La rinascita dell’Ordine è in pubblicazione.
Benvenuti sulla pagina di un mezzo scrittore con manie di interezza.... Insomma questo non è altro che il mio back up mentale.
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mercoledì 22 novembre 2023
Decisioni importanti
mercoledì 25 ottobre 2023
Ultimo giorno
Per me sarà difficile
raccontare questa giornata surreale. Sinceramente avrei preferito concludere
questo viaggio meraviglioso e questo racconto in un modo differente, ma le così
sono andate così…
L’appuntamento è alle 9.
La guida si presenta alle 9:20, ottimo biglietto da visita.
Zita è una signora
anziana e di origine armena, con una protesi alla gamba e un italiano a tratti
un po’ incerto.
Racconta che oggi ci
farà fare un tour panoramico che di solito non fa fare a nessuno.
Siamo fortunati, pensa
te che culo!
Del Corano originale
però abbiamo capito solo che i russi lo avevano preso e portato a Mosca. Dopo
ripetute richieste di restituzione Lenin aveva acconsentito a rimandarlo
indietro, ma finì in un’altra città. Come è tornato a Tashkent non l’abbiamo
mai capito.
Qui lo stato
confusionale aumenta. Prima veniamo portati in un parco dove c’è la statua del
Petrarca uzbeko, poi rimaniamo bloccati nel traffico del centro e Zita parte
con altre storie dell’Unione Sovietica miste a suoi ricordi ed episodi di vita.
Vediamo solo da fuori e velocemente il teatro Alisher Navoi. Di nuovo in pulmino
con le “magiche” storie di Zita. Si fa molto fatica a seguirla e a volte a
trovare un filo logico.
Tra un semaforo e
l’altro arriviamo all’ora di pranzo.
Il malumore inizia ad
essere evidente da entrambe le parti.
Dopo pranzo la situazione degenera.
Ci fermiamo per vedere
una chiesa armena, molto bella, ma il tempo a nostra disposizione era solo per
scendere dal pulmino, fare una foto dalla strada e ripartire.
Poi Zita ci porta a
vedere la scuola dove ha studiato e il suo quartiere, così ci parla per la
quarta volta del terremoto che colpì la città e dei canali. Vediamo l’imponente
e bruttissimo l’hotel Uzbekistan e il museo dei timuridi, che sarebbe
interessantissimo, ma non possiamo neanche scendere dal pulmino. Per gentile
concessione facciamo la rotonda due volte, così lo vediamo meglio.
La prima sosta arriva
ad una moderna chiesa gotica. Il dibattito del gruppo ormai è incentrato: di
quanto dobbiamo diminuire la mancia di Zita?
Speriamo che ci faccia
cambiare idea.
Quando risaliamo e ricominciamo a girare, all’ennesimo racconto del terremoto, le chiediamo se ora possiamo andare al mercato Chorsu. Scoppia la bomba. Non ci porta e inizia a fare storie per la benzina che stiamo consumando, più altre chiacchiere che ci fanno rimanere imbottigliati perdendo tempo e arrabbiare ancora di più.
Qualcuno inizia a
perdere la pazienza…
Pausa caffè?
Dopo il caffè proviamo
a dirigere la visita su alcune cose che c’erano nel programma originale, ma c’è
poco da fare… Quando passiamo per la terza volta davanti allo stesso monumento,
che tra le altre cose è anche vicino alla piazza dell’Indipendenza che dovevamo
vedere, chiediamo che si fermi così da poterla vedere di persona, non dal
finestrino.
Meglio così perché
ormai il gruppo aveva deciso di cancellare del tutto la sua mancia.
Il suo atteggiamento,
chiaramente avverso e poco professionale palpabile anche senza le traduzioni di
Gaia, hanno fatto sì che il nostro ultimo giorno degenerasse in un’altra
giornata inutile.
Ci sfogheremo a cena,
in un locale all’aperto, su uno dei tanti canali che attraversano la città.
martedì 24 ottobre 2023
Tashkent
Scendiamo a Gafur Galom.
Non c’è quasi niente. Forse era meglio scendere alla fermata successiva dove
c’è il mercato di Chorsu. Comunque decidiamo di camminare fino ad una fermata metro
per vedere i negozi.
Le strade sono
trafficatissime e il gas di scarico si sente moltissimo. Arriviamo alla fermata Alisher Navoi e
torniamo indietro.
lunedì 23 ottobre 2023
Samarcanda
Stamattina partiamo subito con Nadye verso le mete più importanti di Samarcanda. Imbarcati sul pulmino di Borot ci dirigiamo verso la città vecchia, quella abbandonata dopo l’arrivo di Gengis Khan.
Ora lì sorge il cimitero, quindi non si possono fare scavi archeologici e non si potranno fare per i prossimi 50 anni, ovvero quando non ci sarà più una sola persona in vita dei parenti di coloro che vi sono sepolti. Solo allora si potrà scavare e riportare alla luce ciò che è rimasto della vecchia Samarcanda.
Qui sono sepolti alcuni parenti di Tamerlano e altre importanti personalità come Kusam Ibn Abbasù, cugino del profeta Maometto.
Essendo un luogo molto
gettonato ci andiamo molto presto quando non c’è quasi nessuno.
Molto bello, davvero,
come inizio di giornata è molto promettente. Ne scaturiscono diverse foto molto
belle.
Il nipotino non era
interessato alla politica. Era lo scienziato che costruì un osservatorio
astronomico in cima ad una collina fuori della città vecchia e nuova.
Stiamo parlando del
1400 per cui non si pensi ad una cupola come i moderni osservatori. Non usavano
nemmeno un telescopio o altri strumenti a lente, ma un semplice sestante. Solo
che era un sestante di 30 metri.
Sfortunatamente il
figlio di Ulugbek, Abd al Latif, geloso del proprio fratello a cui il padre
teneva di più, lo accusò e lo fece processare come infedele religioso da punire
con la morte. Essendo Ulugbek diretto discendente di Tamerlano, non poteva
essere ucciso per un motivo simile. Venne data in alternativa la possibilità di
espiare la propria colpa con un pellegrinaggio alla Mecca. Ulugbek partì
immediatamente. Dopo pochi giorni di viaggio fu raggiunto da un messaggero del
figlio che lo intimava di fermarsi perché non permetteva che viaggiasse senza
scorta.
Ulugbek sapeva che era una trappola, si fermò ugualmente. Due giorni più tardi arrivarono due cavalieri che lo uccisero e decapitarono.
In seguito anche Abd al
Latif patricida venne giustiziato per questa violazione della legge.
Dopo la morte di
Ulugbek l’osservatorio perse ogni finanziamento, nel giro di pochi anni venne
abbandonato, finendo per essere dimenticato.
Venne riscoperto solo
un secolo fa, dal russo Pyatkin che per tutta la vita lo aveva cercato
finanziando gli scavi di tasca propria. Come gratifica divenne il
sovrintendente di tutti i beni archeologici di Samarcanda. Era così innamorato
dell’archeologia di Samarcanda e dell’osservatorio, che chiese di essere
sepolto accanto a quest’ultimo. Fu accontentato.
Scendiamo e
attraversiamo la strada fino alla grande moschea di Bibi Khanym. La leggenda
vuole che sia stata fatta costruire dalla moglie di Tamerlano come sorpresa
mentre questi era in viaggio per conquistare nuove terre.
Per costruirla la
moglie scelse il miglior architetto dell’epoca, ma durante i lavori questi si
innamorò di lei.
I lavori andavano a
rilento e il tempo stava scadendo. La donna faceva molta pressione affinché
l’architetto compiesse l’opera prima del ritorno di Tamerlano. L’architetto colse
la palla al balzo e, visto che la donna aveva sempre respinto le sue proposte,
disse che garantiva il risultato solo se lei gli permetteva di farsi dare un
bacio sulla guancia. Contraria, ma costretta, la donna accettò.
Purtroppo il bacio
sulla guancia lasciò un segno indelebile. Quando Tamerlano tornò la trovò con
il velo che copriva il suo viso. Per mascherare la “novità” la moglie impose il
velo a tutte le donne della città. Nonostante ciò Tamerlano ugualmente scoprì
il suo tradimento. Fece giustiziare l’architetto e gettare la moglie dalle
mura.
Ovviamente è solo una
leggenda, Nadye ne spiega il motivo: l’unica delle nove mogli di Tamerlano che
fece costruire delle madrase e moschee, era una diretta discendente di Gengis
Khan. Tamerlano infatti, non essendo diretto discendente di Gengi, non poteva
essere Khan. Sposando una sua discendente i figli generati sarebbero diventati
Khan. Pare che questa imposizione alle donne di mettere il velo sia nata solo
intorno all’800, periodo in cui ha iniziato a circolare questa storia.
La moschea è gigantesca,
sembra non sia stata costruita molto bene perché in parte è crollata dopo pochi
anni e nonostante i continui interventi di manutenzione continua a non essere
stabile. Difatti non viene più utilizzata come moschea.
La vendetta
dell’architetto.
Accanto alla moschea
c’è il mercato in cui ci fermiamo a prendere qualcosa per il pranzo, dopo di
che ci dirigiamo verso il piatto forte: piazza Registan.
Già ieri sera avevamo
ammirato la piazza più bella dell’Uzbekistan, ora con il biglietto d’ingresso ci
troviamo nel mezzo.
È inevitabile che la testa inizi un viaggio per conto suo. Ho scattato non so quante foto, ho sentito le spiegazioni di Nadye, ma la mente credo fosse da un’altra parte, in un altro tempo. L’unica cosa che mi manteneva collegato con la realtà era una brezza costante che rinfrescava la giornata.
Ah ecco, una cosa la
ricordo: proprio qui da ragazzina Nadye ha iniziato a lavorare in uno dei
negozietti di questa madrasa, ed è qui che le è nato il suo interesse per la
lingua italiana, grazie ai tanti turisti che passavano da lei.
Andiamo nella madrasa
centrale ed entriamo nella moschea d’oro all’interno della madrasa Tilla-Kari.
Un piccolo appunto rompe
l’incantesimo del momento: appena prima di entrare nella moschea alle donne
viene imposto di mettere il velo. Anche Nadye è sconcertata, per non dire
altro. Dice che è la prima volta che le capita, anche perché i sunniti sono
sempre stati molto più flessibili da questo punto di vista.
Visibilmente scossa cerca di riprendersi parlandoci della moschea d’oro, e trova subito l’argomento giusto: il nome di questa moschea non è un caso, è veramente d’oro. Ce ne è così tanto che solo per il recente restauro ne hanno utilizzati ben trentadue chili.
Meravigliosa.
Tutti questi motivi decorativi tra madrase e moschee hanno un fascino unico. Possono apparire ripetitivi, credo nascondano un segreto legato alla scienza e alla matematica. Da lontano sembrano tutti uguali. Osservandoli da vicino invece, sono tutti molto diversi tra loro e i disegni svariati.
Mi ricordano l’effetto ipnotico dei caleidoscopi, solo che invece di muovere i disegni qui si muove lo sguardo. È arte, è matematica, è emozione.
Usciamo a vedere in libertà l’ultima madrasa, quella con le tigri rappresentate sulla facciata. Dovrebbe essere identica a quella di fronte a lei, ovviamente voglio verificare tutto a partire dai motivi che ne decorano l’interno.
Ci sono poi le cupole
tortili, tipiche di Samarcanda, bellissime, e i minareti di Pisa, nel senso che
sono storti.
Anche le facciate sono storte e pendono in avanti o sbaglio? Lo faccio notare a Nadye e mi dice che in origine non erano così, come io pensavo, ma si sono spostate col tempo a causa dei terremoti e del loro peso.
I minareti poi sono questioni diverse perché alcuni interventi nei secoli passati ne hanno compromesso la stabilità. Ora però, anche se li vediamo un pochino pendenti, Nadye ci dice che sono stati stabilizzati con importati lavori di restauro e consolidamento.
Di questa struttura non
rimane molto, quasi tutta la parte esterna e della madrasa è sparita. Il
mausoleo invece è ancora lì ed è molto bello.
Con la parte bassa in giada, salendo è decorato in oro, forse ce ne è ancora di più della moschea d’Oro.
La lapide di Tamerlano,
in giada nera, è in mezzo alla sala, circondata da quelle di alcuni suoi figli,
parenti e discendenti.
In realtà Tamerlano, morto di malattia a 69 anni durante una campagna militare, non doveva essere sepolto qui, ma ci venne portato solo temporaneamente per poi essere sepolto nella cripta che abbiamo visto a Shahrisabz. Sfortunatamente in quel periodo la strada del passo era chiusa dalla neve e così rimase a Samarcanda, nel mausoleo che doveva essere del nipote.
Salutiamo la brava e simpatica Nadye.
Stasera portiamo a cena con noi anche Borot. Siamo in un posto ancora più turistico di quello di ieri, ci sono ballerini e danzatrici.
domenica 22 ottobre 2023
In viaggio per Samarcanda
Città in costruzione,
in espansione, strade però ammaccate e solo in parte percorribili senza
problemi. La maggior parte delle strade sono piene di buche e da rifare
completamente. I lavori sono in atto ma a giudicare dalla velocità dei lavori e
da quanto strada c’è da rifare… ci vorrà molto tempo prima che la via della Seta
torni ad essere una strada percorribile con un minimo in tranquillità.
Oggi c’è una luce
forte, ma strana, un po' come a Bukhara. Probabilmente a causa di una tempesta
di sabbia che ci dicono esserci stata ieri.
Arriviamo Shahrisabz,
dove incontriamo Nadye, la nostra nuova guida. È giovane e conosce bene Nurik.
Di origine tartara sembra molto più anticonformista di molte sue coetanee che
girano col velo.
Fa un po' caldo e Nadye
ci porta subito all’ombra per raccontarci della città verde, dove è nato
Tamerlano e dove voleva essere sepolto. Qui viveva e aveva il suo palazzo
Timur.
Ci spostiamo a vedere la moschea di Kok Gumbaz e di fronte i mausolei di due sceicchi.
Purtroppo gli affreschi
qui non reggono e si staccano facilmente. I disegni sono sempre belli, secondo me non sono
paragonabili agli intrecci creati con le maioliche e i mosaici.
Giungiamo in quello che
resta del palazzo di Tamerlano. Durante la visita incontriamo una coppia appena
sposata. La sposa è sempre sovraccarica di un vestito bianco, grandissimo, ingombrante
e molto pesante.
Nadye ci tiene a dire
che lei si è sposata con abiti normali, l’unica cosa di bianco che aveva erano
un paio di sneakers, usate.
Non sembrano molto
felici gli sposini, ma c’è un motivo se sembra che vadano ad un funerale.
So cosa può venire in
mente, ma non è quello…
Hanno espressioni
tristi perché se le impongono: se si mostrassero felici offenderebbero la
famiglia che stanno lasciando.
Del palazzo di
Tamerlano rimane solo parte del portale di ingresso. Alto circa 40 metri, ma
senza la parte superiore dell’arco, è una delle strutture antiche più alte e
imponenti che abbia mai visto. Nadye racconta che quando era integro doveva
misurare almeno 70 metri. Praticamente un grattacielo.
Nonostante sia rimasto
pochissimo del palazzo, sappiamo che doveva essere immenso. L’unica
testimonianza ci arriva dal resoconto di un viaggiatore, un collega: l’ambasciatore
spagnolo del XV secolo racconta che aveva proporzioni colossali ed era
completamente decorato. Oggi le decorazioni rimaste sono abbastanza sgarrupate
ma, nonostante tutto, ancora bellissime.
Giriamo attorno a queste
rovine, tentando invano di ricostruirne le mura con la fantasia, riprendiamo la
strada per Samarcanda, sempre che di “strada” si possa parlare. Probabilmente
la peggiore mai fatta finora.
In alternativa ci
sarebbe un passo montano, ma ai camion e ai pulmini è vietato passarci, per cui
posso solo immaginare quanto pessima sia.
Sembra di essere
tornati in Botswana, dove l’asfalto è martoriato dalle buche fatte dagli
elefanti.
Ciò che ci sorprende di
più è la guida sportiva di Borot e colleghi uzbeki. Sembra abbiano imparato
tutti a guidare alla scuola guida di Nicky Lauda. Camion, auto, furgoni.
Nonostante gli spazi inesistenti, le linee continue, o addirittura l’assenza di
linee, per gli uzbeki il sorpasso è come l’amore per gli hippy: libero.
In un paio di occasioni
Borot mi sembrava stesse rievocando il film di Tarantino, Grindhouse. Secondo me
ha imparato a guidare alla scuola guida di Stunt-man Bob e Stunt-man Mike.
Per fortuna dopo più di
un’ora arriviamo salvi alla statale asfaltata. Un po' acciaccati prendiamo
possesso delle camere e subito a cenare in un tipico locale uzbeko con il piano
bar.
L’unica cosa da
raccontare è che quando stiamo per finire la cena il cantante si accorge che
siamo italiani e ci mette subito “L’italiano” di Toto Cotugno e “Felicità” di
Albano e Romina.
Anche se da lontano, affacciati su una terrazza, lo spettacolo è incredibile. Delle luci colorate illuminano a tempo di musica le madrase, le cupole e i minareti. Rimaniamo letteralmente ipnotizzati per tutto il tempo, finché la musica finisce e l’illuminazione torna quella classica.