Santa
Cecilia, nella zona meno frequentata di Trastevere, è una delle
basiliche più antiche di tutta Roma, pare infatti che risalga
addirittura al quarto secolo d c. Sotto la basilica, circa 4 metri,
sono esposti dei resti, che come spesso accade a Roma, sono stati
trovati per caso: nel 1899 infatti durante dei lavori nella parte
sotto la cripta, vennero scoperti vari ambienti che stanno sotto
tutta la basilica, riportandoli alla luce dopo secoli.
Successivamente gli ambienti sono stati musealizzati ed oggi li
visiteremo cercando di ricostruire la vita che si faceva i questi
luoghi.
La
prima cosa che si nota scendendo sotto la basilica sono i diversi
reperti disposti in modo casuale e poco archeologico sulle pareti di
questi ambienti. La storia di queste stanze è molto antica, pare
infatti esistessero già dal secondo secolo a c, quando ancora a Roma
non c'era l'impero ma era una repubblica. La prima stanza che vediamo
era il cortile a cielo aperto di una domus, una tipica casa romana di
patrizi. In questa zona, dovevano esserci diverse domus di benestanti
che venivano a passare le giornate per rilassarsi, scappando dal caos
della città.
Questa
domus col passare dei secoli, ha subito diversi cambiamenti,
trasformandosi in insulae intorno al primo secolo d c, periodo di
grande crescita demografica. Roma infatti nel secondo secolo d c
arriverà a contare un milione di abitanti, cifra eguagliata solo da
Londra nel 1800.
Oltre
alle insulae e alle domus, in questa zona c'erano anche moltissimi
magazzini, essendo vicino all'isola tiberina che era il porto di
Roma.
Intorno
al IV accade ciò che cambierà la storia di questi luoghi.
L'omicidio di santa Cecilia, una matrona romana che viveva a
Trastevere e venne martirizzata proprio qui a casa sua. L'archeologa
ci spiega che a livello archeologico non c'è nulla che indichi
questo luogo come casa sua, se non il fatto che fosse un titulus.
Nell'antica Roma si parlava di titulus quando un ricco cristiano
metteva a disposizione la propria casa per permettere agli altri
cristiani di incontrarsi a pregare, senza essere perseguitati.
Spesso
poi sopra i tituli sorgevano delle chiese, probabilmente perché
capitava che il proprietario venisse scoperto e ucciso, quindi la
casa diventava luogo di pellegrinaggio, di preghiera ed infine una
chiesa.
Attraversiamo
altre stanze per trovarci in un altro ambiente dove sono state appese
alle pareti delle lastre tombali. Queste venivano utilizzate nel
medio evo perché i cristiani, che seppellendo il corpo per
mantenerlo intero, la lastra, oltre ad indicare la tomba, dava un
senso di umiltà: le lastre erano a terra nelle chiese e le persone
potevano tranquillamente passarci sopra coi piedi, dimostrando che il
defunto era umile. Sulla lastra, il volto e l'iscrizione che
raccontavano chi vi era sepolto, a volte facevano poteva capire chi
fosse il defunto anche solo da come era vestito: un sacerdote per
esempio.
Prima
del 1200 le lastre venivano raffigurate con gli occhi aperti, poi
successivamente gli occhi sono stati chiusi e a volte il disegno
rappresentava la testa appoggiata su di un cuscino, come se stesse
dormendo, in attesa del risveglio.
Spostandoci
in altri ambienti, che forse erano utilizzati come granai, mi rendo
conto di quanto grande doveva essere la struttura.
Passiamo
in un'altra stanza dove ci sono dei sarcofagi romani. Questi erano
spesso molto piccoli, sia perché la mortalità infantile era
diffusissima, sia perché un romano adulto aveva una statura media di
un metro e cinquanta. Sembra strano dirlo ma mi avrebbero potuto
considerare un mezzo gigante.
Sui
sarcofagi si potevano facilmente trovare, come in questi casi le
iscrizioni agli dei mani, Dis manibus, e delle maschere con funzioni
apotropaiche. Su questo sarcofago la scena principale è un banchetto
con un cinghiale. Forse rappresenta il mito di Meleagro, un argonauta
che tornato dalla sua impresa, si accorse che suo padre il re si era
scordato di fare i sacrifici alla dea della caccia Artemide. Questa
infuriata mandò un cinghiale a devastare le sue terre. Meleagro
allora radunò tutti i cacciatori e fra questi anche Atlanta, una
donna bellissima di cui Meleagro era innamorato. Proprio Atlanta
colpì il cinghiale, poi finito da Meleagro, che donò ad Atlanta il
suo trofeo, facendo però infuriare i suoi fratelli. Tanto per
risolvere la situazione senza troppe perdite di tempo Meleagro uccise
tutti i suoi fratelli.
La
madre, distrutta dal dolore chiese consiglio agli dei per punire il
figlio: Essi le ricordarono la profezia che accompagnò la nascita di
Meleagro: sarebbe stato sano, ricco e nobile finché il tizzone che
ardeva nel suo camino fosse rimasto intatto. Così la madre, che
aveva conservato quel tizzone, lo prese e lo gettò nel fuoco,
uccidendo Meleagro.
Mi
sono sempre piaciuti i miti greci, perché bene o male mettono sempre
a posto le cose in modo definitivo.
Ci
spostiamo nel larario della domus, il luogo più sacro della casa,
dove veniva messo un altarino ad alcuni dei. Di solito il larario, in
questo caso fatto in terra cotta e quindi di epoca repubblicana, si
trovava vicino al cortile. Vicino ad esso c'era sempre un armadio in
cui gli abitanti della domus tenevano le maschere di cera che
utilizzavano durante i riti funebri.
Negli
scavi sono state ritrovate anche parti di anfore, per cui si pensa
che questa stanza possa essere stata usata successivamente come
magazzino.
Subito
attigua a questa stanza c'era il balneum: il predecessore delle
terme, ovvero un primo ambiente termale molto più piccolo, che solo
i più ricchi potevano avere in casa.
È
anche la parte più sacra della domus perché si pensa che sia la
stanza dove santa Cecilia sia stata martirizzata. La storia racconta
che la matrona venne uccisa perché cristiana. Il primo tentativo di
omicidio fu proprio rinchiudendola per tre giorni nel calidarium,
dove le temperature potevano arrivare anche a 80 gradi. Passati i tre
giorni però scoprirono che Cecilia non era ancora morta, così
decisero di usare un altro metodo. La decapitazione. Anche in questo
caso però i tre tentativi non ebbero molto successo e Cecilia
impiegò tre giorni a morire.
Diventando
meta di pellegrinaggio, la stanza venne trasformata, grazie anche
all'acqua del balneum, in un battistero, uno dei più antichi di
Roma.
Arriviamo
finalmente alla cripta, rifatta all'inizio del 1900, dove sono
custoditi i sarcofagi di Santa Cecilia, suo marito e suo cognato.
La
cripta è in stile cosmatesco e rimane sotto il ciborio della
basilica. Qui sono custoditi i resti di Santa Cecilia che furono
ritrovati nelle catacombe di San Callisto. Solo allora si poté
erigere la chiesa che vediamo oggi. Questo perché a quei tempi,
nell'821 dc, non si potevano costruire delle chiese se non c'erano
delle reliquie da poter custodire.
Dietro
la cripta c'è ancora il martirium, un corridoio che il pellegrino
poteva percorrere attorno al corpo del martire, giusto per potersi
soffermare a pregare e sentire più vicino al martire.
Saliamo
al piano superiore per ammirare il mosaico del nono secolo, uno dei
mosaici più antichi di Roma.
Fu
Papa Pasquale I che nel 821 fece erigere la chiesa e il mosaico,
unica parte rimasta originale dopo la ristrutturazione del 1200 che
ha visto anche la realizzazione del ciborio. Questo, diverso da un
normale baldacchino, ha la funzione di far risaltare non appena si
entra in chiesa, il luogo più sacro, ovvero l'altare e ciò che vi
sta sotto: le reliquie di santa cecilia e degli altri martiri.
Nel
1599 il cardinale Sfondrati, decide di riesumare il cadavere di santa
Cecialia. Questo perché già all'epoca di Pasquale primo, circa 500
anni prima, il corpo di santa Cecilia fu ritrovato ancora intatto,
come se fossero passati solo pochi giorni. Quando nel 1599 il
cardinale apre la tomba lo ritrova ancora perfettamente intatto.
Allora il cardinale chiama l'artista Stefano Maderno per immortalare
la santa con una splendida statua in marmo rappresentante la
posizione in cui venne trovata: con un velo sulla testa e sul collo
il segno della lama che la sgozzò. Le mani invece indicano un tre ed
un uno.
La
statua originale è in mostra nella chiesa, mentre nelle gallerie
delle catacombe di san Callisto vi è una copia.
Usciamo
un po' stremati da questa lunghissima ed intensa visita, un po'
stupiti dall'energia dell'archeologa che in queste due ore non ha
smesso di raccontarci la storia, da vera appassionata quale è.
Questi
sono i momenti in cui penso a quando da bambino volevo fare
l'archeologo anche io. Chissà, quando ho cambiato idea?
Nessun commento:
Posta un commento