mercoledì 6 gennaio 2016

La Piramide Cestia


La mia prima piramide, e fin'ora l'unica, la vidi proprio qui a Roma. Era il 1982 e nonna mi disse che gli antichi romani l'avevano presa dall'Egitto e portata, pezzo per pezzo, a Roma, dove la ricomposero. Purtroppo non è così, ma la sua storia non è meno affascinante di quella effettiva.
Risale infatti al primo secolo a c, durante la fase di passaggio tra la repubblica e l'impero, ovvero gli anni in cui Ottaviano diventa Augusto, il primo imperatore.
La piramide sorge vicino alla porta ostiense, la cui omonima via conduce tutt'ora ad Ostia, il collegamento diretto con il porto cittadino.
Le mura che circondano la porta e la piramide stessa sono le mura aureliane, erette in solo quattro anni, tra il 271 e il 275 d c, per circondare e difendere la città dall'ansia provocata dalla minaccia delle forti popolazioni del nord Europa.


Durante la costruzione di queste mura sono stati inglobati alcuni monumenti, uno di questi era proprio la piramide, altri per esempio erano degli acquedotti.
La via ostiense, come la via Appia, era una via consolare, lungo le quali venivano utilizzati i terreni per creare luoghi di sepoltura. La piramide difatti è un luogo di sepoltura, all'epoca era al di fuori della città.
Caio Cestio fa quindi erigere una piramide come suo luogo di sepoltura, ma non fu l'unico. Pare ce ne fosse un'altra in via della conciliazione, ma venne distrutta dal Papa Alessandro VI Borgia per fare spazio ai pellegrini che sarebbero giunti a Roma in occasione del giubileo del 1500.
Ce ne erano pure altre due, che si trovavano dove oggi sorgono le cosiddette chiese gemelle in piazza del popolo. Forse ce ne erano altre ancora, ma se così fosse non sono sopravvissute fino ai giorni nostri.
Anche questa piramide in realtà sopravvive solo perché inglobata nelle mura aureliane.


Conquistato l'Egitto, a Roma si venne a verificare lo stesso fenomeno che già avvenne con la Grecia: una sorta di moda nel ricercare e nell'emulare la cultura egiziana. Simbolo di tale nazione erano le piramidi, come gli obelischi, ed ecco che a Roma iniziano a comparire obelischi e piramidi.
Sappiamo molto della costruzione in stile egiziano: venne costruita tra il 15 e il 18 a c. Caio Cestio inoltre si presenta con l'iscrizione che fa scolpire sulla parete della piramide: console, tribuno della plebe e membro del collegio degli epuloni.
Gli epuloni erano un collegio sacerdotale che aveva a che fare con l'epulo, ovvero il banchetto che si organizzava in onore delle varie divinità. Il banchetto annuale più importante era quello in onore di Giove, il padre di tutti gli Dei.


Inizialmente Caio Cestio voleva farsi seppellire nella piramide con i suoi oggetti più preziosi, ovvero degli arazzi di Attalica, derivanti da Attalo primo, re di Pergamo. Erano arazzi pregiatissimi e preziosissimi perché interamente intessuti con filamenti d'oro.
Purtroppo Augusto vietò proprio nel 18 a c il lusso nelle celebrazioni pubbliche, quindi anche nelle sepolture. Caio Cestio non poté portarsi nella tomba le sue copertine dorate. Il figlio allora vendette questi arazzi e con il ricavato riuscì a fare realizzare due grandissime statue di bronzo dorato che avrebbero decorato i lati della piramide, vicino all'ingresso.
Tutto questo lo sappiamo grazie al dettagliato testamento che Caio Cestio scrisse alla base di queste statue, le cui basi stanno oggi ai musei capitolini.
Nel testamento Caio Cestio comanda che la piramide, che misura alla base 30 metri e in altezza 37, venga realizzata in 330 giorni. Il figlio, che dovette occuparsi di terminare i lavori in tempo, che lo accontentò. Nel testamento Caio menziona anche i suoi eredi e tra questi c'è Agrippa, il genero di Augusto, futuro imperatore.

La piramide non era un monumento isolato come oggi, attorno ad essa c'era un grande recinto costituito da un muraglione di tufo, di cui rimangono pochi blocchi della base.
Nel recinto venivano celebrate le pratiche funerarie, come i banchetti nei giorni di festa.
La piramide è giunta a noi dopo duemila anni, ma venne ristrutturata nel 1600 da Papa Alessandro VI Chigi. Fu lui che scavò il cunicolo che oggi ci permette di accedere all'interno. Al contrario delle piramidi egizie questa è rivestita di marmo e cemento, ma all'interno per costruirla vennero usati i mattoni.
Come dicevo si conoscono tante cose di Caio Cestio, ma non si sa se fu cremato o meno, questo perché nella piramide non è stato trovato nulla.
Venne costruita partendo dalla stanza di sepoltura, che una volta chiusa non doveva più avere contatti con l'esterno. Dopo di che la Piramide venne eretta sopra la stanza.
All'interno si notano però, oltre al corridoio scavato dal Papa, delle aperture fatte dai tombaroli alla ricerca di stanze segrete e tesori.
C'è perfino un altro cunicolo in cui furono scavati degli scalini, in previsione dei grandi tesori che si sarebbero dovuti trasportare. Chissà come ci sono rimasti male i ladri quando non hanno trovato nulla a causa di quella legge che impediva di farsi seppellire con beni preziosi.
Quello che vediamo ancora oggi però sono dei magnifici affreschi, trai più intatti che si possano ammirare, anche se minimali. Su sfondo bianco, si vedono in ogni parete dei riquadri con elementi decorativi, all'interno delle figure femminili, raffigurate nell'atto di fare offerte, come bruciare incenso.
Sulla volta ci sono quattro Nike, le dee della vittoria, che in questo caso celebrano la vittoria della vita sulla morte.

martedì 5 gennaio 2016

Le Terme di Caracalla



Carcalla, finalmente. Anche oggi aggiungiamo un altro tassello alla storia della città eterna. Questo era uno dei pochissimi siti che nemmeno Cassandra era mai riuscita a visitare. Quindi è grazie a me che la profetessa delle trite cariatidi oggi, ancora più contrita, ha potuto visitare questo immenso luogo.
Le terme di Caracalla sono ormai le uniche terme visitabili per come erano nella loro struttura originale. Le altre sono state distrutte o, come quelle di Diocliziano, sono state sfruttate per creare una chiesa ed un convento.
Caracalla era l'imperatore che tra il 211 e il 216 d c costruì tali terme. In soli 4 anni. Ad oggi quattro anni è il tempo necessario per una nuova fermata della metropolitana.
Purtroppo nel 217 Caracalla viene ucciso, come del resto molti dei suoi predecessori e successori. A quei tempi essere imperatore non significava vivere al di sopra di ogni cosa, come ci si potrebbe immaginare.
L'impero di Caracalla non fu facile, durante il suo regno Roma aveva già raggiunto la sua massima espansione e stava iniziando a subire qualche colpo che ne restrinse il territorio. Inoltre Caracalla fu responsabile della crescita dell'inflazione, che cercò di combattere dando la cittadinanza romana anche alle province dell'impero, imponendo quindi le tasse anche a loro.
Caracalla sembra fosse un violento, un truce che amava gli omicidi, ma questo non era il suo vero nome. Caracalla in realtà era una copertina che si portava dietro sin da quando era bambino, praticamente come Linus.
Caracalla fu molto odiato, in particolar modo perché si era inimicato gli aristocratici e l'esercito, difatti probabilmente venne ucciso per vendetta.
Durante i suoi pochi anni di regno cercò invece di ingraziarsi il popolo costruendo servizi in suo favore. Il biglietto d'ingresso per le terme per esempio, e che terme, era gratuito per tutti.
Il luogo dove vennero costruite le terme, il piccolo aventino, a pochi metri dal circo massimo, non fu scelto a caso: era infatti una zona estremamente popolosa.
Era quindi una necessità, perché ad eccezione dei Patrizi, e nemmeno per tutti, non esistevano i bagni, ed i romani erano molto puliti.

C'è da dire che le terme non furono inventate dai romani, probabilmente presero l'idea dai greci. Prima delle terme infatti esistevano solo piccoli bagni pubblici chiamati Balnea, dove ci si lavava solamente. Le terme furono l'evoluzione dei Balnea. Qui si poteva compire un ciclo idroterapico completo, che oltre alla pulizia poteva dare sollievo al corpo ed alla mente. Proprio come oggi avviene nelle Spa.
Per la cura della mente in particolare nacquero, sempre in questo comprensorio, luoghi dedicati come biblioteche, sale conferenze, sale convegni, luoghi di lettura, luoghi di scambio, botteghe, e giardini.
Il primo che costruì delle grandi terme fu Agrippa, il successore di Ottaviano, che fece erigere le sue accanto al Pantheon.


Tutte avevano in comune una particolarità: nonostante fossero gratuite erano lussuosissime. Questo perché le terme per i romani erano parte parte integrante del loro status sociale. Non a caso quando veniva conquistata una nazione, nelle principali città venivano costruite le terme, come segno e marchio della loro romanità.
Per loro era un modo di concepire la cultura e il tempo libero, dedicato al corpo ed alla mente.
Le terme di Caracalla rimasero in funzione fino alla metà del 500 d c, quando i Goti, discesi fino a Roma, per far capitolare la città tagliarono gli acquedotti. Senza più acqua le terme diventarono così solo una cava di materiale, specialmente per tutti quei favolosi marmi che le decoravano. In seguito vi nacque un piccolo ospedale, un ostello per i pellegrini, ed un piccola chiesetta.
Solo tra il 1400 ed il 1500 i papi iniziarono a far scavare questi luoghi, ormai sotterrati dai secoli, per recuperare le bellezze che adornavano le grandi sale.
Entrando nel corpo centrale delle terme accediamo ad uno degli ambienti simmetrici in cui si potevano svolgere altre attività. C'era un percorso standard, ma non era obbligatorio seguirlo.
Tutti entravano negli spogliatoi, dove si riponevano i vestiti. Qui c'erano persone che venivano pagate per custodire gli abiti, mentre i più ricchi si portavano da casa lo schiavo per fargli da guardiano. Essendo un luogo pubblico e gratuito, si poteva incontrare gente di ogni genere, per cui il pericolo di tornare a casa nudi esisteva eccome.
Il percorso consigliato indicava di passare in palestra. Ce ne erano due, molto grandi e a cielo aperto. Una volta spogliati, unti di olio e rimasti con una specie di perizoma, le donne rimanevano in bichini, nelle palestre ci si poteva allenare nella corsa, pugilato, lotta, gioco con la palla, gioco con il cerchio. Anche le donne lottavano e facevano pugilato, molto più usualmente di oggi per lo meno, anche perché oltre ai gladiatori esistevano perfino le glatiatrici.
Chissà che spettacolo poter assistere ad una lotta tra gladiatrici, soprattutto se si pensa a quanto possono essere pericolose e cattive in certi periodi le donne.
La palestra era, come gli spogliatoi, pavimentata con dei mosaici, così come i portici che vi si affacciavano. Nei piani superiori ai portici si potevano fare i bagni di sole, anche se l'abbronzatura non era particolarmente amata dai romani, soprattutto dalle donne, ma lo si faceva per motivi di salute.
Osservando bene i muri in mattoni, si notano molto bene dei fori. Erano delle grappe che tenevano assieme le lastre di marmo che ricoprivano tutte le pareti ed i soffitti, purtroppo non è rimasto nulla, ma per avere un minimo di idea di come dovevano essere delle terme, forse basterebbe visitare la basilica di Santa Maria degli Angeli, costruita nelle terme di Diocliziano.
Tra un muro e l'altro si vedono anche dei tubuli, ovvero dei mattoni di terracotta forati, che l'uno sull'altro formavano un condotto da cui passava l'aria calda. Le pareti quindi erano tutte calde, riscaldate dalle fornaci che ardevano nei sotterranei.

Terminati gli allenamenti in palestra, prima di iniziare il percorso idroterapico, c'erano degli addetti che ripulivano le persone dall'olio e dal sudore con uno strumento chiamato Strigile, una specie di pettinino in avorio, ma senza dentelli, che veniva passato sul corpo per raschiare via le impurità prima di entrare in acqua. C'era anche una stanza adibita al massaggio, altre per le donne adibite alla ceretta e altre ancora sempre per la cura del corpo.
Tutto sempre rigorosamente gratuito.
Addentrandoci sempre di più nelle strutture delle terme, ormai a cielo aperto, non si può non rimanere strabiliati dall'altezza che dovevano avere. Il motivo di questi enormi spazi era un calcolo voluto: in questo modo si poteva sfruttare la cubatura dell'aria in verticale, consentendo di accogliere una grandissima quantità di persone.
Il percorso idroterapico vero e proprio iniziava con la sauna, dove la temperatura poteva arrivare a 70/80 gradi. Da qui poi si entrava nel Calidarium, il cuore delle terme: sotto una grande cupola c'era una vasca centrale a temperatura elevata, anche 50 gradi. Tutto attorno una meraviglia di marmi e ampie finestra, forse colorate.
Una volta raggiunta la cottura ideale, si passava dal Tiepidarium, piccolissimo ambiente, in cui c'era una vasca di acqua tiepida, utilizzata per far decantare il fisico.
Infine si giungeva al Frigidarium, l'ambiente in cui c'erano quattro grandi vasche di acqua fredda. Qui terminava il ciclo idroterapico, con l'immersione nell'acqua fredda.

Ultimissimo ambiente era la natatio, o piscina. Si trovava a metà tra i due spogliatoi e le palestre. Vi si accedeva come ultimo ambiente oppure, per chi voleva, probabilmente in estate, ci si arrivava direttamente senza fare tutto il percorso.
Ora è difficile immaginarlo, ma gli ambienti erano ricchissimi di statue, marmi, mosaici. Le terme di Caracalla in particolar modo furono saccheggiate dai Papi e ancora oggi si possono vedere in giro per il mondo: le colonne di Santa Maria in Trastevere arrivano da qui, così come le grandi vasche in piazza Farnese, o i grandi mosaici dei lottatori oggi ai musei vaticani.
L'archeologa ci tiene a sottolineare l'importanza della considerazione dello stato sociale delle terme. Racconta infatti che la politica vera e propria, invece di essere svolta al senato o nella curia, la si faceva qui, sui gradini della piscina o della sauna.
Inoltre alle terme si potevano fare incontri interessanti, conoscere persone. Spesso erano le madri a portare le figlie, di dieci, undici o dodici anni, per mostrarle e cercar loro marito. Sembra sconcertante ma all'epoca l'età media delle donne era ventinove anni e la principale causa della loro mortalità era il parto.
Sempre alle terme non mancavano le occasioni per fare anche incontri con le prostitute o fare del gioco d'azzardo, nonostante fosse vietato.
Purtroppo non sono visitabili, ma al di sotto delle terme ci sono altri ambienti grandissimi che sono i sotterranei. Una vera e propria città in cui tantissime persone, la maggior parte schiavi, lavoravano per mantenere in funzione le terme, tutti i giorni dell'anno. Per mantenere la temperatura ambientale e dell'acqua ad un livello costante, si dovevano bruciare in modo continuativo legna, anche di notte, perché non conveniva lasciarlo spegnere.
I sotterranei erano, anzi, sono tutt'ora costituiti da tre livelli: al meno tre c'erano le condutture delle acque nere, le acque di scolo delle vasche e delle latrine.
Al secondo livello c'erano delle stanze chiamate ipocausti, dove c'erano i forni. Questi erano aperti da due lati: il primo, più ampio veniva utilizzato per buttarci la legna da ardere, dall'altro invece il vapore usciva e saliva verso l'alto, andando a scaldare le vasche e le pareti delle terme.
Alla fine di tutto il carbone non veniva gettato, ma veniva raccolto e portato alle fulloniche, ovvero le lavanderie. Questo perché con il carbone si smacchiavano le tuniche.
Al livello meno uno invece vi erano le condutture che contenevano l'acqua da scaldare per riempire il calidarium.
All'esterno invece, oltre i giardini che stavano di fronte alle terme, c'era il castello dell'acqua, la cisterna che raccoglieva le acque dell'acquedotto dell'acquamarcia. Qui davanti c'era uno stadio, utilizzato nella bella stagione per fare esercizio fisico.
Ai lati del castello dell'acqua, c'erano altri ambienti, come le biblioteche, da una parte pare ci fosse quella latina, mentre dall'altra quella greca.
Insomma era una vera e propria città da vivere, inizio a capire perché i romani passassero tutto il loro tempo fuori di casa.

lunedì 4 gennaio 2016

Assestamento in corso

Sono passati tre mesi, e ancora non mi ci sono abituato. Non sono ancora riuscito a realizzare di essere venuto a vivere qui, in una città così bella, così grande, confusionale, difficile da vivere, ma anche piena zeppa dì sorprese nascoste.
Credo che sarà così ancora per parecchio tempo, tutto da scoprire e da gustare. Solo il tragitto per andare in ufficio, oltre ad essere lungo e stancante, ha il pregio di cambiare quasi tutti i giorni. Le possibilità sembra siano infinite, ogni giorno ne scopro una diversa. Del resto parto da un capo era arrivo all'altro della capitale, attraversando il centro storico. Ogni giorno ho la fortuna di poter ammirare il Colosseo ed i fori imperiali, nonché piazza san Giovanni. Qualche volta poi mi capita di vedere l'arco di Costantino, il circo massimo, il palatino, le terme di Caracalla. Come mi giro da qualche parte vedo secoli di storia volarmi davanti agli occhi.
Certo l'efficienza dei mezzi pubblici non è comparabile con quella milanese, ma per il momento non riesco ancora a soffrirla, anzi, ci sono giornate in cui mi capita di assistere, come un incredulo spettatore, a scene che prima potevo vedere solo nei film degli anni settanta di Bombolo & compagniabbella.
Cosa ho imparato in questi primi mesi di Roma? Che le leggende sulle buche nelle strade non sono inventate. Qui ci sono strade in cui le auto sfrecciano tra un cratere e l'altro, rischiando di venire inghiottiti dall'asfalto affamato di pneumatici e sospensioni.
Il clima invece è sempre mite, siamo a dicembre e in casa non abbiamo ancora acceso il riscaldamento. Pare di essere in primavera, proprio come in California. Solo che loro non hanno il Colosseo.
Temo per quando arriverà l'estate, anche se fino ad allora c'è tempo, tutto il tempo per scegliere un pinguino portatile.
La città è bella, anzi di più (Cassandra non sbagliava a ripeterlo in continuazione), ma io non ho ancora trovato un mio ritmo, una mia dimensione. Il weekend è fantastico: ogni volta si torna ad esplorare, a gustare, ad ammirare, cose che pochi milanesi in un anno sono riusciti a vedere più di me a Roma. Per fortuna ce ne sono ancora tantissime da vedere. Altro che New York, Londra o Parigi. Magari li si vive meglio eh, ma non sono Roma.
In settimana invece è più difficile, più faticoso, più sfinente. Faccio molta fatica a trovare uno spazio da ritagliarmi per la corsa, un po' colpa della mia pigrizia, un po' a causa di fattori esterni.
Lo scorso weekend ho ricevuto la prima visita famigliare. Mia sorella con marito, nipotina e sorella del cognato.
Abbiamo girato Roma come dei pazzi in preda ad una frenesia turistica da far invidia a certi tour operator.
Strane sensazioni, strane situazioni. Belle, divertenti. C'è da riflettere, da pensare.
Sono lontano da casa, 570 km non mi hanno spostato su un altro pianeta e nemmeno fatto cambiare continente o nazione, ma non sono più a casa mia.
Forse prima lo capisco e prima troverò il mio ritmo, la mia dimensione.

sabato 2 gennaio 2016

Il ghetto ebraico e l'isola tiberina


Il significato di ghetto deriva dalla parola ghetar, ovvero gettare. In particolare veniva usato per coloro che gettavano nel fuoco metalli per fonderli e renderli oggetti preziosi da commerciare. Il commercio effettivamente è la caratteristica per cui il popolo ebraico è famoso.
Il ghetto di Roma fu istituito nel 1550. Venne chiuso da delle grandi mura e vi si poteva accedere solo attraverso tre grandi porte, questo per tenere la popolazione ebraica separata dal resto dei romani.
Gli ebrei in realtà a Roma c'erano già da tempo in quella zona, forse prima ancora dei romani stessi. Essendo commercianti, vennero attirati qui, come gli etruschi, dal porto sull'isola tiberina.
Il ghetto fu poi smantellato nel 1870, ma fino a quel tempo la vita all'interno delle mura non era poi così tranquilla come si poteva pensare.
La nostra visita parte da Piazza Mattei, subito fuori del ghetto. In questa piccola piazza vivevano due importanti famiglie romane: i Mattei ed i Costaguti. Queste avevano il compito di custodire le chiavi dei portoni, di aprirli la mattina e chiuderli al tramonto.
La piazzetta, detta isola Mattei, è dominata dal palazzo Mattei e dal palazzo Costaguti. Al centro della piazza c'è la famosa fontana delle tartarughe, fatta costruire dai Mattei, a cui poi successivamente il Bernini aggiunse le quattro piccole tartarughe. Quelle che vediamo non sono le originali, anche perché poco alla volta furono rubate tutte.
Sulla facciata di palazzo Mattei si nota una finestra murata e l'archeologa ce ne racconta la leggenda:
Sembra che uno dei Mattei, prossimo al matrimonio, fosse uno scapestrato che passava le giornate a bere e giocare nelle bische. Il futuro suocero, venendo a conoscenza dell'indole del genero, decise di non fargli più sposare la figlia. Allora Mattei diede una festa a cui invitò anche l'ex futuro suocero. La mattina successiva, affacciandosi alla finestra sulla piazza, il suocero vide la fontana che il giorno prima non c'era. Il Mattei allora gli fece presente di cosa fosse capace uno scapestrato in una sola notte.
Il suocero, estasiato, acconsentì al matrimonio, ma il Mattei per vendetta fece murare la finestra così che il suocero non avrebbe più potuto ammirare la fontana.
La fontana in realtà ritrae il concetto di Festina lente: pensare, riflettere e poi agire con rapidità

Sempre in questa piazzetta c'è anche il palazzo della famiglia Costaguti, dove si scorge una porticina, realizzata solo successivamente all'allargamento del ghetto nel 1800. La porta originale infatti era più all'interno. Oggi murata, la si riconosce solo dal grande arco sormontato da un essere apotropaico. Quest'essere era posto a guardia della casa per tenere lontani gli spiriti maligni.
Ci spostiamo nel cuore del ghetto per andare verso il portico d'Ottavia, che era formato da due templi: quello di Giove e quello di giunone. Nel tragitto passiamo nel vicolo della reginella e ci ritroviamo proprio in Via del portico d'Ottavia.
L'archeologa ci fa notare che sulla strada, su cui oggi si affacciano ottimi ristoranti di cucina ebraica, da una parte ci sono edifici più moderni. Questi furono costruiti dopo il 1870 dopo che venne abbattuto il muro. Dall'altra invece ci sono ancora antiche case romane.
Osservando meglio le case dal lato più antico, vi si possono scorgere, qua e là, pezzi dell'antica Roma, a volte anche delle iscrizioni. Queste erano fatte fare dai proprietari dei palazzi che facevano scolpire sulle facciate a chi apparteneva la casa, chi era il proprietario e perfino cosa faceva ed aveva fatto in vita.
Uno di questi è tale Lorenzo Manlio, proprietario di un palazzo del 400: neanche a dirlo era un mercante.
In una piccola piazzetta laterale notiamo un tempietto dedicato alla madonna dei carmeli. Qui ogni sabato gli ebrei venivano costretti ad assistere alla messa coatta per cercare di essere convertiti.
Purtroppo questo non era l'unico problema di essere ebrei del ghetto: tutte le case erano senza bagni e acqua corrente. Gli abitanti dovevano prendere l'acqua dal Tevere prima del tramonto, ovvero prima che venissero chiuse le porte. Se poi scoppiava un incendio poteva essere devastante. Il fuoco purtroppo non era l'unico problema, oltre alla scarsa pulizia che poteva originare epidemie, c'era il pericolo opposto: le alluvioni. Nel 1500 il Tevere è arrivato addirittura a 19 metri di piena, praticamente al terzo piano delle case.
Solo intorno al 1700, in piazza delle 5 Scole, fu installata la prima fontana del ghetto. Ora rimane solo la sagoma a terra perché la Fontana del pianto fu spostata davanti alla chiesa di Santa Maria del pianto.
Questo edificio risale al 1600, ma non è mai stato terminato. In origine era una chiesa dedicata a san Salvatore in cacaberis, chiamata cosi per i grandi vasi in rame.
L'archeologa ci racconta del miracolo che qui pare si sia verificato:
Negli stretti vicoli del ghetto, bui come in tutta la città, gli omicidi non erano rari. In uno di questi, qui vicino, venne ucciso un ragazzo proprio davanti all'immagine della madonna che, commossa, iniziò a piangere.
Staccato l'affresco ci costruirono sopra la chiesa, che però non venne mai conclusa.
Questa piazza era tristemente conosciuta anche perché vi era un palo a cui gli ebrei, colpevoli di qualche malefatta, venivano attaccati per essere puniti.
Altro tristissimo episodio legato a questi luoghi, è quello della famiglia Cenci, incaricata della gestione della terza e ultima porta del ghetto.
Nel 1599 di fronte a castel sant'Angelo venne uccisa per decapitazione la nobile Beatrice Cenci, la sua matrigna e, per squartamento, anche il fratello.
Fu uno dei rarissimi casi in cui una famiglia nobile venne punita in modo così esemplare.
La colpa di Beatrice fu quella di aver ordito l'assassinio del padre.
Purtroppo però pare che questo usasse violenza su di lei fin da bambina, arrivando perfino a rinchiuderla in una torre per anni. Disgraziatamente sembra che di questi maltrattamenti ne fossero a conoscenza quasi tutti, ma nessuno fece mai nulla.
Disperata, Beatrice chiese aiuto alla matrigna ed al fratello per ingaggiare dei sicari che fecero il loro dovere.
Purtroppo Papa Clemente ottavo fece fare delle indagini sull'omicidio e scoprì la verità. A nulla servirono le proteste del popolo che stava dalla parte di Beatrice.
L'archeologa non lo dice, ma Cassandra mi svela che lei aveva sentito da un profeta di sua conoscenza un'altra storia: in realtà il Papa non perdonò Beatrice per potersi impadronire del suo immenso patrimonio, quello della famiglia Cenci.
L'esecuzione fu talmente cruenta e sentita, che anche Caravaggio, a cui assistette, ne fu scosso.
La leggenda dice che nell'anniversario della sua morte, l'11 settembre, a castel sant'angelo si incontri ancora il fantasma di Beatrice che vaga con la testa sotto braccio.
Sovrastati, e in alcuni casi anche bersagliati, da migliaia di uccelli che stanno migrando al sud e riempiono il cielo di Roma, ci spostiamo. La guida ci racconta che gli abitanti del ghetto, oltre a dover vivere all'interno delle mura, quando ne uscivano dovevano girare con uno contrassegno giallo. Inoltre non potevano svolgere determinati mestieri e non potevano nemmeno comprare casa, era loro consentito solo di affittarla, a prezzi altissimi ovviamente.
Il carnevale romano era il momento peggiore per gli ebrei: capitava spesso che venisse preso un anziano ebreo, messo in una botte e fatto rotolare giù per una collina.
C'era poi la corsa degli animali: cavalli, cani, asini e quello che si trovava. Assieme alle bestie correvano anche gli ebrei, praticamente come fossero animali.
Gli Ebrei erano odiati, mi pare evidente. C'è chi dice che fosse a causa della religione, chi perché erano troppo ricchi, altri invece perché prestando denaro, finivano per diventare, o essere visti, come strozzini, insomma usurai. Sono solo ipotesi però...
Finalmente arriviamo al Portico d'Ottavia, una grande piazza rettangolare con portici su tutti e quattro i lati. Sotto i portici erano state installate stanze con biblioteche, sale conferenza e perfino musei di arte dove venivano esposti quadri e sculture.
Al centro del portico c'erano i due templi di Giove e di Giunone.
Ottavia in realtà era la sorella dell'imperatore Augusto che, oltre al portico, costruì anche il Teatro di Marcello, dedicato al figlio di Ottavia, morto a sedici anni.
Tra i ruderi rimasti, oltre al tempio di apollo sosiano, si scorge la chiesa di sant'angelo in pescheria, nome che deriva dal fatto che qui c'era il mercato del pesce.
Pare sia qui che è nata la famosa zuppa di pesce, proprio nel ghetto. Non potendo comprare il pesce, le donne ebree raccoglievano i resti dei pesci venduti al mercato, li facevano bollire per ore ed infine ecco la zuppa.
Poco oltre il portico, vicino alle case costruite sugli spalti del teatro di Marcello, c'è piazza Gerusalemme, la piazza più piccola di Roma, grande poco più di un grosso balcone. La piazza si trova di fronte alla chiesa costruita sopra la casa di papa Gregorio Magno.
Questo Papa è ricordato perché in un momento in cui Roma era afflitta da una pestilenza, fece fare una processione, alla fine della quale, mentre rientrava nella sua dimora, vide l'arcangelo Michele nel gesto di rinfoderare la spada.
Fu così che il Papa cambiò nome a castel sant'Angelo e aggiunse in cima ad esso la statua dell'arcangelo nell'atto di rinfoderare la spada.
Di fronte a piazza Gerusalemme c'è la grande sinagoga, ma è sabato, il festivo degli ebrei, e non si può entrare.
Purtroppo nemmeno il forno che fa la cosa più buona del mondo è aperto. Io e Cassandra ci rimaniamo molto male, ma sappiamo che torneremo presto.
Attraversiamo il piccolo ponte Fabricio, uno dei più antichi di Roma, e siamo sull'isola tiberina. Sul ponte vediamo subito due erme quadrifronti coi quattro volti del dio Giano, considerato un po' ambiguo per le sue tante facce.
Anche questi ermi avevano la funzione apotropaica di tenere lontani gli spiriti malvagi.
A vederla dall'alto l'isola ha un po' la forma di una grande nave, sembra perfino che nell'antichità, in cima all'isola, ci fosse un obelisco, eretto su una struttura che aveva la forma della prua di una nave. Oggi sull'isola non ci sono più case, ne è rimasta una sola. Ci sono solo chiese, ristoranti e un ospedale. Non è sempre stato così, solo alla fine '800 è stata completamente rifatta, distruggendo così l'antico porto, i mulini e tutte le abitazioni.
Subito dopo l'accesso all'isola, c'è la Torre Caetani o della pulzella. Di fronte ad essa c'è la Madonna della lampada. Durante una piena del Tevere, che aveva sommerso l'immagine e la lampada soprastante, al ritiro dell'acqua, la lampada sia stata trovata ancora accesa. Per questo miracolo hanno costruito la chiesa di San Giovanni Calipita, sui resti del tempio di Giove dei giuramenti. Sembra infatti che l'isola oltre che porto fu anche luogo di culto e altro.
L'archeologa ci tiene a puntualizzare che di lampade e Madonne a Roma ce ne erano tante, piazzate nei luoghi più pericolosi e bui della città, per illuminare ed evitare gli agguati, molto frequenti.
La leggenda della nascita dell'isola tiberina dice che nel 509 a c sia sorta su un accumulo di grano in eccedenza della città, ma ovviamente è solo una storia.
L'altro aspetto di grande importanza dell'isola era quello medico. Qui sorgeva il Tempio di Esculapio, Dio della medicina. La leggenda racconta di una grande epidemia a Roma. Per debellarla gli indovini dissero che si doveva andare ad Epitauro per pregare il Dio Esculapio e farlo venire a Roma.
 
Giunti i romani ad Epitauro in nave, pregarono il Dio che accolse le loro preghiere e, trasformandosi in serpente, salì sulla loro nave. Tornati a Roma il serpente scese sull'isola tiberina e in quel punto fu eretto il suo tempio.
Nonostante il passare dei secoli l'isola assolve ancora la sua funzione curativa, qui infatti c'è l'ospedale Fatebenefratelli.

venerdì 1 gennaio 2016

Mitreo dell'Ara Massima


Giornata insolita per la capitale, piove, il cielo e coperto e la luce che avvolge il foro boario è tenue.
Il foro boario era il mercato dove si vendeva la carne, vicino al porto tiberino, Zona mercantile importante con insediamenti greci e orientali, sotto il patronato del dio greco ercole, dio dei commerci.
Oggi ci troviamo davanti alla chiesa della bocca della verità, un edificio molto vecchio, restaurato in più occasioni ma che conserva ancora parti originali come affreschi e soprattutto il pavimento cosmatesco.
Sotto il portico esterno, una fila di turisti asiatici e russi attendono il loro turno per infilare la mano nella bocca della verità e venire immortalati, magari con una smorfia di finto dolore o stupore sul volto.
Mentre aspettiamo che il custode ci raggiunga Federica, l'archeologa che ci farà da guida, ci racconta che in realtà la bocca della verità altro non era se non un grande tombino per la fognatura.
Raggiunti dal custode ci infiliamo in un vicolo accanto alla chiesa e dopo una cinquantina di metri arriviamo al portone di un palazzo, il sito si trova al di sotto delle cantine.
Scoperto il mitreo nel 1931, l'Edificio in laterizio che va dal foro boario al circo massimo, pare risalga all'anno 100 d c.
Probabilmente veniva utilizzato come segreteria amministrativa dei giochi del circo massimo, una macchina da spettacolo che poteva ospitare fino a 280000 persone solo di spettatori. Possiamo solo tentare di immaginare la complessità dell'organizzazione che stava dietro all'intrattenimentoa cui partecipavano di tutti gli esercizi commerciali che l'immensa struttura poteva offrire. Insomma l'indotto.
Nel 200 d c venne costruito un mitreo nel livello inferiore di questo palazzo, e funzionò fino agli inizi del 300 d c, quando l'edificio venne abbandonato. Il mitreo altro non era che la Chiesa del dio Mitra, culto proveniente dalla Persia. A Roma arrivo nel primo secolo a c, probabilmente portato dai soldati.
Si diffuse molto tra schiavi liberti e soldati, solo uomini però, pare che le donne non partecipassero alle cerimonie. Probabilmente in origine il culto era differente, col tempo a Roma la religione si trasformò un po'. In città sono stati trovati per ora quaranta mitrei, mentre ad Ostia ce ne sono diciotto. Considerando che molti mitrei furono distrutti dai cristiani quando la loro divenne la religione ufficiale dell'impero, grazie all'editto di Milano dell'imperatore Costantino, si potrebbe facilmente ipotizzare che questo doveva essere un culto molto diffuso.
Entrando nel sito faremo lo stesso percorso che facevano i religiosi di Mitra, detto anche Dio della salus, ovvero della salute fisica e della salvezza ultra terrena.
Il primo ambiente sotterraneo era l'atrio. Sotterraneo perché probabilmente si doveva tenere segreto il culto, o per lo meno vi potevano accedere solo gli iniziati.
Venendo praticati i riti di notte, c'era poca luce, questo per ricreare l'idea di essere in una grotta. Mitra infatti nacque in una grotta.
Man mano che si avanza negli ambienti, la ricchezza e la bellezza delle stanze aumenta, lo notiamo soprattutto dal pavimento che diventa più pregiato. Nel primo, il più povero, calpestiamo una semplice opera spicata.
Il culto di mitra aveva Sette gradi di iniziazione, il primo era il corvo, l'ultimo il padre. Purtroppo non si hanno molte informazioni su questa religione, gli unici documenti trovati furono scritti da dei cristiani, che non avevano interesse a descriverlo come una vera religione, ma la consideravano alla stregua di una setta.
Accediamo al secondo ambiente, una piccola stanza, un vano di servizio, o sagrestia. Forse c'erano delle mensole con i paramenti sacri, ma sono solo supposizioni. L'unica cosa che rimane è una sola mensola che avrebbe potuto ospitare un'immagine sacra e delle candele.
Il pavimento nel terzo ambiente è costituito da dei mattoni bipidali. Alle pareti vediamo due nicchie con mensole, probabilmente per le due statue dei Daudofori:
Cautes e Cautopates. Il primo era raffigurato nell'atto di tenere una torcia puntata verso l'alto, l'altro la torcia la puntava in basso. Indicavano il tragitto del sole. Queste due figure, assieme a quella di Mitra formavano una triade.
Nel prossimo ambiente troviamo una panca dove si accomodavano le persone per il culmine del rito: il banchetto.
Questo era l'ultimo ambiente a cui potevano accedere gli iniziati di grado minore. Non tutti potevano arrivare al settimo grado, gli ultimi tre in particolare erano riservati solo ai consacrati, praticamente i sacerdoti.
Proseguiamo e notiamo che il pavimento cambia ancora diventando sempre più pregiato. Altre due nicchie con alla base una giara in terracotta. Questa probabilmente doveva contenere dell'acqua per il sacrificio e per la purificazione.
Nell'ultimo grande ambiente, molto più raffinato e con un pavimento di marmo e alabastro, ai lati aveva due banchine per sedersi, mentre il fulcro della sala era una grande nicchia, a rappresentare una grotta, con la statua di Mitra. A suoi fianchi ci sono due altarini, forse per le statue di Cautes e Cautopates.


Sempre nello stesso ambiente c'è una lastra di marmo che racconta la storia di Mitra:
Il mito di Mitra diceva che nacque da una roccia già adulto e nudo. Indossava un cappello frigio in testa e in mano teneva una fiaccola da una parte ed una spada dall'altra. La fiaccola simboleggiava il portatore di luce nel mondo. Al momento della sua nascita scaglia una freccia a terra da cui iniziò a zampillare l'acqua, simbolo della creazione della vita. Dopo di che Mitra incontra il Dio sole, Sol Invictus, colui che non può essere sconfitto.
Sulla spalla di Mitra c'è un corvo, il quale gli dice che deve andare a prendere un toro nella grotta, ventre della madre terra. Il toro, simbolo del male, viene ucciso da Mitra con il suo pugnale, riportando così l'ordine nella terra.
Il toro muore ma la sua coda si trasforma in spiga di grano, dando fertilità alla terra.
Sotto il toro c'è uno scorpione che attacca i testicoli del toro, ma non se ne conosce il significato. Ci sono anche un serpente ed un cane che bevono il sangue del toro, ma anche qui le ipotesi si sprecano.
Il mitraismo era una religione astrologica, ed infatti vediamo raffigurate la dea luna e le stelle.
Infine, ai lati, ci sono ancora Cautes e Cautopates.
Alla fine del rito Mitra si concede un banchetto con il Dio Sole e poi prende il carretto per salire in un mondo ultrastellare, dove incontra il Leontocefalo, un essere dalla faccia da leone e ali di aquila. Di costui si sa solo che, circondato da un serpente, poggiava i piedi su un globo, la terra.
Dunque nei mitrei per celebrare i riti consumavano un banchetto, probabilmente non uccidevano un toro, ma mangiavano semplicemente pane e acqua.
Ma come si passava da un grado di iniziazione ad un altro?
Sembra che i passaggi fossero cruenti.
Delle poche cose che conosciamo del mitraismo una era che si poteva credere contemporaneamente a Mitra e anche ad altre religioni. In particolare si poteva credere nel culto dell'imperatore.
Curioso scoprire che Mitra nacque il 25 dicembre, nel solstizio inverno, ovvero quando le giornate si allungano. Inoltre anche Gesù nasce come Mitra in una grotta.
Il mitraismo era molto diffuso, ma forse a causa di un suo aspetto venne soppiantato dal cristianesimo: ovvero quest'ultimo era aperto anche alle donne, mentre il mitraismo era un culto solo maschile.