sabato 3 agosto 2019

Giorno 15 – Homer – Incendio - Senza benzina – Anchorage - Volo del rientro



Salutiamo Homer, la sua baia ed il suo mare. Ci aspetta un altro bel viaggetto prima di lasciare la macchina ed imbarcarci per un lunghissimo volo verso casa.

Prima però dobbiamo riattraversare le foreste che ci separano da Anchorage. Al contrario di ieri la giornata è cupa, forse il sole ha scatenato un po' troppa umidità nell'aria, ma quando lasciamo la costa e arriviamo nell'entroterra la foschia sembra aumentare. Quando iniziamo a sentire odore di bruciato il sospetto che non sia proprio foschia scompare definitivamente. C'è un incendio da qualche parte. Un incendio in Alaska? Come è possibile?

Evidentemente con tutte quelle piante morte o morenti che abbiamo visto e il caldo estivo, lo scatenarsi di incendi non sembra più un'idea così balzana. 

Più avanziamo e più l'aria diventa irrespirabile, nemmeno con i finestrini chiusi e i fazzoletti sulla bocca si riesce a respirare bene. Il fumo ormai è diventato una nebbia visibile, anche se non ancora impenetrabile come i banchi della val padana.

Iniziamo a temere che da un momento all'altro ci si possa trovare di fronte ad un muro di fuoco, e solo quando scavalchiamo un passo per finire nell'altra valle il fumo scompare rapidamente.

Poi venitemi a raccontare che il riscaldamento globale non esiste... Sono solo due settimane che siamo qui e già abbiamo visto più prove della sua esistenza che di quelle a favore del Bigfoot, dello Yeti e del Chupacavra messe assieme.

Quando poi arriviamo ad imboccare nuovamente la strada per Anchorage, la Seward highway, l'incendio non è già più nei nostri pensieri. Alessandro, Alberto e Cassandra si sono appisolati, mentre io e Pier stiamo scandagliando la mappa in cerca di un distributore di benzina. Si è accesa la spia della riserva. Per tutta la durata del viaggio ci siamo affidati all'utilissima applicazione Maps.me che sfruttando il gps del telefono fa da navigatore. L'auto segnala che l'autonomia rimasta è di circa 100 chilometri, mentre il prossimo benzinaio è ad 80/90. Si sa che l'autonomia segnalata dall'auto di solito è indicativa del consumo fino a quel momento, per cui iniziamo a sudare freddo, anche perché ci manca la zona delle montagne da oltrepassare. Tutta in salita.

Da buon ex camionista il Pier mantiene bassa la velocità media, formando code chilometriche dietro di noi che cercano di sorpassarci quando la carreggiata si allarga per brevi tratti.

Quando arriviamo a quarantadue chilometri dal distributore inizio a fare i conti di quanto ci metterei correndo. Qualche mese fa alla maratona di Firenze mi sono bastate 3 ore e 27 minuti. Ora non sono assolutamente in forma e ho pure una mezza contrattura alla coscia per cui temo che ci metterei molto di più, ma a Pier non glielo dico, già lo vedo abbastanza preoccupato.

Così man mano che avanziamo e l'autonomia dell'auto diminuisce, cerco di rassicurarlo dicendogli, beh dai, 30 chilometri te li faccio in due ore e mezza. 20 chilometri in un'ora e 34. Tra il meno 20 e meno 18 finalmente scavalchiamo la cima ed iniziamo la discesa, ormai sembra fatta.

10 chilometri.

8 chilometri.

Anche nelle condizioni in cui sono ormai potrei farcela in mezz'ora circa, ma se ci arriviamo in auto dal benzinaio è anche meglio.

5 chilometri.

2 chilometri.

1 chilometro.

Benzinaio!!!

Coda...

Essendo il primo distributore che incontriamo in 100 chilometri c'è ovviamente un ingorgo come sul casello di Melegnano al rientro da Pasquetta.

Comunque anche stavolta ce l'abbiamo fatta. Doveva essere una giornata noiosa e al massimo rilassante, invece ha riservato non poche emozioni, e non è ancora finita.

Rientriamo ad Anchorage dove ci aspetta un sole luminosissimo ed un traffico traffichissimo, per quanto riguarda l'Alaska eh.

Andiamo allora a vedere il museo della cultura dell'Alaska che non abbiamo potuto visitare il primo giorno. Piccolino ma interessante.

Poi facciamo un giro per il centro in auto, in modo da cercare l'Hard rock caffè dove Alberto vuole comprarsi la maglietta, quindi shopping. Prima Wallmart e poi qualche negozietto del centro.

Proviamo a dare un'occhiata ai monumenti che sono segnalati dalla guida, come quello ad Eisenhower, ma alla fine si rivela essere un piccolo monumento che rivaleggia con quello ai caduti che sta in piazza della vittoria all'Oca di Trevi.

Proseguiamo allora per l'aeroporto, dove ci dobbiamo imbarcare...

Ci siamo, manca poco, solo la fila per il check in. Automatico? Davvero?

C'è una fila incredibile e non sembra avanzare minimamente. In pratica la United, la compagnia con cui viaggiamo, ci lascia fare a noi il check in, servendoci delle macchine automatizzate. Risultato: un bagno di sangue. Rimaniamo in coda per almeno un'ora e quando ne usciamo abbiamo giusto il tempo di salutare velocemente Pier e Alessandro che si imbarcheranno più tardi.

Tirando le somme del viaggio non posso dire di essere rimasto deluso, anzi, mi è piaciuto molto. Come sempre ci sono lunghi trasferimenti da affrontare, ma del resto è normale: noi non si va in vacanza in un posto di villeggiatura per stare sdraiati sotto l'ombrellone, noi si gira il mondo cercando di vedere più cose possibili in poco tempo, cercando di apprendere, di assaporare le atmosfere differenti che si possono sperimentare solo viaggiando.

Certo che se non avessimo visto gli orsi non sarei tornato a casa così contento, diciamo che ci avrei messo qualche tempo per scalzare la delusione e tornare ad apprezzare ciò che di bello abbiamo visto e fatto, ma in ogni caso il gioco vale la candela, anche perché sono convinto che se fossimo partiti con la certezza di poter fare tutto quello che le guide promettono, poi alla fine non avremmo apprezzato completamente l'avventura vissuta.

L'Alaska è un paese meraviglioso, molto caro, ma che merita di essere visto. Probabilmente ce lo si gode di più a giugno e settembre, quando c'è meno gente ed è più facile trovare alloggi. Purtroppo le escursioni sono sempre carissime, per quelle il mese di visita non cambia nulla. In definitiva lo consiglio se si ha una certa disponibilità economica, altrimenti per farsi un viaggio del genere e poi non avere la possibilità di fare delle escursioni perché costano troppo... non ha molto senso, anche perché la questione è sempre quella: quando ci torni?

Piuttosto consiglierei di vedere altri posti più economici e magari altrettanto belli, anche se in maniera differente.

Si vede che in aereo avevo tempo di pensare, del resto il viaggio per tornare a Roma è stato lunghissimo e non sono quasi riuscito a chiudere occhio, mangiavo ogni tre o quattro ore e sarò atterrato con due o tre chili più di quando sono partito... Hai voglia a rimettersi in forma per la maratona....

venerdì 2 agosto 2019

Giorno 14 - Taxi boat - Tram carrucola- Lago del ghiacciaio - Trail finale



Dopo tanti giorni di inattività fisica oggi si ritorna a camminare un pochino, è l'ultimo giorno e magari sgranchendo le gambe ci distraiamo un po' e non pensiamo che manca poco al nostro ritorno a casa, dove ci aspettano quaranta gradi...

Per la giornata di oggi il Pier ha prenotato un taxi boat, praticamente una nave da sbarco che ci lascerà dall'altra parte della Kachemak bay, nel parco statale del Kachemak. 

Oltre al taxi boat abbiamo dovuto pagare un obolo anche per entrare in questo parco, perché essendo statale e non nazionale, la tessera dei parchi che Pier si era portato non è valida. Pochi dollari, niente di che.

In circa mezz'ora di traversata arriviamo sulla spiaggia opposta, dove il taxi abbassa la paratia e noi saltiamo giù senza nemmeno bagnarci.

Il programma della giornata prevede un paio di trekking e una piccola deviazione. Il rientro è fissato alle 17:30, su un’altra spiaggia ad una decina di chilometri da qui. In realtà il Navi-tassinaro voleva venirci a prendere alle 16/16:30, ma considerata la nostra proverbiale lentezza ci siamo tenuti larghi.

Sono circa le 11 quando iniziamo a camminare sulla spiaggia alla ricerca del sentiero per il primo trekking. Ci mettiamo meno di mezz'ora a trovarlo e da qui il paesaggio cambia completamente: siamo immersi in una foresta fittissima e verdissima. Presenza di orsi, neanche a dirlo, sicura. Per fortuna non li vediamo ma se ci sono e loro ci sentono ormai siamo sicuri che ci staranno alla larga. Per evitare sorprese di ogni genere stiamo vicino ad Alessandro che ha un bel campanello anti-orso attaccato allo zaino.

Ci mettiamo poco ad arrivare alla prima deviazione, dove il bosco si apre e il percorso gira a sinistra. Passiamo tra una selva di alberi caduti ma dal rumore che sentiamo siamo ormai vicini all'acqua. Difatti spuntiamo proprio sopra un fiume che scorre impetuoso sopra di noi.

L'unico modo per passare dall'altra parte è prendere il tram.

Solo che qui il "tram" non si muove con i cavalli motore, ma con la forza delle braccia.

Si tratta di una cabina aperta con due posti a sedere appesa ad un cavo d'acciaio tipo seggiovia. Per arrivare dall'altra parte bisogna tirare le corde, in questo caso però non c'è problema se la corda si tira troppo, anzi. 
La cabina è dall'altra parte perché è appena stata utilizzata da un altro gruppo, per cui ci tocca riportarla indietro.
Quanto pesa!
Anche vuota, tutta di acciaio, è molto pesante e fatichiamo un pochino a farla arrivare a destinazione. Per sicurezza decidiamo di non attraversare nemmeno fino all'altra sponda.

A turno saliamo sul mezzo volante e arriviamo fino a metà, dove ci godiamo la vista e poi torniamo indietro.

Con un passeggero, la cabina diventa ancora più pesante. Saggia decisione quella di non arrivare dall'altra parte.

Mi chiedo, se fossimo stati solo io e Cassandra, e avessimo dovuto per forza attraversare il fiume perché inseguiti da un orso, quanta fatica avremmo fatto per giungere a destinazione…

Dopo che tutti hanno fatto il loro faticoso giro in giostra, lasciamo questa improvvisata palestra e torniamo sui nostri passi per riprendere il percorso da cui avevamo deviato.

Da lì fino alla prossima tappa non passa nemmeno un'ora. Sbuchiamo su un lago ricco di iceberg che vengono a morire sulla spiaggia dove ci accomodiamo a riposare e pranzare. Laggiù in lontananza c'è l'avanguardia del grande ghiacciaio da cui arrivano le isole di ghiaccio.

Non siamo gli unici che si godono il fresco, diverse persone stanno pranzando comodamente seduti su rocce o tronchi in contemplazione del ghiaccio. Li imitiamo in quasi totale silenzio. Dall'acqua si sente quel caratteristico rumore che sembra acqua che bolle, ma che invece è il ghiaccio che si rompe crepitando.

Di tanto in tanto mi guardo in giro, nella zona sono stati avvistati spesso orsi, ma per fortuna, o per sfortuna, oggi non ce ne sono. Mentre rifletto su quanto ci metterà a sciogliersi completamente il ghiacciaio, mi cade l'occhio su una grossa pietra luccicante.
Ho trovato l'oro? In Alaska è noto che c'è stata la corsa all'oro, ma era nella zona del Klondike, molto più a est di qui. Questa è pirite e Alessandro me lo fa notare girando la pietra che nella parte opposta è ferrosa e ossidata. Preso da una malsana curiosità geologa afferro un'altra grossa pietra e la tiro su quella ferrosa per cercare di spaccarla e vedere se all'interno ce ne è di più. Ovviamente il mio tentativo fallisce miseramente, più volte. Alessandro allora ne raccoglie un'altra più grande e la cala con forza sulla prima. Come risultato la pietra ferrosa non viene scalfita, ma il suo dito indice purtroppo ne fa le spese... forse si è rotto... 

Ora mi sento in colpa. Potevo farmi i cavoli miei invece di giocare al geologo pazzo???

Il dito perde pure sangue, ma Alessandro non si scompone, ha tutto il necessario per i medicamenti ed io lo assisto in silenzio per non distrarlo e fargli commettere errori, un po' come Igor di Frankenstein... A parte un paio di flebili versetti non lo sentiremo più lamentarsi del dito rotto. Io non avrei reagito così.

Cerchiamo di distrarci girando attorno al lago glaciale per vedere se si può raggiungere in qualche modo la parte del ghiacciaio da dove si staccano i muri gelati, ma è troppo lontano ed il lago ad un certo punto diventa invalicabile.

Facciamo dietrofront, recuperiamo Alessandro, che si era disteso su un masso a prendere il sole, e ci avviamo sul sentiero che ci porta all'altra costa, dove il taxi ci deve venire a recuperare.

Il percorso è carino e la giornata soleggiata non ci fa quasi pensare di essere in Alaska, ma è comunque un trekking molto bello, anche se alla fine si rivela breve.

Arriviamo sulla spiaggia un pochino prima delle 16:30, dove Alberto ci aspetta. Alla fine aveva ragione il navi-tassinaro sull'orario. Poco male, abbiamo tempo per rilassarci all'ombra sulla spiaggia, con un mare splendente ed un'aria fresca, divertendoci a scovare le tracce di orsi che sono passati di lì, forse neanche da troppo tempo.

Alle 17:30 il taxi boat arriva puntuale e ci carica avvisandoci che forse nel viaggio di ritorno balleremo un po'. Difatti c'è un pochino di vento contro e qualche salto lo faremo, ma tanto siamo comodamente seduti sulle nostre sedie da campeggio. L'unico che rimane in piedi è l'inamovibile Alessandro che, da esperto navigatore asseconda i salti della barca come se fosse su una tavola da surf.
Scendiamo leggermente scombussolati ma tutto sommato contenti, come ultimo giorno da turisti non è andata male, anzi.

giovedì 1 agosto 2019

Giorno 13 - Homer – Orsi



Usciamo prestino, intorno alle 8:15. Abbiamo appuntamento alle 8:30 ma il porticciolo da cui decolla il nostro aereo è vicino.

Appena arrivati ci spiegano dove andremo e che vedremo tanti orsi. Speriamo, pure a Seward i presupposti erano questi...

Ci dicono di stare tranquilli quando li vedremo. Non sarà pericoloso, anzi, la cosa più pericolosa che faremo oggi sarà il volo.

L’aereo è un idrovolante da dieci posti che mi ricorda molto uno di quelli visti in Indiana Jones, forse un po’ più nuovo. Comunque mi piace.

Dopo averci dato gli stivaloni che arrivano quasi all’inguine, saliamo a bordo sotto l’occhio di Pier e Alberto, quindi decolliamo in modo molto tranquillo e veloce.

Rispetto al volo sul Denali è tutta un’altra cosa: l’aereo è decisamente più grande e stabile, si alza rapidamente e molto di più, così il viaggio di circa un'ora trascorre tranquillo senza i soliti problemi che avevo temuto di sperimentare.

Durante il volo passiamo accanto a diversi vulcani, quasi tutti attivi. Il più attivo è un’isola conica che pare abbia eruttato quattro volte negli ultimi trent’anni. Oggi sembra tranquilla.

Quando arriviamo sull’altra costa, passiamo sopra un altro vulcano che però è completamente ricoperto di neve e da un ghiacciaio immenso.

Appena più in là, scendendo a valle la neve si scioglie ed il ghiacciaio diventa un fiume che si stende in mille colori tra il verde ed il marrone, rinfrescando ed inverdendo la valle fino al mare.


Sporgendosi dall’oblò mi sembra già di vedere alcuni orsi. Speriamo non siano allucinazioni. Seguiamo il corso del fiume fino allo sbocco sul mare, quindi viriamo e ci atterriamo delicatamente. 

Non siamo proprio a terra, non c’è un pontile, per cui entriamo in acqua con gli stivaloni che evitano di bagnarci. Giunti sulla spiaggia, ci guardiamo intorno mentre il pilota getta l’ancora.
Scopriamo subito di essere osservati: a circa cento metri sul bagnasciuga, da dietro dei cespugli fa capolino la testa di un orso. Sembra quasi un gatto quando si mette dietro una porta ed aspetta che passi da quelle parti per farti un agguato. È lontano per cui non ce ne preoccupiamo, anche perché se ne va subito prendendo una via larga sull’erba, nascondendosi tra le piante. In pratica ci evita come se fossimo dei venditori ambulanti: <>

Dopo una veloce pausa toilette, ci incamminiamo lentamente dietro il pilota che ora indossa i panni della guida. Ci indica alcuni fiori comuni per l’Alaska, e altri più rari. Uno è una specie di orchidea selvaggia, un altro, Chocolate Lilly, odora di carne putrefatta, difatti è pieno di mosche. Vi lascio immaginare di cosa "profuma".

Poi c’è la Lady Sleppers che sembra una sorta di pianta carnivora. Tutti molto belli. 

Mentre avanziamo nell’erba alta, sulla destra scorgiamo l’orso di prima che continua a tenerci d’occhio. Una volta si è pure alzato in piedi, ma forse solo perché temeva che tra noi ci fossero anche dei testimoni di Jehova.

Scendiamo allora sulla spiaggia dove ci sono alcune impronte molto fresche. Orsi, alci, ma anche lupi. Due lupi sono passati da poco in quel punto.

Camminiamo guardinghi e un paio di centinaia di metri più avanti il solito orso ricompare sulla sabbia e se ne va nel prato che si apre per chilometri davanti a noi, interrotto solo dal fiume che taglia in due la valle.

Seguiamo un po’ le orme e poi anche noi ci ritroviamo sul prato. La guida ci mostra alcune piste degli orsi che questi continuano a percorrere.

In particolare ci sono delle impronte così marcate nell’erba che hanno fatto dei solchi profondi.

La guida ci porta in una zona che i plantigradi frequentano moltissimo, pare infatti che vi abbiano banchettato con un alce e, nonostante non ci siano più alci da mangiare, continuano a tornarci molto volentieri, come allietati dal ricordo del banchetto. Del resto anche noi quando troviamo un locale dove si mangia bene cerchiamo di tornarci.

Dopo qualche altro centinaio di metri ci accomodiamo sull’erba schiacciata tra il prato e il terrapieno alle nostre spalle.

Di fronte a noi un piccolo laghetto e la prateria, dove si muovono senza problemi una decina di orsi. Alcuni sono lontanissimi, altri sono più vicini. Ci vedono ma non si fanno problemi, l’importante è che non ci alziamo in piedi di fronte a loro e che non corriamo. Qui non è tanto un discorso del predatore che fiuta la paura, quanto il fatto che se corri l’orso pensa che vuoi giocare e allora si mette a rincorrerti. Solo che se ti prende... altro che gioco, ti fa proprio la festa, anche se non è la festa la tua.

Ma cosa fanno qui tanti orsi? 

Brucano l’erba.

Come mucche?

Orsi ovunque che mangiano erba e si rilassano al sole.

Dopo circa mezzora che siamo in osservazione ci accorgiamo che proprio vicino a noi, circa cinquanta metri sulla sinistra, un maschio ed una femmina hanno iniziato ad accoppiarsi. La cosa andrà avanti per almeno venti minuti o anche più, nel frattempo gli altri orsi pascolano.
Alcuni si avvicinano, altri guadano il fiume. Intanto alcune aquile calve sorvolano la zona e un cucciolo con il piumaggio ancora grigio e bianco fa pratica atterrando sul fiume.

Lontano sulla destra c’è una mamma con tre orsetti, ma per il momento non sembrano intenzionati ad avvicinarsi. Intanto gli amanti hanno concluso il loro affaire e si sono messi a brucare lei, a riposare lui. Sdraiato a pancia in giù sembra quasi comico.

Passano i minuti e anche gli orsi. La madre coi cuccioli si avvicina sempre di più e altri due amanti vengono a consumare davanti al nostro palco. Altro che ristorante, mi sa che siamo nel piazzale delle coppiette!

Una femmina sembra voler partecipare e si mette davanti ai due sperando che non ne abbiano ancora per molto.

Sarà stata attirata dalle cicatrici che il maschio sfoggia sul braccio sinistro. La guida lo conosce, dice che è un grande combattente.

Poi arriva un altro orso dal pelo molto chiaro, quasi bianco. Sembra molto giovane perché ad ogni maschio che lo avvicina scappa di corsa.

Pure la madre coi cuccioli sta continuando ad avvicinarsi.

Ora ci sono sei orsi davanti a noi, tutti piuttosto vicini, ma ne arriva un altro. È un grosso maschio, il più grande visto oggi. Con la sua andatura lenta ma minacciosa fa scappare tutti. Il primo è l’orsetto biondo, poi tutti gli altri, madre con cuccioli compresa. Temendo per i suoi piccoli guada il fiume allontanandosi, ormai sono troppo lontani per i nostri occhi.

A causa di questo disturbatore le distanze tra tutti sono aumentate e davanti a noi c’è rimasta solo un'orsa. È molto vicina e non ha affatto paura di noi.

Il giovane biondo nel frattempo ha trovato un coetaneo più scuro con cui giocare. Si rincorrono, si azzuffano e si buttano nel fiume a vicenda.

Senza rendercene conto siamo stati quasi quattro ore spaparanzati sull’erba come se fossimo sul divano di casa a vedere un documentario. C’è pure un sole anomalo per essere in Alaska, niente di impossibile, soprattutto se paragonato a quello di Roma.
Poteva andare peggio, poteva piovere. Sai che disastro stare per quattro ore seduti sull’erba bagnata sotto la pioggia battente? Magari non vedevamo nemmeno tutti questi orsacchiotti.

Eravamo proprio rilassati e felici, forse è così che i documentaristi vivono tutti i giorni? Che paradiso.

La cornice poi è incredibilmente bella. Altro che tv al plasma da 200 pollici: questa è realtà, questa è vita vera.

Il tempo è volato e purtroppo dobbiamo tornare all’aereo di Indiana Jones.

Durante il ritorno facciamo qualche altra foto e dei selfie con i due orsi giocherelloni che ora si stanno rilassando su in isoletta. Uno è seduto sulle gambe mentre ci osserva, l’altro si è sdraiato a pancia all’aria, in una posa molto umana, quasi fosse su una spiaggia a prendere il sole.

Lentamente ce ne andiamo, ma non prima di notare che sulla spiaggia ci sono nuove tracce fresche di lupo. La guida minimizza, ma ci fa girare al largo dalla pista battuta dai predatori.

Ripartiamo e dall’alto ora i colori sono ancora più belli: una tavolozza meravigliosa che non ci fa notare i lupi. Il pilota sembra invece coglierne i movimenti e vira per vedere meglio.
Io però non riesco a scorgere nulla e così ce ne torniamo verso casa passando ancora sul vulcano innevato. Ora che sono sul lato giusto mi accorgo dello spettacolo naturale sopra cui stiamo volando. 

Dopo oggi questo viaggio acquista una dimensione del tutto diversa. Prima era una vacanza, bella, ma sempre una vacanza. Ora invece è diventato un mezzo di apprendimento che solo dal vero poteva essere utilizzato.
Siamo abituati a vedere questi grandi plantigradi come animali pericolosi e assolutamente da evitare, da cacciare se necessario. Nei film sono demonizzati come lo squalo di Spielberg e anche i documentari non gli rendono abbastanza giustizia. 

La verità è che sono degli animali schivi che non vogliono avere troppi contatti con l’uomo e, se per caso succede, cercano comunque di starne alla larga. 

Ci siamo dimenticati che anche da noi ci sono gli orsi, ma con tutto quello che succede ed il poco spazio che abbiamo, in confronto all’Alaska, non se ne sente quasi parlare.

Qui si possono vedere ovunque se si è fortunati, sempre ad una certa distanza, ma si possono vedere.

Come è bello viaggiare, come è bello poterlo raccontare.


mercoledì 31 luglio 2019

Giorno 12 - Seward – Homer


Oggi salutiamo Seward e la penisola del Kenai. Io e Cassandra speriamo di lasciarci alle spalle la delusione della crociera di ieri, anche se sappiamo che molto probabilmente per farlo ci costerà parecchio. Del resto il discorso è sempre quello, ma quando ci torneremo in Alaska?

Comunque partiamo sotto un cielo cupo e rifacciamo una parte di strada percorsa un paio di giorni fa, la Seward Highway, che collega Seward con Anchorage. Poco dopo il Passo dell’alce, svoltiamo per la Sterling Highway proprio in direzione Homer, la nostra prossima tappa. Rimaniamo per un'oretta nell'entroterra per iniziare ad affacciarci poi sul golfo atlantico da cui si vedono in lontananza le montagne innevate. La prima che scorgiamo svettare non poteva essere altri che il McKinley, o Denali, con i suoi 6190 metri di altezza, che nonostante un pochino di foschia sembra proprio sgombero dalle nuvole.
Siamo fortunati a vederlo così, rientriamo in quel 30% delle persone che lo hanno visto senza occlusioni climatiche, come ci era capitato il primo giorno quando avevamo tentato inutilmente di atterrare su uno dei suoi ghiacciai.

Dopo qualche foto ci rimettiamo in auto e nel frattempo esce il sole. Sembra di essere in un altro stato. Anche la temperatura è lievemente più alta, ma i panorami sono sempre fantastici e, in questa zona, ricca di vulcani, in alcuni casi ancora attivi.

Giunti con calma ad Homer, nel primissimo pomeriggio, troviamo subito il nostro alloggio: una cabin. L'abbiamo trovato su Airbnb, come quello di Valdez, ma stavolta c'è veramente tutto quello di cui avevamo bisogno. 
Una cabin in pratica non è altro che una casa di legno, quasi un ex capanno degli attrezzi riadattato per alloggiarci in estate. In Italia cose del genere le ho viste solo in montagna, praticamente dei rifugi. 
Qui però c'è una bella cucina, due camere, una grande sala con divano letto e un bagno. Fuori ci sarebbe pure il barbecue ed un tavolo per mangiare all'aperto. Va bene che siamo in estate, ma è sempre l'Alaska, per cui non li useremo mai.
Anche qui per entrare basta inserire il codice d'ingresso che la padrona di casa ci aveva mandato ieri. Molto comodo. Sistemati i bagagli andiamo a vedere la città.

Decisamente più grande di Seward, è anche più turistica. Il cuore vero e proprio, per quanto riguarda i viaggiatori come noi, è lo Spit: una lingua di terra artificiale che si stende all'interno della baia e sul cui termine c'è il quartiere commerciale ed il porticciolo.

Andiamo subito a vederlo e, scansando i tanti ristoranti di pesce, ci perdiamo nei negozietti di souvenir, almeno Alberto e Alessandro.

Impossibile non notare che tra la gente che circola ci sono degli strani personaggi. Sono vestiti in modo bizzarro: a metà strada tra un mormone, un quacchero e uno zingaro. C'è perfino un tizio che sembra il direttore di un circo che cerca di fare strani giochi di prestigio a dei bambini.

Ci sarà qualche comunità mormonica? Possibile, anche se non avrei mai pensato di vederli in Alaska.

Quando poi mi imbatto in un negozietto alternativo, stile hippy, dove campeggiano i cartelli: vestiti fatti a mano dai nomadi locali, allora capisco. Non sono proprio zingari come intendiamo noi, ma sono nomadi nord americani. Sicuramente un'altra cosa rispetto a quelli che si possono trovare dalle nostre parti.

Io e Cassandra però non ci facciamo distrarre troppo, siamo concentrati e decisi a cancellare il brutto ricordo di ieri e, con l'aiuto di Pier, iniziamo chiedere informazioni per andare a vedere gli orsi.

Le offerte sono tutte carissime e molto simili. Se si vuole fare la versione breve il costo si aggira sui 500 dollari, la versione lunga invece sui 700 o poco meno. Dopo aver sentito qualche proposta ci rechiamo invece alla Bald Mountain, a cui Avventure si affida spesso. Sono i più cari, circa 725 dollari a testa, ma oltre al volo in idrovolante di un'ora, con loro l'escursione dovrebbe durare altre cinque/sei ore, quindi si riprende l'aereo per un'altra ora di ritorno. Le altre proposte prevedevano al massimo un appostamento di tre ore e la zona di atterraggio non era la stessa, ovvero il Katmai national park. Inoltre non ci hanno convinto sul successo della spedizione di vedere gli orsi.

Con Bald Mountain invece è garantito, nel senso che non ci ridanno i soldi se non li vediamo, ma hanno assicurato che dove atterreremo sarà praticamente impossibile non vedere degli orsi.

Ci facciamo un altro giro per i negozi e intanto che ci pensiamo Alberto si prenota per l'indomani una gita in Kajak. Poteva essere divertente, ma magari un'altra volta. Effettivamente questo tipo di escursione si potrebbe fare anche in altri viaggi.

Torniamo allora dalla signora della Bald Mountain e troviamo una coppia asiatica che sta prenotando.

Li moltacci stlacci!

Non è che ci hanno fregato gli ultimi due posti in aereo????

Attendiamo pazientemente lanciando improperi e maledizioni di ogni sorta e alla fine pagano e se ne vanno.

Un po' scoraggiati entriamo anche noi per scoprire che gli ultimi due posti rimasti sono proprio i nostri.

Paghiamo 700 dollari, con un piccolo sconto perché usiamo i contanti, e ce ne andiamo, felici di esserci fatti alleggerire così tanto in un sol colpo.

Speriamo di esserlo anche domani, altrimenti il rientro a casa sarà veramente quello di una coppia di viaggiatori delusissimi.


martedì 30 luglio 2019

Giorno 11 - Seward - Crociera nel fiordo Kenaj


Questa mattina la crociera parte tardi, verso mezzogiorno, per cui ce la prendiamo molto comoda.

Ci facciamo accompagnare da Pier e compagni in centro, dove Alessandro e Alberto non perdono occasione per fare altro shopping. Io e Cassandra gironzoliamo un pochino in qualche negozio dove acquisto solo io. Cassandra non è in forma. Temo che si stia trattenendo per quando torneremo a casa e inizieranno i saldi estivi, anzi ne ho quasi la certezza.

Saliamo a bordo e notiamo subito che l'organizzazione sembra ottima, sicuramente migliore della crociera precedente di Valdez. Al piano di sotto ci sono i passeggeri che hanno prenotato il pranzo, difatti c'è anche un ottimo self service, per chi apprezza.

Al piano di sopra, dove ci accomodiamo in posti assegnati, ci sono i tavoli per coloro che si sono portati la schiscèta da casa.

Il cielo è plumbeo, ma anche a Valdez era così.

Partiamo in orario e ci avviciniamo subito alla costa opposta del fiordo. Qui iniziamo a vedere capre di montagna ed un’aquila, nonché un esempio di foresta delle piogge.

Poi il tempo peggiora con un po' di pioggia ma continuiamo a navigare sotto costa per diversi minuti finché non avvistiamo qualche puffin e, in lontananza, i leoni marini. Non sono molti come quelli di Valdez e siamo pure più lontani, ma questo è solo l'inizio! Ora usciamo al largo e chissà cosa ci aspetta.

La navigazione però continua lenta e rasentando i bordi del fiordo. Quando arriviamo quasi al mare aperto passiamo da un bunker della seconda guerra mondiale.

Nel frattempo piove più forte e il mare si è leggermente ingrossato. La nave accelera. Ci siamo! Il pilota deve aver visto qualcosa e ci si sta dirigendo!

Mentre la nave accelera sempre di più rimanere all'aperto non è più praticabile. Decidiamo di rientrare per poi uscire quando rallenterà.

Purtroppo arriviamo dall'altra parte del fiordo senza mai rallentare.

Era una trappola, come direbbe l'ammiraglio Ackbar ne "Il ritorno dello Jedi".

Il pilota non aveva avvistato assolutamente nulla ed ha accelerato solo per evitare di rimanere in mare aperto troppo a lungo.

Sull'altra sponda la storia si ripete: paesaggi, pioggia e nulla più.

Intanto sulla nave la situazione raggiunge proporzioni grottesche. Qualcuno, che ha mangiato troppo alla mensa, inizia a sentirsi male. Paradossalmente lo speaker della nave annuncia che per compensare il mancato avvistamento di qualunque cosa di apprezzabile, il dolce viene offerto ad un dollaro per tutto quello che uno può mangiare.

Non mi compreranno con dello squallido dolce americano!

Al piano di sopra però non tutti sono presi dal mio spirito combattivo e molti corrono giù a fare il pieno, gli altri invece si stanno addormentando dalla noia.

La delusione per questa crociera inutile è tanta e ad un certo punto mi provoca delle allucinazioni. Quando passiamo alla base di un grande ghiacciaio, sicuramente molto bello, ma sono troppo irritato per apprezzarne la bellezza naturalistica, vedo una balena soffiare. Inizio ad urlare "Laggiù! Vicino alla costa!"

Con la mia macchina fotografica cerco di ingrandire l'immagine e anche se è lontanissima sembra proprio la schiena di una balena che appare e scompare.

Nessuno però l'ha notata così cerco di attirare l'attenzione, finché lo dico alla ragazza ranger che ci accompagna. Questa neanche ci prova a verificarlo col suo binocolo. Mi guarda con infinita compassione e mi dice: “Sì, lo so, è una roccia...”

La delusione prende il sopravvento ed io smetto di combattere e mi unisco agli altri che si stanno per addormentare al piano di sopra.

Solo al rientro in porto vediamo una otaria che si gode il bagno rinfrescante. 

Ci vede e sembra che stia ridendo di noi. "Anvedi sti citrulli".

Scendiamo dalla nave un po' arrabbiati. La sensazione che già prima di partire sapessero che non avremmo visto nulla diventa sempre più forte.

Poi camminando, sbolliamo la negatività. Siamo in vacanza, non ci va di farcela rovinare così. Del resto ci era già capitato in Botswana di fare un safari e di non vedere quasi il nulla della storia infinita. Può capitare, anzi, forse deve capitare. Se così non fosse sembrerebbe che gli animali siano stati messi lì proprio per noi. Non sarebbero spontanei. Invece non è così, se si riescono a vedere è perché spontaneamente si trovano a passare da quelle parti.

Dopo questo arzigogolato ragionamento filosofico cabalistico riesco a convincermi che va bene così. Pazienza, ci rifaremo.
Spero.