venerdì 13 novembre 2015

Le case del Celio



Già duemila anni fa, Roma era soffocata dai palazzi, dai templi, ma soprattutto dalle insulae, dei grandi complessi di case popolari alte fino a cinque o sei piani.
Al giorno d'oggi, specialmente in centro, è difficile pensare che ci siano ancora delle Insulae visibili, invece non è così, solo che nessuno sa dove cercarle.
Un esempio molto evidente, ma che passa inosservato, sono quelle dell'Ara Coeli, alla destra dell'altare della patria. Un altro invece sono le case sotto il colle Celio, di fronte al Palatino.

Salendo il clivo di scauro, una strada antichissima che doveva collegare il circo massimo con il Colosseo, si arriva alla basilica dei santissimi Giovanni e Paolo. Questi non erano gli apostoli, ma due ufficiali dell'esercito di Costantino, martirizzati proprio in questo luogo per ordine dell'imperatore Giuliano l'apostata.
Sotto la basilica infatti, intorno al secondo secolo dopo cristo c'era un insulae con le sue botteghe. Accanto ad essa sorgeva una piccola domus. Successivamente tutto il complesso fu acquistato da un unico proprietario che lo unificò in una sola struttura, facendoci pervenire fino ai giorni nostri delle stanze affrescate in maniera spettacolare.

Ciò fu possibile proprio perché sopra di essa venne costruita la basilica, interrando così la insulae e la domus. Ma perché la costruirono?
Per via di Giovanni e Paolo: i due ufficiali dell'esercito di Costantino, che vivevano proprio in questa domus quando Giuliano divenne imperatore. Esso cercò di eliminare alla radice il problema dei cristiani e, dato che si conosceva l'orientamento religioso dei due ufficiali, questi vennero prima arrestati, poi incarcerati e quindi uccisi. 
 

Essendo stati assassinati in questa casa, i cristiani iniziarono a venire qui in pellegrinaggio per pregare sulle tombe dei martiri. Col passare del tempo fu eretta una basilica a loro dedicata.
Uscendo dal museo abbiamo giusto il tempo di ammirare uno dei pochi campanili medievali sopravvissuti di Roma, con i suoi piatti colorati incastonati tra i mattoni. Sotto di esso si possono vedere chiaramente le enormi pietre di travertino che un tempo componevano la base del tempio di Claudio. Chissà che un giorno non lo si possa visitare, per il momento non ci rimane che aspettare, e sognare ad occhi aperti.
Che male c'è a sognare?
Da quando ho iniziato a visitare Roma in compagnia di Cassandra io lo faccio tutti i giorni, ad occhi aperti, vivendo in due dimensioni parallele.
Ammirando dall'alto il Clivo di Scauro, ci addentriamo in un parco, altro angolo segreto, fiscalmente custodito da questa città, questa diva, tanto orgogliosa del suo passato, quanto gelosa dei suoi tesori ancora da scoprire. Tesori che neanche a dirlo, per il momento possiamo solo sognare.

giovedì 12 novembre 2015

Le tombe di via Latina



Vicino all'Arco di travertino, c'è un luogo poco conosciuto, forse anche dai romani stessi, che, pur non essendo grande e maestoso come gli altri gioielli della capitale, conserva delle tombe sorprendenti per quanto sono belle. Nemmeno Cassandra le conosceva, e lei ci abita da sempre a Roma.
La via Latina, come l'Appia antica, era una via consolare che aveva origine nello stesso punto da cui partiva l'Appia. Questa però portava da Roma a Capua.
Nonostante sia rimasto pochissimo di questa strada antica, ci sono ancora delle tombe sparse qua e la nel parco. Due di queste sono visitabili tramite l'ausilio di associazioni culturali.
L'ingresso alla via Latina è gratuito, mentre alle tombe si pagano gli archeologi per la visita guidata e il biglietto per le tombe. Noi ci aggreghiamo al gruppo e iniziamo l'esplorazione.
Saliamo lentamente sulla via e ci fermiamo all'ombra del sepolcro dei Corneli o Barberini. L'archeologa ci racconta che qui non sono conservati dei discendenti della potente famiglia romana, ma si chiama così solo perché tutta quest'area fu acquistata dai Barberini e adibita a terreno agricolo.


Mentre la guida spiega, sento ripetere tra i presenti: quello che non hanno fatto i barbari...
Il sepolcro, alto ben due piani, ha anche un ulteriore livello sotterraneo dove erano custoditi i sarcofagi.
Non è ancora visitabile perché lo stanno mettendo in sicurezza e sono in attesa di altri fondi, ma forse un giorno non lontano potrebbe essere aperto al pubblico, così come il sepolcro fortunati, dal nome dello scopritore di queste tombe. Di questo sepolcro rimane solo il livello sotterraneo ma sembra che una volta messo insicurezza potrà mostrare qualcosa di unico.
Appena prima di proseguire la passeggiata sul basolo, una pigna enorme sfiora di pochissimi centimetri la testa dell'archeologa. Una lisciata che altrimenti avrebbe concluso la giornata in maniera ben differente, soprattutto per la guida.
Cassandra mi guarda e io penso "lo aveva previsto". Ovviamente, da buona profetessa quale è, non ha detto nulla, perché sapeva che altrimenti avrebbe cambiato il tempo, lo spazio e pure l'energia della via latina, provocando un salto temporale che ci avrebbe catapultato a tutti nell'anno 72 dc.
Sto per ringraziarla ma lei è molto modesta. Cerca assumere l'aria di non ha fatto niente di tutto questo e così mi dice:
"Ma da dove arrivano tutti questi pini marittimi? Ai tempi dei romani non c'erano mica."
Non so cosa risponderle, al momento sono concentrato su due mila anni fa.

L'inconsapevole gruppo, graziato dall'ordine delle trite cariatidi, giunge così alla tomba dei Valeri. È una ricostruzione dell'ottocento, ma rende perfettamente l'idea di come doveva essere il sepolcro: un recinto circondava la tomba, alta due piani. Al livello del terreno c'era una sala che veniva utilizzata per i banchetti nei giorni in cui la famiglia si riuniva per stare vicina ai defunti. Scendendo le scale invece si entrava nella tomba vera e propria, la camera dove venivano depositati i sarcofagi o le giare, a seconda se il morto aveva deciso di farsi cremare oppure no.
Nella tomba dei Valeri si possono vedere pochissimi resti dei sontuosi marmi che ricoprivano la stanza, ma sul soffitto ci sono ancora degli stucchi in pasta di marmo molto ben conservati. Sulla volta sono rappresentate moltissime figure e, a eccezione di tutte le sculture romane che erano coloratissime, qui invece era stato lasciato volutamente tutto in bianco.
Dalla parte opposta della camera funeraria principale c'è anche un'altra stanza, le cui decorazioni sono completamente scomparse.
Risaliamo le scale e il gruppo viene diviso in due parti perché nella prossima tomba non c'è posto per tutti.
Al contrario di quella dei Valeri, della tomba dei pancrazi non sono rimaste le strutture superiori se non una parte del mosaico. In ogni caso non doveva essere molto differente. Le camere sepolcrali invece sono una vera e propria opera d'arte.
Nella prima stanza, a terra c'era un mosaico e poi, addossate alle pareti, diverse nicchie in cui venivano riposte le giare con le ceneri dei defunti. Sopra le nicchie invece c'era ancora un sarcofago strigilato con un iscrizione e i volti di due persone. Volti però rimasti incompiuti, probabilmente perché i defunti dovevano essere morti prima che l'artista avesse il tempo di imprimere i loro lineamenti nel marmo.

Il soffitto, ben affrescato, aveva un'apertura per comunicare con il piano superiore. Questo perché quando i parenti venivano a banchettare, lasciavano delle offerte calandole nella tomba. Offerte che poi col tempo finivano nel tombino in mezzo alla sala.
Passiamo nell'altra sala e lo spettacolo è ancora maggiore: un enormemente sarcofago occupa quasi tutto lo spazio. È stato fatto così proprio per impedirne il furto: in pratica prima hanno fatto la stanza e riposto il sarcofago, poi l'hanno chiusa dall'alto costruendoci sopra la tomba.


Il soffitto è arricchito così tanto da affreschi e stucchi che sembra quasi la tomba di un imperatore. La più bella che abbia mai visto. Non si riesce a staccare gli occhi dal soffitto e quasi non mi accorgo nemmeno dei mosaici che stanno sul pavimento.
Risaliamo perché il tempo è poco e i custodi ci intimano di uscire, liberi di girare per la via Latina. Immaginando che sotto ogni tumolo non ancora scavato, ci possano essere molte altre tombe simili, forse perfino più belle di questa.
Stento a crederlo ma potrebbe anche essere così. Roma ha ancora così tante storie da rivelare, che io non vedo l'ora di raccontarle.

mercoledì 11 novembre 2015

Lo Stadio di Domiziano




Come tutti sanno nell'antica Roma c'era l'anfiteatro Flavio, meglio conosciuto al giorno d'oggi come Colosseo. Usato per le esecuzioni, per gli scontri con animali feroci e soprattutto le battaglie dei gladiatori. Poi c'era il circo massimo, dove correvano le Formula uno dell'epoca: le bighe e le quadriglie. Divertimenti per il popolo che era letteralmente assetato di spettacolo, e anche un po' di sangue.
L'imperatore Domiziano, della famiglia dei Flavi, però cercò di dare qualcosa di diverso alla gente: le olimpiadi.
Fece infatti costruire uno stadio sopra l'allora campo marzio, uno spazio usato dall'esercito per le esercitazioni.


Anche se non è più visibile come il Colosseo o il circo massimo, lo stadio in un certo senso esiste ancora oggi, ma è rimasto ben poco del suo aspetto originale. Solo qualche muro e un paio di accenni di scale che portavano ai piani superiori. Ciò che possiamo vedere oggi è piazza Navona. Se la si osserva dall'alto infatti si riconosce facilmente la forma dello stadio, sui cui spalti sono state costruite le case che circondano la piazza. Al centro è rimasto il campo dove gli atleti si sfidavano. Era della lunghezza di uno stadio, ovvero l'unità di misura greca da cui la struttura prende il nome, circa 180 metri.
Il complesso era molto grande, largo poco più di cento metri, alto trenta, era lungo quasi 280 metri.
Qui venivano disputati ogni quattro o cinque anni le gare classiche delle olimpiadi greche, allo stile greco, ovvero nudi.
Non erano dei giochi molto popolari tra i romani che preferivano le lotte, di fatto la disciplina più popolare era proprio la lotta.
Domiziano fu tra i primi a capire che per avere il popolo dalla propria parte gli si doveva dare il divertimento, difatti fu lui che, oltre allo stadio, terminò di costruire il Colosseo ricostruì il circo massimo, andato in parte distrutto da un incendio.
Domiziano, nonostante cercasse di ingraziarsi il popolo, non si fidava di nessuno e gli bastava un semplice sospetto per mandare a morte chiunque. Istituì perfino una rete di spie in tutta Roma, così fitta che nessun cittadino poteva dormire sonni tranquilli per la paura di essere denunciato.
Dopo la sua morte, avvenuta per causa violenta, gli imperatori divennero, non più ereditari per diritto di nascita, ma chi stava al potere si sceglieva il proprio successore. Fu così che ebbe inizio il periodo di massimo splendore dell'impero.

martedì 10 novembre 2015

Ostia antica




Da quando ho iniziato a scrivere Cassandra Romae, mi è capitato di sentire che mi sono appesantito. Non sto parlando di peso fisico eh, ma degli argomenti che ho iniziato a trattare sul blog.

Se qualcuno ha davvero pensato che fino ad ora sono stato “pesante”, allora non ha ancora visto niente. Quello di cui parlerò oggi è stato davvero pesante, non per l'argomento ma per l'intensità della giornata vissuta viaggiando indietro nel tempo di due millenni.

Se c'è un sito archeologico semi sconosciuto e sottovalutato, tra quelli che ho avuto la fortuna e il piacere di visitare, fin'ora il primo posto spetta senza alcun dubbio ad Ostia antica.

Una città rimasta sepolta per secoli, al momento più piccola di Pompei come scavi, è però più ampia rispetto a quello che si può visitare.

E' la prima domenica del mese, il che significa che i musei nazionali sono gratuiti. Il biglietto non costerebbe neanche tanto, per quello che c'è da vedere, 10€, sarebbero un furto.

Io e Cassandra avremmo anche potuto aggregarci a qualche guida, già non pagavamo il biglietto, ma abbiamo preferito il fai da te per essere più liberi. Scelta coraggiosa per due assetati di archeologia come noi.

La città è talmente vasta che sulla cartina sono segnati ben 68 punti da visitare. Iniziando la visita in tarda mattinata pronostico che il giro sarà intenso, ma non troppo lungo. Che sbaglio.

Iniziamo dalla necropoli, che era al di fuori delle mura: per legge i romani dovevano seppellire i loro morti al di fuori della città, vedi catacombe e via Appia a Roma.

Il nome della città ha il significato di foce, difatti è nata sulla foce del Tevere. Nata come accampamento militare, diventa importante nei secoli per le sue saline. Così come i muri delle case di questa incredibile città, anche il nome dello stipendio di allora è rimasto lo stesso: il salario. Solo che allora non veniva pagato con del vile denaro, ma con sacchettini di preziosissimo sale di Ostia.





Dopo aver seguito la via ostiense, che porta ancora oggi fino a Roma, attraversiamo quello che resta della prima delle tre porte della città: porta romana. Qui c'è una grande piazza, detta della vittoria per statua della minerva alata, su cui si affaccia il colossale magazzino, attraverso cui passavano tutte le merci che dal mare andavano a Roma.

Affascinati e attirati come falene dal dedalo di muretti, entriamo nel primo piccolo labirinto di stanze, alla ricerca di qualcosa da scoprire e da assaporare. Basta poco per individuare il magnifico mosaico delle terme dei cisiarii.





Riprendiamo il basolato originale della strada, mai toccato negli ultimi duemila anni, che all'interno delle mura prende il nome della via principale di tutte le città romane, il decumano massimo. lo percorriamo per un centinaio di metri costeggiando i resti del magazzino e dei primi portici della città, dove c'erano esercizi commerciali di ogni genere.

Fa caldo, le previsioni davano tempo nuvolo e incerto, invece il sole è uscito facendosi vedere e sentire, pure troppo. Io e Cassandra, dando retta all'applicazione delle predizioni dei profeti del clima, ci eravamo preparati coprendoci ben bene a cipolla. Prima di iniziare a puzzare come l'ortaggio ci siamo spogliati degli strati superflui e della fiducia nelle applicazioni telefoniche dei profeti.

Ci nascondiamo così all'ombra degli altissimi pini marittimi e riprendiamo l'esplorazione entrando in un altro dedalo, ancora più intricato, che ci porta attraverso camere, camerette, corridoi e piazzette, alla caserma dei vigili del fuoco, molto attivi a causa dei numerosissimi incendi che scoppiavano.

Dopo numerosi tentativi di ritrovare la via per il decumano, ci ritroviamo nella palestra grande delle terme di Nettuno. Salendo gli scalini fino al terzo piano di una terrazza, riusciamo ad ammirarne dall'alto i mosaici che non sono in restauro. Una vista spettacolare, sia dei disegni, che della città. Siamo nei quartieri esterni della “piccola Roma” e nonostante l'altezza non se ne intravede nemmeno i confini.

Scesi dalla torre ci imbattiamo nella prima caupona, una locanda, di cui come testimonianza rimane solo una parte del mosaico a pavimento.

Proseguiamo lungo la strada che sale a nord e ci imbattiamo nelle prime Insulae, i palazzi, praticamente dei condomini, che potevano arrivare anche a cinque o sei piani d'altezza.

Dato che l'acqua corrente arrivava solo al piano terreno, per i piani superiori si doveva attingere alle fontane che stavano in strada.



Torniamo indietro e saliamo subito sugli spalti del teatro che, integro per i suoi due terzi, una volta poteva ospitare fino a quattro mila persone. Certo rispetto ai teatri visitati a Hierapolis o Efeso, è molto piccolo, ma una struttura del genere mi sembra più a misura d'uomo, godibilissimo.

Dietro lo spazio per l'orchestra ci sono ancora le maschere della commedia che per chissà quanto tempo ha divertito il pubblico ostiense. In cima agli spalti ci gustiamo il pranzo prima di ripartire, cercando di immedesimarci negli spettatori di un tempo.

E dopo lo spettacolo? Un giro al centro commerciale.

Si apre infatti di fronte al teatro. la piazza delle corporazioni, dove al centro c'era un tempio, e tutto attorno, sotto i portici, vi erano esercizi commerciali e spedizionieri di altri stati che intrattenevano rapporti con Ostia e quindi Roma. Tra questi alcuni erano l'Egitto, Cartagine, la Mauritania, la Tunisia, la Libia e la Sardegna.





Seguendo le indicazioni della cartina, dopo i quattro tempietti che troviamo chiusi per restauro, dal decumano massimo incrociamo il tempio dei collegiali, quindi ci perdiamo in una zona dove, secondo la mappa, non dovrebbe esserci nulla di interessante. Invece troviamo delle Domus molto belle, la fullonica che altro non era se non una delle lavanderie, e poi scendiamo via casa del pozzo, andando sempre più a sud, fino a raggiungere il campo della magna mater, il tempio di bellona e la porta Laurentina.





Dalla periferia risaliamo verso il cuore della città, diretti al Foro. Scopriamo invece l'entrata di un'altra domus molto carina e le piccole terme del filosofo.

Non sempre guardiamo la cartina, anche perché altrimenti ci perderemmo la grande bellezza attraverso cui stiamo camminando. Difatti lasciamo nuovamente la strada, attirati dalle grandi strutture che, con il gusto dell'archeologo dilettante allo sbaraglio, scopriamo essere le grandissime terme del foro. Con le sue grandi sale, in parte ancora ricoperte di marmo, rivela perfino un percorso sotterraneo attraverso il quale si possono vedere le intercapedini sotto i pavimenti usate per riscaldate l'acqua delle terme. Non solo, dalle pareti aperte spuntano decine di tubature attraverso cui passava probabilmente il vapore.

La giornata è ancora lunga, la città è molto grande e dobbiamo fare una pausa. Saltiamo direttamente ai bagni e da lì Cassandra è attirata come una falena del museo che conserva le statue originali ritrovate negli scavi e scampate ai secoli. Non è molto grande e sinceramente non pensavo ne valesse la pena. Fortunatamente le statue non sono così tante come credevo, inoltre sono molto belle.



Terminata la visita al museo a tempo di record, scendiamo nella via dei mulini, dove riposano numerose case con forni ancora in mezzo alle stanze. Stanno ancora lì, dove li hanno lasciati secoli fa. Per i romani non erano i diamanti ad essere per sempre, ma gli elettrodomestici.





Giriamo per bene tra le case dove i mulini macinavano grano e cereali, quindi scendiamo in un'altra via che porta ad una taverna rimasta spettacolarmente integra. Oltre ai banconi ancora rivestiti in marmo, possiede ancora un grande contenitore, sempre in marmo, e una credenza a gradini, su cui venivano messi in mostra i piatti del giorno. Sopra di essi infatti c'è ancora un'insegna con dipinti delle verdure, il secchio di marmo, e il piatto unico che comprendeva tutto.

A terra, un po' nascosta, c'è un'immensa anfora interrata che probabilmente conteneva il vino. Non si sa cosa contenesse il secchio di marmo, a me piace pensare che fosse per il Garum, una salsa a base di frattaglie di pesce macerate. Roba da antichi.





Proprio di fronte ci sono le scale di un insulae, che portano ai piani superiori. In questa piccola via è quasi possibile immaginarsi come poteva essere la vita quotidiana di duemila anni fa. Le insulae infatti che arrivavano anche a cinque o sei piani, avevano al livello della strada le locande o le botteghe, in cui i commercianti vivevano. Costoro facevano tutti una vita casa e bottega, infatti alla sera, quando chiudevano il negozio sbarravano l'entrata, anche solo con delle assi di legno, e non le riaprivano fino alla mattina.

Queste però erano anche le abitazioni più ricche e migliori, a cui arrivava perfino l'acqua corrente.

Per i piani superiori la gente doveva scendere in strada a riempirsi i secchi. L'acqua diveniva così pesante quanto importante, soprattutto per cucinare, e difficilmente veniva utilizzata per pulire.

Il problema più grande delle Insulae però erano gli incendi. Essendo in legno gran parte delle strutture che le componevano, specie i piani più alti, gli incendi erano molto frequenti. Se si abitava ai piani più alti salvarsi, anche se in città c'era una caserma stabile dei vigili del fuoco, diventava un'impresa quasi impossibile.

Altro aspetto da non sottovalutare erano le condizioni igieniche. I bagni non c'erano e l'urina veniva raccolta in vasi o secchi che, lasciati in strada venivano ritirati dai garzoni delle lavanderie. Questi infatti li utilizzavano come ingrediente per il detersivo dell'epoca.

C'era poi chi abitava molto in alto e non sempre aveva voglia di scendere cinque o sei piani di scale per riporre il secchio, così, senza neanche guardare di sotto, ne svuotava il contenuto fuori dalla finestra. Quando si dice che piovono schifezze...

Poco distante da quel vicolo, proprio di fronte al grande spiazzo del foro, sorge una struttura tra le più grandi e alte di tutta Ostia, il Capitolium. Vi si accedeva tramite un'ampia scalinata, era un edificio la cui funzione è rimasta quella che c'è ancora oggi nella Roma moderna, ovvero il campidoglio. Era qui che le figure politiche si riunivano per discutere i problemi della città.





Scendiamo gli scalini osservando dall'alto il foro e ci spostiamo a destra seguendo sempre la strada. Incontriamo la casa del larario, un esempio di insulae con un larario, una sorta di nicchia composta da rombi e triangoli in un disegno fine e ancora integro. A quasi due metri di altezza, con tutta probabilità doveva contenere una statua.

Torniamo in strada e, facendo attenzione alle bighe ed i carri che corrono lungo il basolato, attraversiamo per andare al tempio rotondo. Non ne rimane molto, solo un terrapieno rettangolare da cui spuntano qua e la dei lastroni di marmo. Andando avanti si entra in quello che doveva essere il cuore del tempio, insolitamente dalla forma rotonda.

Scendiamo dalle scalinate del tempio e giungiamo ad un bivio. Proprio qui c'è la taverna dei pescivendoli. Anche se i muri rimasti sono bassi, i tavoli di marmo ed i banconi bianchi sono ancora integri, così come il pavimento su cui è stato posato un mosaico che rappresenta dei pesci. Da qui il nome, che probabilmente identifica ciò che vi si poteva mangiare. Del resto Ostia antica era in riva al mare.

Proseguiamo lungo la strada, ancora lunga e costellata di case, e sulla destra troviamo i resti di una basilica cristiana. La città infatti è stata si fondata dai romani, ma fu abitata fino al 1300, circa.

Poco più avanti c'è la schola di Traiano, ma sfortunatamente oggi è chiusa al pubblico e così dobbiamo arrampicarci sui resti delle case che le stanno di fronte per poter scorgere qualcosa. Purtroppo lo sforzo è inutile.

Il giorno è stato lungo e il sole ora inizia ad abbassarsi. In mezzo a questa luce più colorata, ma meno calda, continuiamo a camminare sul basolato, passando accanto ad una fontana di marmo a lucerna. Ancora molto bella con le sue numerose bocche. Chissà quanto poteva essere splendida secoli fa quando era in funzione.

La camminata storica ci porta fino alla Caupona di Alexander Helix. Dai resti dei mosaici non si riesce a capire quale fosse la specialità di questa taverna, si legge solo il nome. Probabilmente era il proprietario, oppure un grande chef.

Proprio accanto alla taverna doveva esserci la porta marina, quella che un tempo si affacciava all'antica spiaggia. Non è rimasto granché della porta, solo che il basolato si restringe parecchio e ai lati è scavato. Forse qui c'erano le due torri di guardia che col tempo sono state smantellate.

Accompagnati da una luce crepuscolare, manco farlo a posta ci ritroviamo in un altro cimitero.

Cassandra vuole vedere l'antica spiaggia, ma come sospettavo non esiste più, in duemila anni il livello del terreno è salito molto e ormai al suo posto c'è una strada su cui corrono automobili e camion. Il mare si è allontanato così tanto che neanche si vede.

Rientriamo in città per cercare uno dei gioielli di Ostia antica: la casa delle sette muse, dove ci sono degli splendidi affreschi. Dopo qualche tentativo finalmente la troviamo, ma rimaniamo delusi dal constatare che la casa è chiusa. Non ci rimane altro da fare se non arrampicarci sui muri esterni per poter sbirciare all'interno i magnifici mosaici e gli affreschi delle muse. Dopo aver girato invano attorno alla casa, cercando un punto di osservazione decente, ci imbattiamo nella piccola, ma carina, domus del ninfeo. Non molto lontano sorgono i resti delle case a giardino. Queste erano un nuovo quartiere voluto da Adriano per fare seguito allo sviluppo demografico della città.

Scusate, ho detto Adriano? Volevo dire l'imperatore Adriano. Del resto da quando siamo stati in visita a Villa Adriana è come se fossi diventato un suo conoscente.

Queste nuove case a giardino, tra cui ogni tanto spunta ancora qualche muro leggermente colorato, dovevano essere una residenza per un ceto medio alto.





Un po' delusi dallo stato di conservazione dei muri intonacati, imbocchiamo il cardo degli aurighi, una via su cui campeggia un grande caseggiato, detto anch'esso degli aurighi. Ci infiliamo tra gli ampi archi, ispezionando ogni stanza in cerca di qualche affresco, poi troviamo delle scale che salgono, salgono, e salgono ancora, di ben tre piani. La vista dalla terrazza è veramente bella, anche se non doveva essere nulla al confronto di quella che godevano i poveri abitanti degli ultimi piani.





Scendiamo e ci imbattiamo nella parete che ha dato il nome a questo caseggiato: due aurighi, affrescati su una parete del pian terreno, si sfidano in una gara con le loro bighe. Il disegno è molto ben conservato e protetto da lastre di vetro. Ne abbiamo viste molte di pareti affrescate qui a Ostia antica, ma solo questa mi sembra sia stata così accuratamente protetta.

Sarà che, oltre a sentirmi conoscente di Adriano, dopo una giornata vissuta cercando di immaginare la città di duemila anni fa, inizio a pensare proprio come un cittadino ostiense. Capisco che in un sito del genere ci siano così tante cose da vedere e da gestire, che si fa fatica a pensare di conservare tutto, ma questa che merita ben più di altre, alla fine risulta un po' difficile da trovare. Forse sono solo io che sto diventando pignolo. O forse lo ero già prima?





Proseguiamo la visita tra stanze, corridoi e scale, fino a trovarci in mezzo alle terme dei sette sapienti.

Anche qui c'è una scalinata che porta in alto, anche più di quella precedente. La vista però volge sull'altro lato del caseggiato, da cui si vede la via della foce.

L'ora ormai è tarda e il tramonto è prossimo. Calchiamo il basolato della via della foce su cui si affaccia il caseggiato dei misuratori di grano, testimoniato da un enorme e magnifico mosaico.

Incontriamo poi le Horrea Epigathiana e l'area sacra repubblicana, una zona ricca di templi e tempietti dedicati agli dei dell'era repubblicana.

Stremati e letteralmente ubriachi come due consoli che escono da una Caupona dove hanno prosciugato una giara di vino, strisciamo fino alla piccola, ma molto carina, Domus di amore e psiche.

Quindi, lentamente, soddisfatti e barcollanti per l'overdose di archeologia, ci rifacciamo tutto il decumano massimo, senza nemmeno sentire più la gibbosità dell'antico basolo.

Non soddisfatti della visita, decidiamo di tornare gradualmente ai nostri tempi: attraversiamo la strada tenendo bene in alto le nostre tuniche e fermando le bighe e le quadriglie che altrimenti ci calpesterebbero.

L'orologio del nostro viaggio gira vorticosamente fino a farci piombare nel borgo di Ostia antica, dominato dal magnifico castello, a base triangolare, fatto costruire da Papa Giulio II. Ai suoi piedi il borgo è ancora molto pittoresco, con la sua chiesetta e le poche ma ben raccolte case che ne fanno da cornice.

Una nota stonata il matrimonio di due disgraziati che non sanno a cosa vanno incontro. Il tempo, come per Ostia antica, farà il suo dovere.

lunedì 9 novembre 2015

Morto 'n Papa...

Milano - Roma sono a soli 570 chilometri di distanza. Anche se non sembra sono due mondi completamente diversi.
Il primo impatto con la capitale è sempre di stupore e meraviglia. Vivere in un luogo così ricco di storia potrebbe causare una sbornia anestetizzante in grado di attutire i grandi difetti e le contraddizioni che ne compongono la complessità.
Per me è stato così, almeno per le prime due settimane dopo il mio trasferimento, poi ho iniziato a rendermi conto di quanto possa essere faticoso vivere e lavorare a Roma.
Il traffico ed i mezzi pubblici sono un’esperienza davvero diversa da quella che si sperimenta a Milano. Intendiamoci, a Milano il traffico non è da meno, anzi, io ho visto e vissuto situazioni ben peggiori quando vivevo a Milano, ma già so che i romani non ci crederebbero mai. Ciò che rende ben più pesante Roma rispetto a Milano è la sua dimensione, decisamente più ampia rispetto a qualsiasi altra città italiana. Inoltre se a Milano il traffico è un problema, i mezzi pubblici funzionano magnificamente, checche ne dicano i milanese.
A Roma invece ogni giorno è una roulette russa. Se sei fortunato ti prendi la pallottola in testa e finisci di soffrire.
Ok, questi sono solo alcuni dei lati negativi... Per fortuna non si vive di solo traffico. L’importante è vivere la città, assaporarla, apprezzarla per quello che è. Uno dei segreti per entrare in sintonia con questa tentacolare creatura è provare ad ascoltarla.
È da un anno che conosco Cassandra e vengo a trovarla. Anche solo a sentirla parlare del più e del meno mi rendo conto che ci sono dei concetti, soprattutto dei modi di dire, che a Roma hanno un significato del tutto differente da quello di Milano.
Per fare degli esempi, allegherò un breve prontuario per milanesi che si vengono a trovare a contatto con la realtà romana:

Addobbare.
A Milano significa adornare. A Roma lo usano in frasi come queste:
Non t'addobbare!
Ovvero "non cadere, non farti male".
Bellissimo, davvero, adoro queste sfumature. Sarà per questo che mi sono trasferito a Roma?

Un altro esempio?
Ammazza se pisti!
Pistare, oppure "Hai pistato eh?"
Traduzione: "Accipicchia quanto corri veloce”, "Hai fatto in fretta eh”.
Pistare però ha pure un altro significato:
Te pisto!
Ti picchio. Ti meno.

Ma il caso più lampante che ai romani fa storcere il naso è quando noi milanesi esclamiamo:
Sticazzi!!!
Noi lo facciamo per esprimere qualcosa del tipo
Porca miseria! Cavolo quanta roba! Tanta roba!
Oppure da buon milanese, in stile Renato Pozzetto
Elamadonna!!!
Per i romani invece sticazzi significa 
E chi se ne frega!
Ormai ho imparato e sto cercando di usarlo in modo adeguato, ma talvolta mi scappa in modo esclamativo, facendo in quel caso storcere a me il naso...

"Me fai proprio taja’” che tradotto è "Mi fai ridere” 

Jammolla
Questa non è semplice, a volte faccio ancora confusione: dovrebbe significare qualcosa come “il tizio non scherza”, “E’ uno forte”. 
Ma potrei sbagliarmi, meglio farmi dare delle ripetizioni da Cassandra.
Comunque per fare un esempio potrei dire:
Vasco o Bruce Springsteen ancora Jammollano.

Non so a chi da' i resti
Se ti capita di sentirlo allora stai parlando con una persona molto impegnata, ricercatissima, indaffaratissima. A volte si usa anche
Pe’ parlà co’ quello ce vo’ er numeretto"

Roscio
Da quando Cassandra mi ha rivelato che le piacciono le persone dai capelli rossi, ho iniziato a notare quanti ce ne sono a Roma. Capita che alcuni giorni in cui mi sento letteralmente circondato e mi sorge dal profondo nucleo milanese una genuina esclamazione:
ellavaca! Quanti cavi russ che ghè!
Comunque a Roma i rossi di capelli sono detti Rosci.

Accanna
Termine curioso che la prima volta in cui mi ci sono imbattuto ho erroneamente interpretato al contrario. Per me era un po’ come dire “bere a canna”, “vai tranquillo”, “No problem”.
Invece no!
Accanna a Roma è il contrario: significa che devi lasciare perdere, non è il caso, ci rinuncio.

Gaggio
Stupido, sempliciotto, Uno che si fa abbindolare facilmente.

Pizzardone 
Mai sentito? Ecco, se passate da Roma non usatelo mai per chiamare un vigile urbano: “A pizzardò!"
I romani lo usano proprio per indicare, in modo dispregiativo, i vigili, chiamati così per il loro grande cappello tondo che sembra una pizza.

Sfragnare
rompere, spezzare, impastare. Me sè sfragnato: mi si è spappolato.

Intruppare
Me so intruppato: Ho fatto un incidente.
Me s'è intruppata a maghina: mi si è rotta l'automobile.

Spicciare
Fare pulizie. Devo spiccià casa. Devo pulire casa.

Lazzilla
Sporcizia
Quello c'ha lazzilla: E' una persona molto sporca