le cellette di partenza erano dodici, e per scegliere in quale partire c'era un'estrazione delle quattro fazioni partecipanti, che sceglievano partendo dal loro cavallo di punta.
Dietro le carceres, quindi fuori del circo, si ipotizza che ci fossero le stalle dei cavalli. Ai lati delle carceres c'erano invece la torre sud e la torre nord, ove erano posizionati i giudici di gara.
Tutto attorno alla pista rimangono i muri su cui vi erano le gradinate, capaci di ospitare circa diecimila spettatori. Gli spettacoli, nonostante il circo fosse nella villa imperiale, erano aperti a tutti, proprio per tenere buono il popolo che in questo modo dava il proprio consenso. Le corse erano, assieme ai gladiatori, uno dei divertimenti che i romani apprezzavano di più.
Al centro della pista c'era una struttura detta spina, intorno alla quale i fantini compievano sette giri. Sulla spina stava la tribuna dei giudici che controllavano l'andamento della gara e determinavano i giri restanti.
Al centro delle gradinate, nella parte vicino al palazzo imperiale, è ancora visibile una struttura più alta, la tribuna imperiale.
Prima della gara veniva tenuta una processione dall'organizzatore dei giochi, la cosiddetta pompa dei giochi. Entravano quindi giocolieri, saltimbanchi, musicisti e sacerdoti, che giravano nel circo raccogliendo gli applausi del pubblico.
Il via alla corsa veniva dato facendo cadere un fazzoletto bianco, ma la gara vera e propria iniziava quando i cavalli incrociavano la linea del palco imperiale.


I cavalli giravano per sette volte fino alla meta, un grande cono rovesciato posto alla fine della spina, costruito per dare un riferimento ai fantini che in questo modo, vedendolo avvicinarsi anche in mezzo alle nubi di polvere, sapevano dove avrebbero dovuto girare.
Per segnare i giri, in mezzo alla spina c'erano delle colonne su cui vi erano sette uova di pietra e sette delfini. Quando un uovo veniva fatto cadere indicava un giro completo. Altro metodo era far cadere un delfino oppure fargli spruzzava acqua dal dorso, come una balena.
Finita la gara i perdenti uscivano dai lati del ed il vincitore faceva il giro del trionfo. In fondo c'era un altra porta, dedicata a venere Libitinaria, la protettrice dei morti. A Roma infatti nel suo tempio veniva tenuto un registro dei morti. Durante le gare non c'erano così tanti morti come si potrebbe immaginare, ma gli incidenti erano all'ordine del giorno. I feriti venivano portati via dagli inservienti proprio da quella porta.
Le gare potevano anche durare un giorno intero, per cui tra una sessione e l'altra l'imperatore si ritirava all'interno della grande struttura del suo palco, che conteneva diverse altre stanze.
Anche i giudici, nel loro piccolo, avevano dei locali in cui ritirarsi. Il pubblico invece poteva uscire o mangiare direttamente sugli spalti quello che i bibitari vendevano loro.
Oggi oltre allo scheletro del circo non rimane molto, ma sulla spina c'erano delle fontane ed un obelisco, quello che oggi sta a piazza Navona, sopra la fontana dei fiumi. L'obelisco in realtà arrivava proprio da lì, dove Domiziano costruì il suo stadio e ci mise l'obelisco. Massenzio lo prese e lo trasportò al centro del suo circo. La sua particolarità è che non si tratta di un pezzo originale: fu Domiziano a farlo costruire ed incidere con geroglici causali o inventati. Difatti quando gli egittologi tentarono di leggerlo non ci capirono nulla.
Solo successivamente papa Innocenzo X nel 1600, quando chiese a Bernini di progettare la fontana lo fece ritrasportare nel suo luogo d'origine. Altra curiosità della struttura del circo è che fu costruito in un momento di transizione dell'architettura romana: invece dei soli mattoni, venne utilizzato anche il tufo. Siamo nel trecento.
L'altra struttura visitabile oggi è un grande quadriportico, ovvero una piazza porticata. Non se ne è certi ma forse c'era pure un piano superiore ai portici coperti. Al centro c'è un cortile collegato da varie aperture che lo univa al circo ed alle altre strutture della villa. Qualcuno pensa che ci potessero essere anche i box, le stalle, dei cavalli del circo.
Al centro del giardino interno fu eretto il mausoleo di Romolo, figlio di Massenzio. Questo mausoleo riprende da una parte quello di Alicarnasso, una delle sette meraviglie del mondo antico, e dall'altra il Pantheon, la famosa casa dei dodici Dei dell'impero romano.
Entriamo passando dalla casetta agricola fatta costruire a ridosso del mausoleo dalla famiglia Torlonia.
All'interno, nella prima stanza, possiamo vedere sulle pareti quattro riquadri dove sono rappresentati dei cavalieri, fantini e gladiatori, che hanno ben poco a che fare con il mausoleo. Sembra che qui per qualche tempo ci fu una locanda, una delle tante stazioni di servizio lungo l'Appia.
Nel centro della struttura interna c'era un grande pilastro che serviva a sorreggere la struttura a cupola, ai lati invece si aprono diverse nicchie usate per alloggiare i sarcofagi dei defunti. Probabilmente oltre al sepolcro per il figlio di Massenzio, sarebbe dovuto servire anche per ospitare tutti i defunti della famiglia.
Nella parte opposta da cui siamo entrati c'era un altro ingresso che si pensa possa essere quello privato dell'imperatore, probabilmente c'era un passaggio diretto per accedervi dal palazzo.
L'intonaco che ricopre tutto l'interno era di solo bianco e anche all'esterno, nonostante oggi si vedano solo i mattoni bipidali, doveva esserci una copertura di marmo bianco.
Della villa rimangono solo pochi resti della cosiddetta aula absidata, che doveva essere il palazzo imperiale, e qualche traccia delle terme e poco altro. Purtroppo non sono visitabili, per cui ci spostiamo pochi metri più avanti rimanendo sull'Appia antica.

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