Dopo
circa un anno dalla mia prima visita a Roma, torno tra il secondo e
il terzo miglio dell'Appia antica, dove ancora resiste al passare dei
secoli il circo di Massenzio. Nota dimensionale: un miglio romano
sono all'incirca un chilometro e quattro.
Siamo
sull'Appia antica, una delle cose più belle e sottovalutate di tutta
Roma, impossibile non parlarne. Come tratto urbano partiva da porta
catena, l'attuale piazza Numa Pompilio, e arrivava a porta San
Sebastiano. Da qui fino a Frattocchie era il tratto definito
suburbano, ovvero quello che attraversava la campagna romana. Oltre
questa zona iniziava l'Appia extraurbana, che a tutt'oggi arriva fino
a Brindisi.
L'Appia
fu costruita da Appio Claudio cieco, soprannome derivante dalla
cecità che lo colpì in tarda età. Appio cieco era un personaggio
illustre della repubblica che costruì oltre alla via Appia, anche
l'acquedotto Claudio. Anche da questo si può capire come mai
Augusto, quando fece il suo Foro, vi mise una statua che lo
raffigurasse e lo ricordasse.
In
realtà Appio cieco con l'Appia ricostruì una strada che già
esisteva e conduceva a sud, fino a Santa Maria Capua Vetere.
Ovviamente lo fece per prestigio, ma soprattutto per poter
permettere a Roma di conquistare il resto del sud. Prolungando la
strada nel 190 a c fino a Brindisi, Roma conquistò tutte le terre e
le popolazioni che incontrava, aprendosi così una via verso
l'oriente, proprio attraverso il porto di Brindisi.
Larga
di media 10 metri, per consentire a due carri di passare e ai pedoni
di camminare sui marciapiedi laterali, inizialmente era stata
costruita con dei basoli di tufo e poi selciata con i basoli
vulcanici. Nel 500 d c era ancora considerata una delle migliori
strade mai viste per la sua perfezione costruttiva.
I
curatori della via Appia infatti venivano scelti tra i personaggi più
importanti della politica di Roma, ed era il gradino appena
precedente alla carriera di Console. Con il passaggio dalla
repubblica all'impero, la strada non perde importanza, anzi, saranno
molti gli imperatori che faranno dei lavori su di essa.
L'archeologa
sottolinea che i romani, se non avessero avuto queste strade, non
sarebbero mai diventati un impero così grande e duraturo. La via
Appia è sempre stata importante, perfino quando gli americani
entrarono a Roma nella seconda guerra mondiale passarono sull'Appia.
La
villa di Massenzio è uno dei gioielli che si possono ancora ammirare
al giorno d'oggi lungo l'Appia. Quindi non c'erano solo tombe, ma
anche vigne e ville rustiche. Queste ultime infatti, in torno al
primo secolo a c, si trasformarono diventando delle residenze di
lusso in cui i ricchi romani venivano a trascorrere il loro tempo
libero, il famoso “ozium” dei romani: tempo dedicato alla
cultura, all'arte e al relax.
Col
passare degli anni le ville diventano veri e propri palazzi imperiali
e i grandi possedimenti che si affacciano all'Appia, vengono annessi
poco a poco a quello che era il demanio imperiale.
Un
altro magnifico esempio è la Villa dei Quintili, dove due fratelli
molto ricchi e nobili, vennero uccisi dall'imperatore Commodo a causa
di “affari interni”, e poi anche per poter annettere i loro
possedimenti, villa compresa, al demanio imperiale.
Stesso
destino tocco alla villa di Massenzio che, in epoca repubblicana era
una residenza agricola, e venne poi in tarda età repubblicana
acquistata dalla famiglia degli Anni, nobile famiglia romana. Nel
secondo secolo d c tutto questo luogo, compreso la parte dove sorse
Cecilia Metella, divenne proprietà di un importantissimo filosofo e
studioso greco di nome Erode Attico. Costui era niente meno che il
precettore di Marco Aurelio, colui che poi sarebbe diventato
imperatore. Erode acquistò il terreno trasformandolo in un enorme
tenuta per sua moglie, Annia Regilla.
Ancora
non si sa quanto fosse vasto il possedimento di Erode, ma si sa che
si chiamava Triopio, a ricordare le sue origini greche. Pare fosse
qualcosa di magnifico, con varie dependance, un giardino
lussureggiante con tanto di fontane e molto altro ancora.
In
realtà la moglie di Erode morì in circostanze misteriose, tanto che
molti lo incolparono. Fu per difendersi da tali accuse che costruì
questo enorme possedimento, dedicandolo così a sua moglie. Fece
erigere perfino un tempietto dedicato ad Annia Regilla, una tomba
meravigliosa e altri templi dedicati alla dea Proserpina, alla ninfa
Egeria e ad altri dei. Tutto in onore della moglie scomparsa.
Non
avendo eredi, alla sua morte l'impero acquistò tutto e agli inizi
del 300 d c l'imperatore Massenzio ci poté costruire la sua famosa
dimora.
Ciò
che rimane oggi della villa non è in buono stato, infatti già dal
medioevo tutta l'Appia fu soggetta a spoliazioni che servirono per
costruire, non solo le casa in città o chiese e cattedrali, ma
perfino le semplici case di campagna dei pastori.
Massenzio
nacque nel 278, figlio dell'imperatore Massimiano, si era diviso
l'impero con il fratello Diocliziano perché troppo vasto. Prese il
potere a Roma per acclamazione dei soldati, ma senza che nessuno lo
avesse legittimato. Sono gli anni in cui Costantino cerca anche lui
di prendere il potere.
Massenzio
per legittimare il suo potere, decide di riportare la capitale
dell'impero Roma, fino a quel tempo infatti Diocliziano l'aveva
spostata a Milano.
Sarà
l'ultimo a riportare il centro dell'impero a Roma, dopo di lui
Costantino stabilirà a Bisanzio la capitale.
Massenzio
governò poco, dal 306 al 28 ottobre del 312, quando morì durante la
battaglia di ponte Milvio contro Costantino, il quale, avendo sposato
sua sorella Fausta, era pure suo cognato.
In
questi pochi anni di regno Massenzio realizzò la sua Basilica ai
fori imperiali e questa immensa villa sull'Appia.
Composta
da tre parti, la prima era il circo, unico esempio di circo rimasto a
Roma ben conservato. Non era il più grande, qui ci potevano entrare
al massimo diecimila persone, ma il potervi passeggiare dentro è
ancora un emozione unica.
Oltre
agli spalti per gli spettatori, sul lato corto vicino all'Appia,
c'erano le carceres, ovvero i cancelli da dove entravano le bighe e
le quadrighe.
Le
cellette di partenza erano dodici, e per scegliere in quale partire
c'era un'estrazione delle quattro fazioni partecipanti, che
sceglievano partendo dal loro cavallo di punta.
Dietro
le carceres, quindi fuori del circo, si ipotizza che ci fossero le
stalle dei cavalli. Ai lati delle carceres c'erano invece la torre
sud e la torre nord, ove erano posizionati i giudici di gara.
Tutto
attorno alla pista rimangono i muri su cui vi erano le gradinate,
capaci di ospitare circa diecimila spettatori. Gli spettacoli,
nonostante il circo fosse nella villa imperiale, erano aperti a
tutti, proprio per tenere buono il popolo che in questo modo dava il
proprio consenso. Le corse erano, assieme ai gladiatori, uno dei
divertimenti che i romani apprezzavano di più.
Al
centro della pista c'era una struttura detta spina, intorno alla
quale i fantini compievano sette giri. Sulla spina stava la tribuna
dei giudici che controllavano l'andamento della gara e determinavano
i giri restanti.
Al
centro delle gradinate, nella parte vicino al palazzo imperiale, è
ancora visibile una struttura più alta, la tribuna imperiale.
Prima
della gara veniva tenuta una processione dall'organizzatore dei
giochi, la cosiddetta pompa dei giochi. Entravano quindi giocolieri,
saltimbanchi, musicisti e sacerdoti, che giravano nel circo
raccogliendo gli applausi del pubblico.
Il
via alla corsa veniva dato facendo cadere un fazzoletto bianco, ma la
gara vera e propria iniziava quando i cavalli incrociavano la linea
del palco imperiale.
I
cavalli giravano per sette volte fino alla meta, un grande cono
rovesciato posto alla fine della spina, costruito per dare un
riferimento ai fantini che in questo modo, vedendolo avvicinarsi
anche in mezzo alle nubi di polvere, sapevano dove avrebbero dovuto
girare.
Per
segnare i giri, in mezzo alla spina c'erano delle colonne su cui vi
erano sette uova di pietra e sette delfini. Quando un uovo veniva
fatto cadere indicava un giro completo. Altro metodo era far cadere
un delfino oppure fargli spruzzava acqua dal dorso, come una balena.
Finita
la gara i perdenti uscivano dai lati del ed il vincitore faceva il
giro del trionfo. In fondo c'era un altra porta, dedicata a venere
Libitinaria, la protettrice dei morti. A Roma infatti nel suo tempio
veniva tenuto un registro dei morti. Durante le gare non c'erano
così tanti morti come si potrebbe immaginare, ma gli incidenti erano
all'ordine del giorno. I feriti venivano portati via dagli
inservienti proprio da quella porta.
Le
gare potevano anche durare un giorno intero, per cui tra una sessione
e l'altra l'imperatore si ritirava all'interno della grande struttura
del suo palco, che conteneva diverse altre stanze.
Anche
i giudici, nel loro piccolo, avevano dei locali in cui ritirarsi. Il
pubblico invece poteva uscire o mangiare direttamente sugli spalti
quello che i bibitari vendevano loro.
Oggi
oltre allo scheletro del circo non rimane molto, ma sulla spina
c'erano delle fontane ed un obelisco, quello che oggi sta a piazza
Navona, sopra la fontana dei fiumi. L'obelisco in realtà arrivava
proprio da lì, dove Domiziano costruì il suo stadio e ci mise
l'obelisco. Massenzio lo prese e lo trasportò al centro del suo
circo. La sua particolarità è che non si tratta di un pezzo
originale: fu Domiziano a farlo costruire ed incidere con geroglici
causali o inventati. Difatti quando gli egittologi tentarono di
leggerlo non ci capirono nulla.
Solo
successivamente papa Innocenzo X nel 1600, quando chiese a Bernini di
progettare la fontana lo fece ritrasportare nel suo luogo d'origine.
Altra curiosità della struttura del circo è che fu costruito in un
momento di transizione dell'architettura romana: invece dei soli
mattoni, venne utilizzato anche il tufo. Siamo nel trecento.
L'altra
struttura visitabile oggi è un grande quadriportico, ovvero una
piazza porticata. Non se ne è certi ma forse c'era pure un piano
superiore ai portici coperti. Al centro c'è un cortile collegato da
varie aperture che lo univa al circo ed alle altre strutture della
villa. Qualcuno pensa che ci potessero essere anche i box, le stalle,
dei cavalli del circo.
Al
centro del giardino interno fu eretto il mausoleo di Romolo, figlio
di Massenzio. Questo mausoleo riprende da una parte quello di
Alicarnasso, una delle sette meraviglie del mondo antico, e
dall'altra il Pantheon, la famosa casa dei dodici Dei dell'impero
romano.
Entriamo
passando dalla casetta agricola fatta costruire a ridosso del
mausoleo dalla famiglia Torlonia.
All'interno,
nella prima stanza, possiamo vedere sulle pareti quattro riquadri
dove sono rappresentati dei cavalieri, fantini e gladiatori, che
hanno ben poco a che fare con il mausoleo. Sembra che qui per qualche
tempo ci fu una locanda, una delle tante stazioni di servizio lungo
l'Appia.
Nel
centro della struttura interna c'era un grande pilastro che serviva a
sorreggere la struttura a cupola, ai lati invece si aprono diverse
nicchie usate per alloggiare i sarcofagi dei defunti. Probabilmente
oltre al sepolcro per il figlio di Massenzio, sarebbe dovuto servire
anche per ospitare tutti i defunti della famiglia.
Nella
parte opposta da cui siamo entrati c'era un altro ingresso che si
pensa possa essere quello privato dell'imperatore, probabilmente
c'era un passaggio diretto per accedervi dal palazzo.
L'intonaco
che ricopre tutto l'interno era di solo bianco e anche all'esterno,
nonostante oggi si vedano solo i mattoni bipidali, doveva esserci una
copertura di marmo bianco.
Della
villa rimangono solo pochi resti della cosiddetta aula absidata, che
doveva essere il palazzo imperiale, e qualche traccia delle terme e
poco altro. Purtroppo non sono visitabili, per cui ci spostiamo pochi
metri più avanti rimanendo sull'Appia antica.