L'immancabile maledizione pre maratona che mi colpisce quasi ogni gara, anche stavolta non ha mancato il bersaglio. Il giorno prima infatti sono stato male e l'ho passato sul divano, quasi incapace di stare in piedi per più di cinque minuti. Inutile dire che ciò ha contribuito ad accrescere l'ansia che mi ha tenuto sveglio tutto il giorno impedendomi di riposare. Però non tutti i male vengono per nuocere, in questo modo sono crollato subito dopo cena e mi sono svegliato un pochino meglio del giorno prima.
Arrivo al Colosseo con Aldo, che ho incontrato sulla metropolitana, e il tempo è brutto. Ecco di questo non mi preoccupo, anzi. Se qualcuno ha patito la pioggia e la mancanza di sole, lo ammetto, è colpa mia. Per tutta la settimana precedente ho fatto la danza della pioggia sperando che oggi non ci fosse il sole, capace di togliermi le energie peggio di un vampiro assetato. Per andare sul sicuro poi mi sono tagliato la barba e l'ho sacrificata agli dei bruciandola su un altarino. Ha funzionato! Non credevo di avere queste capacità esoteriche...
Comunque il mio cambiamento è stato così radicale che quando incontriamo il G6, tutti mi salutano come se fosse la prima volta che ci vediamo dicendomi "Piacere di conoscerti". Solo dopo qualche sguardo perplesso mi riconoscono.
Inizia la gara e il cielo diventa sempre più grigio. Tutto previsto, come direbbe la profetessa Cassandra.
Già alla Garbatella ho perso il gruppetto del G6, tranne Aldo.
Contento che non ci sia il sole inizia a piovere. Non tanto, ma quanto basta perché l'acqua renda scivolosi i san pietrini. Acqua che rese Roma l'eterna città grazie ai suoi acquedotti e che, una volta distrutti, ne decretò la caduta. Allo stesso modo un podista vestito da centurione scivola davanti a me sull'acqua inscenando un'altra caduta, dolorosa, anche se meno fragorosa.
Schivando i cocci romani riprendo la corsa, frustato da un forte vento e dalla pioggia. Tuoni e fulmini ci illuminano, manco si fosse scomodato Giove per salutarci.
Sorpassiamo il ristoro del decimo chilometro dove intravedo Luigi e Antonio dei Road runner, impegnatissimi con la distribuzione dell'acqua. Li saluto con un urlo, ma c'è troppa gente, e proseguo.
Il freddo e la pioggia iniziano a farsi sentire e, forse, anche la maledizione di ieri. Fatto sta che ho già una crisi ed inizio a pensare che sarà difficile correrla tutta così...
Per non pensarci accendo la musica e questa mi viene subito in soccorso. Parte una delle mie canzoni preferite per correre: 500 miles dei Proclaimers. Vi risparmio tutta la traduzione, anche se meriterebbe la versione integrale. Il ritornello però non posso non citarlo, ovviamente tradotto:
Ma io camminerei 500 miglia
E ne camminerei 500 ancor
Solo per essere l'uomo che ha camminato 1000 miglia per cadere davanti alla tua porta
Inizio a canticchiarla con il solito sorriso ebete del miracolato stampato sul volto e la crisi se ne va.
Arriviamo sul lungo Tevere e anche se qualche volta mi perdo Aldo, poi lo recupero sempre. Ci trova anche Marco, che si aggrega proprio quando arriva il secondo grande scroscio che ci inzuppa definitivamente. Per limitare i danni cerchiamo di ripararci inutilmente sotto le piante, ma per fortuna la pioggia dura poco. Verso il diciottesimo incontro l'avvocato, compagno di corse della domenica, il quale mi offre una spugna che uso per asciugarmi un pochino. Lo saluto contento e proseguo.
All'altezza di San Pietro continuiamo spediti e mi attacco all'orologio per mandare messaggi alla mia famiglia che, in teoria, mi aspetta dalle parti di Via delle Milizie per incitarmi. Quando ci passiamo però non vedo nessuno e tiro dritto, un pò sconsolato, mi mangio un gel per tirarmi su il morale e mi devo pure fermare a fare pipì. Non ce la facevo più...
Riparto, conscio di essermi perso Aldo e Marco per la sosta, ma quando arrivo sul lungo Tevere, poco prima dello stadio olimpico, li riaggancio. Attraversiamo il ponte, consapevoli che fra poco ci sarà la salita della moschea, il vero semaforo della maratona. Speriamo di vedere la luce verde, o almeno la gialla... Poco prima raggiungo Annalisa Minetti, e la supero, giusto in tempo per iniziare la salita.
Pur decelerando un pochino, non crollo, la luce verde continua a rimanere accesa fino alla discesa e così arrivo al trentesimo contentissimo. Purtroppo mi sono perso per strada Marco e Aldo, così proseguo da solo riaccendendo la musica.
Dato che il secondo appuntamento con la famiglia era al trentacinquesimo chilometro, mi riattacco all'orologio e scopro che sono tutti in attesa del mio passaggio. Speriamo.
Imbocco il sottopasso del lungotevere Flaminio ed eccole li: mia madre, Cassandra e sua madre. Senza fiato mi sbraccio salutandole finché non mi vedono e felicissimo inizio la salita verso il tratto finale.
Da qui in poi due anni fa incontrai il famoso muro. Ora sono all'Ara Pacis e sembra che vada ancora tutto bene. Le energie sono ancora sufficienti, i dolori alle gambe quasi non li sento, per cui tiro dritto e a Largo di Torre Argentina, dove ci arrivai sulle ginocchia, sfreccio ancora bene, soprattutto perché in cuffia mi parte la musica di Rocky IV. Il pezzo è War di Vince DiCola, e quando mi alleno ha sempre un esito dopante su di me. Giunto a via del corso con questa musica nelle orecchie l'effetto è amplificato dal muro di gente ai lati della strada. Cerco di trattenere la commozione, ma la gente mi guarda indicandomi come un sofferente portatore di croce. Mi viene da ridere e piangere allo stesso momento, soprattutto quando supero un tizio vestito con la tutina dell'uomo ragno.
A piazza del popolo spengo la musica, non riesco comunque più a sentirla e mi devo concentrare per non cedere. Via del Babbuino è stretta e insidiosa, ma quando arrivo a piazza di Spagna vedo il cartello lampeggiante: indica 3:28!!!
Non ci credo!
Mi tiro un ceffone mentale dicendomi: "Aspetta a cantar vittoria! C'è la galleria di via Milano"
Stringo i denti ed entro nel tunnel, quello buio e in salita. Arrampicandomi a testa bassa, cercando di evitare gli stremati, diventando sordo alle urla delle articolazioni torturate, arranco finché non vedo la luce. Sono fuori. Sono in discesa? Si! Sto scendendo verso piazza Venezia.
Giro la curva ed ecco il cartellone che lampeggia il tempo di tre ore e trentanove minuti. Come una sirena mi attira verso di lei e io accelero. Non voglio farmelo scappare, quel tempo deve essere mio!
Quando taglio il traguardo scoppio finalmente a piangere di gioia. Mi chino sulle transenne finché qualcuno mi bussa per vedere se sto bene. Io mi rialzo felicissimo e mi avvio a prendere una medaglia meritata come non mai, ridendo e piangendo allo stesso tempo.
3:38:58! Non pensavo di poter fare questo risultato.
Grazie a Stefano per i consigli preziosi e che ogni volta mi sistema i miei molti guai muscolari. Grazie al G6 per l'allenamento assieme e la tabella del capitano che ho cercato di seguire in differita, agli amici milanesi per i lunghi, ai road runner e a Luigi e l'avvocato per aver condiviso qualche serata di allenamento con me in questi mesi bui.
Grazie ai miei genitori e a Cassandra che sono scesi a vedermi, un regalo bellissimo.
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