martedì 29 novembre 2016

Firenze Marathon 2016



Ci siamo, il giorno è arrivato. Dopo la nottata in bianco di venerdì e la visita agli uffizi di sabato, sono arrivato alla sera prima della gara in condizioni precarie, praticamente senza energie.

Fortunatamente questa mattina mi sono svegliato scoprendo di essere riuscito a dormire come mai prima di una maratona.

Alla partenza riesco pure ad entrare nella griglia precedente la mia, roba mai successa prima. Assieme agli altri runner romani ci mettiamo in fila ad aspettare. Fa freschino eh, ma credo di essermi coperto abbastanza. Giusto il tempo di un un pochino di stretching, un selfie e quattro stupidate su WhatsApp e si parte!

La città di Firenze è proprio bella, come dice Cassandra è la seconda più bella del mondo, dopo Roma ovviamente. È bella anche perché quando ci fai la maratona trovi sempre un sacco di gente che ti incita su quasi tutti i quarantadue chilometri, ti accompagna con le sue dieci band che suonano dal vivo, e poi ti permette attraversare un contesto storico artistico spettacolare, diverso da Roma, ma comunque fantastico.

Al quinto chilometro mi risveglio da questa beatitudine che mi ha trasportato fin li: già sento caldo. Inizio a pensare di aver toppato completamente l'abbigliamento. Magari potrei togliermi gli strati superflui da lasciare a Cassandra e ai miei genitori che mi stanno pazientemente aspettano lungo il percorso.

Per fortuna le nuvole e il venticello mi vengono in soccorso e così non ce ne sarà bisogno. Per fortuna, proprio. Nonostante avessi studiato un piano dettagliato degno dell'A-Team per indicare i punti del tracciato e gli orari in cui ci sarei passato, qualcosa è andato storto. Non avevo considerato la natura profetica di Cassandra, ma soprattutto il suo senso dell'orientamento.

Dopo il primo e il secondo appuntamento mancato ho capito che gli dei avevano sviato Cassandra dalla retta via con false profezie del tipo:

“Verrà investito da un cavallo imbizzarrito, stai vicino ad un ospedale”

“Arriverà prima degli etiopi, stai vicino al traguardo”

“Si perderà nel parco delle cascine, è inutile cercarlo”

Insomma, un po' sconsolato, ma ancora in forze mi dirigo verso il 25 esimo chilometro. Quando però entro nello stadio di atletica inizio a sentire le gambe un po' pesanti. Non è un buon segno.

Al 34esimo imbocco uno stradone ampio del tutto differente dalle viette del centro dove abbiamo corso fin'ora. La canzone degli AC DC Highway to hell, autostrada per l'inferno, mi annuncia che stiamo per imboccare il temutissimo cavalcavia.

Un vero e proprio muro verticale da scalare! Non lo ricordavo così ripido...  Così come la discesa, che non riesco a contenere e devo urlare alla gente di spostarsi per non investirli.

Dalla discesa verso gli inferi inizia il mio calvario, a ben otto chilometri dal traguardo. Decido di abbassare il ritmo, per vedere come va, ma più di tanto non riesco: le mie gambe vanno da sole e io non ho nessuna intenzione di fermarle.

Un chilometro dopo l'altro avanzo dolorante, giungendo ancora in centro dove mi aspetta un infido lastricato che mi fa sentire ancora di più il peso della distanza. Anche l'orologio non vede l'ora che sia finita e quando arrivo al trentanovesimo chilometro cerca di convincermi che siamo già a 40.

Ecco il ponte vecchio.

Ogni volta che studiavo il percorso della gara lo avevo immaginato come un piccolo anticipo del premio che mi attendeva al traguardo. Probabilmente corrervi con delle gambe sane me lo avrebbe fatto apprezzare di più.

Ripasso l'Arno per l'ultima volta, ma questa volta il motore so spegne. A due soli chilometri dal traguardo le gambe si fermano, si bloccano, non ne vogliono più sapere. Posso solo camminare.

Sento la gente che mi passa e con cui ho corso fin'ora. Alcuni mi incitano a non mollare, altri mi urlano dietro. Una ragazza con la maglietta che sembra una bandiera della Gran Bretagna mi da un buffetto sulla spalla e mi dice:

“Bravo, dai! “

Se ne va anche lei.

Solo quando sento la truppa dei “Mamma aiuto”, i pacemaker delle quattro ore, sorpassarmi allegramente, il mio motore sussulta come quello di una vecchia 500 e riparte scoppiettante.

Li riprendo, li supero e quasi me ne vado, poi la benzina inizia a scarseggiare un'altra volta ed io a ondeggiare per raccogliere gli ultimi residui dal serbatoio.

Annebbiato dal dolore alle gambe mi aggrego ai palloncini delle quattro ore, sperando di riuscire a mantenermi sotto il muro anche solo di un secondo.

Uno dei portatori di palloncini esulta:

“Grandi! Siamo al km 41 e non abbiamo ancora perso nessuno per strada!”

Ha parlato troppo presto.

Prima un crampo, fuori uno, poi un cedimento, fuori due, poi un rallentamento, fuori tre. Uno a uno i runner che speravano di farsi trascinare al traguardo cedono lungo la strada.

Per non essere colpito dalla sfiga che si sta abbattendo sui runner che si aggregano ai palloncini, faccio finta di essere sfinito e mi faccio lasciare indietro di una ventina di metri. Sono talmente bravo a dipingere lo sfinimento sul volto che tutti cascano nella mia recita.

Eccolo finalmente, dopo un paio di curvoni, si apre davanti a me il rettilineo finale: siamo in piazza della signoria e la in fondo c'è il duomo.

La pista si stringe e il pubblico cresce, si infiamma.

Il tifo indiavolato è così forte che mi colpisce come una scarica di vento che mi alza da terra e, trasformandomi in un piccolo Mercurio, inizio a far sbattere le ali del mio cappellino e a volare verso il traguardo. Carico dell'energia del tifo recupero i palloncini, li semino, supero un centinaio di persone e inizio a sorridere, forte di una magia che solo la maratona riesce a trasmettere.

Prima dell'ultima curva poi vedo mio padre, finalmente! Allora è venuto davvero a Firenze! Giro l'angolo ed ecco Cassandra che appena mi vede inizia a saltare e a incitarmi manco fossi Filippide che sta per schiattare a pochi metri dal traguardo.Dietro, piccolina, c'era mia madre, infreddolita ma presente.

Mancano venti metri, giusto il tempo di superare altre persone, tra cui la ragazza inglese, poi l'arrivo.

Come sempre mi piego, sputando sudore e le tanto meritate lacrime, di gioia, irrefrenabile gioia. 3:56 minuti, finalmente sono sceso sotto il muro che mi ha tenuto a bada per tanto tempo. 
Ora posso ringraziare Cassandra per la pazienza, che da quando sono a Roma non ha mai smesso di spronarmi a non mollare, spingendomi a correre e rincorrere questo traguardo. Ringrazio Stefano il massaggiatore che mi ha fatto capire quanto siano importanti il potenziamento e le ripetute, e mi ha fatto abbandonare, finalmente, la tabella "io speriamo che me la cavo". 
Grazie agli amici che mi hanno accompagnato nei lunghissimi, facendo i turni per farmi arrivare a 36 chilometri senza mai farmi correre da solo. 
Infine grazie anche al pastore maremmano, che dopo avermi azzannato, ha capito subito che ero destinato a correre un'altra maratona, lasciandomi solo un simpatico tatuaggio, a testimonianza dei 4 punti di sutura.




giovedì 10 novembre 2016

I MERCATI DI TRAIANO

Finalmente.

Era dalla prima volta che venivo a trovare Cassandra a Roma che ci volevo venire. Ricordo di essere passato a fianco dell'ingresso di questo museo e affacciandomici ho sentito come un brivido, una scintilla di interesse che si è accesa mettendo in moto un motore che avevo appena iniziato a scaldare.
Oggi riusciremo a vedere questo spettacolo a cielo aperto, un luogo dove poter sognare e perdersi tra scale, portici, camminamenti, basolati e molto di più.
Appena messo piede nel museo ci ritroviamo nella grande sala di ingresso che ha ben tre piani. Le pareti sono tutte in mattoni a vista, molto rimaneggiati dalle ricostruzioni dei secoli scorsi, e le porte in travertino, così come le finestrelle. Ambienti come questi fanno sempre un certo effetto, anche se gli antichi i muri li intonacavano tutti di bianco e poi affrescavano per richiamare la grandiosità, in questo caso dell'imperatore.
La spoliazione di tali ambienti è dovuta all'epoca medievale, quando le superfici di marmo vennero tolte e riutilizzate in diversi modi, mentre sopra ciò che rimaneva costruirono case, conventi, chiese, monasteri. Le moltissime statue che arricchivano a adornavano le stanze e gli spazi, una volta recuperate finivano nelle collezioni private di ricchi personaggi. 
 
A mio modo di vedere questo fu l'ennesimo sacco di Roma, stavolta ad opere dei romani stessi.
Quello che vediamo oggi è stato in gran parte ricostruito, difatti quando sono state riportate alla luce all'inizio del 900, queste stanze non erano così integre, però se ne poteva facilmente intuire la struttura, tanto che gli archeologi dei tempi interpretarono la funzionalità del complesso come quella di un mercato. Da qui il nome di Mercati di Traiano, anche perché vicinissimi al foro di Traiano.
Studi recenti però hanno rivelato che probabilmente, oltre alla parte commerciale, la funzione principale di questa struttura era di centro polifunzionale, ovvero uffici di tipo amministrativo. I Mercati vengono inaugurati tra il 112 - 113 d c, quando Traiano è imperatore e Roma tocca l'apice della sua espansione. E' un momento particolare che necessità il bisogno di raggruppare l'amministrazione in un unico luogo.

All'interno di questi uffici oggi possiamo ammirare dei reperti recuperati durante gli scavi dello smantellamento del quartiere Alessandrino, che all'inizio del secolo scorso sorgeva sopra quelli che oggi sono i fori imperiali. Mussolini infatti sradicò un intero quartiere per riportare alla luce i cinque Fori e, soprattutto, per costruire una via che mettesse in comunicazione piazza Venezia con il Colosseo.
La storia dei fori nasce con il primo Foro romano, la prima piazza costruita da Romolo come centro politico, sociale e commerciale della città che nasce, cresce e muore con essa. Già da Giulio Cesare il Foro era diventato troppo piccolo e strapieno di monumenti, non c'era più spazio per gestire l'impero crescente. Cesare decide così di creare un nuovo Foro: una piazza rettangolare con dei portici ai lati. Fu il modello su cui nacquero anche i successivi Fori che, in realtà erano tutti collegati tra loro.
L'imponente struttura dei Mercati, nasce dallo sbancamento di un'intera collina, iniziato da Nerva e terminato da Traiano, che realizzò ben sei livelli di terrazze degradanti verso i Fori.
Solitamente dell'autore di grandi opere come questa non se ne conosce mai il nome, vengono sempre attribuiti al committente che ha ordinato i lavori. In questo caso però sappiamo che l'architetto che realizzò i Mercati fu uno dei più grandi dell'antichità: Apollodoro di Damasco. Siriano di origine, era grande amico di Traiano e lavorerà tantissimo per ammodernare la città di Roma.
Nonostante la sua grandezza il povero Apollodoro fece una brutta fine: quando Adriano divenne imperatore, Apollodoro continuò ad essere il personaggio che era, ma Adriano si dilettava anch'egli a progettare grandi opere. Accadde un giorno che l'imperatore progettò un tempio con una grande statua al suo interno, seduta su di un trono. Adriano, chiese ad Apollodoro di valutare il suo progetto, il quale lo trovò corretto, se nonché volle azzardare una battuta: essendo il soffitto forse troppo basso disse “Ma se la statua si dovesse alzare sbatterebbe la testa!”.
Adriano non la prese troppo bene.
Per costruire i Mercati Apollodoro impiegò solo una decina di anni, utilizzando soprattutto maestranze specializzate. Gli schiavi c'erano e venivano usati, ma in minima parte e solo per lavori di bassissima manovalanza.
Ci muoviamo per ammirare alcune statue posizionate nell'atrio e l'archeologa ci dice che esse facevano parte del foro di Traiano. Sono statue di barbari e lo si capisce dal loro abbigliamento e la loro testa, adornata da barba lunga e capelli lunghi. In questo caso sono dei Daci, gli antichi rumeni. Questi erano un popolo indoeuropeo proveniente forse dalla Russia, che diedero molto fastidio ai romani per diverso tempo. Erano descritti dai romani come valorosi guerrieri: le persone comuni portavano barba e capelli lunghi, mentre personaggi di alto rango avevano capelli corti ed un cappello di peltro, oltre che la barba. Altra loro caratteristica era che addestravano cavalli che correvano come il vento e in combattimento erano molto valorosi.
Dal primo secolo d c ebbero un capo che riunì queste popolazioni nomadi divenendo una minaccia per i romani. Tra il 101 e il 106 d c, dopo varie incursioni, vengono bloccati proprio da Traiano in una battaglia che sconfisse questo popolo valoroso.
Descrivendo così gli sconfitti Traiano non fece altro che dell'auto propaganda, del resto sarebbe stato troppo facile sconfiggere gente debole. Descrivendoli forti invece implicava autodefinirsi migliori di loro perché furono in grado di vincerli.
I romani erano molto bravi nel fare propaganda.
Conquistata la Dacia, vi vengono costruite ovunque città a modello romano, trasformando così il territorio in una provincia modello, tant'è vero che ancora oggi si chiama Romania e la loro lingua attuale è una lingua latina.
Entriamo in uno dei vani del Mercato che contiene una testa di statua attribuita a Costantino, probabilmente proveniente dal foro di Traiano.
Passiamo in un'altra sala dove l'archeologa ci mostra come i Mercati fossero collegati al Foro di Traiano: discendendo dalle terrazze si poteva arrivare fino alla grande piazza porticata del Foro.
Col passare dei secoli, dopo l'arrivo dei barbari, questa zona venne abbandonata fino al medioevo, quando sopra di essa vi sorsero addirittura delle vigne e qualche casa, una chiesa ed un convento. Solo intorno al 1500 nacque un vero e proprio quartiere. L'Alessandrino prese il nome da colui che volle la sistemazione di quest'area, il cardinale Michele Bonelli, proveniente da Alessandria.
Entriamo in un altro "ufficio" dove è esposta una grande statua in Loricato, la tipica armatura romana da parata, anche questa bianca, ma che doveva essere in origine coloratissima, così come lo erano i templi.
Passiamo in un'altra stanza dove c'è un piede in bronzo rivestito in doratura. Ritrovato nel foro di Augusto, era il piede di una delle due nike, le dee alate della vittoria, che adornavano il grande tempio di Marte Ultore, che Augusto aveva fatto costruire al centro del suo Foro. Le nike stavano in alto, sui due lati del frontone del tempio.
Proseguiamo la visita in un'altra stanza dove sono esposti alcuni reperti del Foro più piccolo, quello di Nerva. Sono decorazioni che adornavano la parte superiore del piccolo Foro, fatto tutto come la piccola, ma splendida parte che ne rimane, con le due colonne e la statua di minerva.
Saliamo al piano superiore dove ci sono pannelli che illustrano la storia della trasformazione dei mercati, che nei secoli poco a poco sono stati ricoperti dalle case dei comuni cittadini.
Ci sono poi altri reperti delle decorazioni del Foro di Augusto ed un modellino in scala di come doveva essere.
Finalmente usciamo all'esterno per affacciarci ad una delle terrazze che degradano verso i Fori e ce ne regalano una vista unica. Da qui si può vedere meglio la via Alessandrina che separa ciò che resta del Foro di Traiano dai mercati.

In mezzo a quella che doveva essere la grande piazza del Foro sporgono ancora i resti delle fondamenta medievali delle abitazioni del quartiere Alessandrino smantellato da Mussolini.
Oltre allo scavo c'è via dei Fori imperiali, che ricopre e divide ciò che un tempo era unito, tutti e cinque i Fori.
Girando lo sguardo fino quasi alle spalle dei mercati, notiamo una torre, famosa per essere parte di casa del Grillo, dove visse il famoso marchese del Grillo. In realtà la storia rappresentata da Alberto Sordi è parte della tradizione popolare romana e fondeva in un unico personaggio due marchesi del Grillo, realmente esistiti e a cui piaceva fare scherzi.
Rientriamo nelle sale espositive dove ci sono alcuni reperti del Foro di Cesare e decorazioni del tempio di Venere: ci sono degli Eroti, praticamente dei piccoli Eros, che per i romani erano Dei legati alla morte, una specie di angeli custodi. Indicavano anche la rinascita, la primavera, il ciclo della vita che si rinnova.
Proseguiamo nelle altre sale parlando di Traiano, il cui vero nome era Marco Ulpio Nerva Traiano. Adottato da Nerva, sale al potere a quarant'anni, abbastanza inusuale anche perché spesso i romani non ci arrivavano nemmeno ai quaranta.
Traiano era ispanico e viveva in andalucia. Era un grandissimo generale, molto intelligente ed energico. Fisicamente era molto alto, aspetto raro per quei tempi, con capelli scuri che però si imbiancarono presto.
Mori d'infarto vent'anni dopo essere diventato imperatore, mentre era impegnato a sedare una rivolta. Uno dei pochi imperatori ad essere scomparso per cause naturali.
Si sanno molte cose su di lui, perfino che fosse una persona molto simpatica a cui piaceva molto bere e che trattava tutti bene. Di lui si diceva che trattasse gli altri come avesse voluto che l'imperatore trattasse lui.
Aveva una moglie, Plotina, con cui rimase per tutta la vita.
Quando divenne imperatore ereditò un impero sul collasso e la prima cosa che fece, fu quella di bruciare i libri dei debitori così da permettere ai piccoli imprenditori ed i contadini di respirare, rilanciando l'economia.
Inoltre piazzò in ogni provincia persone fidate per controllare gli amministratori locali. Se questi sbagliavano andavano a casa, o peggio.
Istituì perfino un collegio per i bambini poveri e orfani di Roma, anche perché molti erano gli uomini morti in guerra e la vita media delle donne era 29 anni. Va da sé che furono molti i bambini che rimanevano orfani e senza più possibilità. Traiano, che vedeva anche in loro il futuro di Roma, riuscì a garantire a questi orfani un rifugio ed un istruzione.
Entriamo nella stanza dove sono conservati i resti della colossale statua che stava nel Foro di Augusto. Purtroppo sono stati ritrovati solo dei frammenti, un pezzo di dito, un pezzo di un polso, un parte del dorso della mano e la pupilla dell'occhio. Grazie questi frammenti, e all'impronta di una piede enorme, si è riusciti a capire che la statua era un colosso alto più di undici metri. Questa statua, che stava in una stanza decorata di marmi coloratissimi, era in marmo con un anima in legno e ferro. Rappresentava il genio di Augusto, ovvero lo raffigurava come il protettore di Roma.
Attraversiamo delle altre stanze dove ci sono altri resti del Foro di Augusto. Il foro era riccamente decorato con statue degli illustri uomini dell'antica Roma e gruppi scultorei di divinità o di personaggi leggendari, in modo che potessero avvalorare la tesi che Ottaviano era il Pringeps, ovvero il primo tra i pari. Uno di questi è il gruppo di Anchise e Ascanio che fa riferimento alla fuga dalla città di Troia ed alla loro fondazione della città di Albalonga, da cui provennero Romolo e Remo, i fondatori di Roma appunto.

Torniamo all'esterno e, girando attorno ai mercati, ci veniamo a trovare al cospetto della famosa torre delle milizie, una delle torri medievali meglio conservate della città. Come le altre trecento torri di epoca medievale di Roma, serviva a scopo difensivo: durante il periodo di assenze del Papa le grandi famiglie si fecero la guerra per cercare di raggiungere il potere su tutta la città. Questa viene chiamata torre delle milizie perché qui vi era un campo di militari. La torre venne utilizzata fino al 1300, quando un grande terremoto ne fece crollare la sommità e la inclinò come la torre di Pisa, ancora oggi infatti non è visitabile.

Torniamo ad affacciarci sulle terrazze dove sotto di noi, a livello della strada romana, si vedono delle colonne del Foro di Traiano che altro non sono che i resti della basilica Ulpia. Questo edificio era stato eretto attorno alla grande colonna che, oltre a raccontare la storia delle sue imprese nella guerra contro i Daci, è anche il suo monumento funebre. Traiano fu l'unico uomo ad essere seppellito all'interno di Roma, all'interno della colonna appunto. L'unica donna invece fu sua moglie che come il marito venne bruciata. Le loro ceneri vennero deposte in vasi di oro e alabastro, ma ovviamente non si sa che fine abbiano fatto, probabilmente i barbari stavolta hanno fatto qualcosa che i Barberini non hanno potuto.
La colonna, sempre rimasta in piedi, è alta circa cento piedi, più una decina di metri del basamento, rappresenta anche l'altezza della collina sventrata per fare il mercati di Traiano da cui oggi ammiriamo il cuore della città antica. Il disegno, raffigurante 2500 personaggi, se si potesse srotolare misurerebbe circa duecento metri. Anche la colonna è stata realizzata sotto la direzione di Apollodoro da Damasco. L'imperatore sulla colonna compare sempre, ma non come imperatore, semplicemente come il capo dell'esercito.

Per scendere ci incamminiamo sulla via biberatica che con i suoi grandi blocchi di basolato la definiscono come strada esterna. Probabilmente qui si affacciavano botteghe, taberne e altri uffici.
Continuiamo a passeggiare in discesa passando in una via di negozi e taberne, dove l'atmosfera sembra proprio trasportarci indietro nel tempo, fino a scendere tutte le scale possibili e ritrovarci la sotto, sulla strada antica, al livello originale dei fori.

Dopo questo bagno di antichità risaliamo lentamente tutte le varie terrazze, girandoci qualche volta per cercare di carpire qualche altro scorcio di Roma antica.
Proprio prima di uscire però ci imbattiamo in una sala che all'inizio del giro ci era sfuggita.
Una grande cisterna romana, dominata da un pozzo per l'acqua, è diventata uno spazio espositivo per tutta una serie di anfore ritrovate e per raccontare la storia del loro ritrovamento.
Sono anfore che contenevano di tutto: dal vino, al grano, all'olio. Su ognuna, la maggior parte molto ben conservate, si leggono dei simboli che indicano il proprietario e l'anno in cui furono immagazzinate.


Chissà se c'era qualche buona annata.

giovedì 3 novembre 2016

HORTI SALLUSTIANI




La visita di oggi riguarda uno dei luoghi dove gli antichi inventarono e praticarono l'ozium, gli horti.
Nel periodo repubblicano tutte le zone coltivate fuori Roma, iniziarono ad essere chiamate horti. Solo dal primo secolo A C assunse il significato di complesso residenziale immerso completamente nel verde con l'aggiunta di qualche padiglione abitato.
In quel periodo ne nascono moltissimi, tutti voluti da grandi personaggi, che li creano attorno a Roma: Cesare sul Gianicolo, Mecenate tra via Merulana e piazza Vittorio. Gli horti infatti erano una residenza esterna, libera dal caos metropolitano, ma che doveva essere vicina alla città, in modo che questi importanti personaggi, in caso di bisogno, potessero rientrare tempestivamente.
Durante il periodo imperiale non vengono più costruiti nuovi horti, ma quelli esistenti continuano ad essere mantenuti attivi. Questo perché cambia il sistema politico e i personaggi importanti diminuiscono con l'accentramento del potere nell'imperatore, così viene meno la necessità di questi ricchi personaggi di essere sempre presenti a Roma.
Inoltre gli imperatori preferiscono rifugiarsi nelle loro ville, molto più lontane dalla città, come villa Adriana che nasce perfino a Tivoli.
L'idea degli horti quindi svanisce con l'impero.
Quelli che stiamo visitando sono gli horti di Sallustio, che in precedenza erano proprietà di Giulio Cesare.
Sallustio è un politico molto importante che nasce come tribuno della plebe e riesce poi a farsi eleggere come senatore sfruttando la sua vicinanza a Cesare, con cui si era schierato politicamente. Durante questo periodo Sallustio diventa talmente importante e ricco che riesce a diventare governatore di una nuova provincia, la Libia.
Come tutte le nuove province vi nascono moltissimi cantieri per romanizzare le nuove città. Sallustio, da buon governatore, applica tangenti a molte di queste costruzioni, diventando ricchissimo.
Quando a Roma si scopre viene richiamato per essere giudicato dalla giustizia e pagare i suoi debiti. Si salva solo grazie all'amicizia con Cesare che paga in parte i suoi debiti, ma ad una condizione: deve lasciare la sua carriera politica.
Nel 42 Sallustio si ritira a vita privata, nel 44 Cesare verrà assassinato. Sallustio allora compra gli horti di Cesare e sposa addirittura la vedova di Cesare. Ritirandosi Sallustio si dedicò completamente all'ozium romano, diventando uno dei più importanti storici dell'antichità.
Di sua produzione sono testi di fondamentale importanza per la ricostruzione dell'epoca: la congiura di Catilina e il gruppo delle littorie che però lascia incompiuto. Nel 34 A C infatti Sallustio muore a 52 anni. Negli anni di ozium si era dato molto da fare: rispetto al suo predecessore aveva notevolmente aumentato gli horti, inserendo nuovi edifici e  rendendoli molto più ricchi. Gli horti rimasero di proprietà della sua famiglia per altri vent'anni, poi vennero acquistati dallo stato divenendo parte dei possedimenti imperiali.

Iniziamo a scendere le scale che ci portano ben quindici metri sotto il livello stradale. Gli horti erano un complesso enorme che si sviluppavano più o meno dalla base del Quirinale e arrivavano fino alla zona del Pincio.
Erano di una ricchezza talmente sontuosa e disseminata di opere d'arte, che durante l'impero furono diversi gli imperatori che scelsero di stabilire qui la loro residenza al posto del Palatino.
Due sono stati gli imperatori che si sono dedicati alla ristrutturazione di questo luogo: Adriano e Aureliano.
Di fatto questi horti vennero utilizzati fino alla caduta dell'impero, solo con l'invasione dei goti furono abbandonati. L'area rimase poi disabitata fino alla metà del 1500, quando i Barberini vi fecero costruire la scomparsa villa Barberini.
Fu proprio grazie a questa costruzione che Papa Sisto V aveva riportato l'acqua in questa zona, rendendola così nuovamente abitabile. Di conseguenza anche i Borghese, sul Pincio, Costruiscono la loro villa, seguiti poi dai Ludovisi, la cui villa come quella dei Barberini scomparve in seguito.
Con l'unità d'Italia questa zona infatti viene radicalmente modificata. Si aprono nuove strade per fondare uno nuovo quartiere e tutto quello che c'era in mezzo viene sepolto, rimanendo sotto ai nuovi palazzi. Ecco spiegato come mai si deve scavare tanto per ritrovare le antiche strutture.
E' in questa nuova fase che le ville Barberini e Boncompagni Ludovisi vengono distrutte.
Gli horti di Sallustio erano immensi, noi oggi ci troviamo nel cuore degli horti, e se ne vedono solo tre piccole parti, ma aveva una forma simile ad un circo, che in realtà era un giardino con fontane, giochi d'acqua e laghetti.
La parte che visiteremo è il padiglione residenziale il cui ingresso aveva una porta altissima, con a lato colonne e statue. Oggi vediamo una porta in vetro che chiude il padiglione, è moderna, ma in realtà non dovrebbe essere molto diversa dall'originale. La sala infatti è quasi priva di finestre ed era necessario far entrare la luce da questa grande apertura.
Il complesso visitabile emerso dagli scavi è suddiviso in tre parti: in mezzo la zona residenziale, a sinistra c'era un altro avancorpo diviso in più piani con diverse stanze affrescate, dove probabilmente venivano collocati gli ospiti. Sulla destra invece sale verso l'alto un edificio più povero, una insulae che era abitata dagli addetti ai lavori dell'horto: giardinieri, scultori, muratori, idraulici.
Scendiamo le scale fino all'ingresso della grande sala passando attraverso la gigantesca porta, varcata in passato da gentucola di poco conto come degli imperatori. Tra questi Adriano è quello che qui ha apportato le più significative modifiche alla parte residenziale. Questi infatti poteva vantare la consulenza di un personaggio del calibro di Apollodoro di Damasco, almeno fino a quando non lo fa togliere di mezzo.
Siamo ora nella grande aula circolare che fungeva da sala di rappresentanza,  separata dagli altri padiglioni, sempre indipendenti, che servivano per gli ospiti. Questo era l'ambiente più grande, con le stanze più ampie e lussuose. Ai lati dell'ingresso c'erano due grandi nicchie con alla base delle mensole. Presumibilmente dovevano reggere delle colonnine di marmo bianco, così come ne erano rivestite tutte le pareti, in modo da riflettere la luce che entrava dall'unico grande ingresso. Stessa sontuosità doveva esserci nei pavimenti, con disegni geometrici composti da marmi colorati.
Le nicchie, anch'esse rivestite di marmi, dovevano contenere delle statue.
Guardando verso l'alto vediamo la grande volta, che invece di essere ricoperta da pesanti marmi, aveva stucchi coloratissimi che la rivestivano.
C'era poi in fondo alla sala una cascata con un piccolo ninfeo, tutto rivestito di marmi. Essendo realizzato per accogliere al meglio gli ospiti, probabilmente qui venivano approntati anche sontuosi  banchetti di benvenuto.
Visitiamo anche la sala a lato, da dove si poteva uscire in giardino e poi andiamo a vedere la zona dove dovevano esserci delle stanze per gli ospiti. Se ne vede solo la scala che porta ai piani superiori, non essendo ancora ultimati i restauri non si possono visitare. Ciò che possiamo vedere sono parti dei mosaici sul pavimento e tracce di intonaci affrescati sulle pareti.
Tutta la struttura è sormontata dal grande muro del 900 che ha dato la possibilità di scavare fino a ritrovare queste strutture.

Ci spostiamo poi dall'altra parte del grande padiglione per andare a vedere l'ultima struttura emersa dagli scavi.
Risalente al primo secolo D C c'è un insulae molto ben conservata, di almeno quattro piani. Queste insulae sembrano essere appartenute a persone con una certa possibilità economica perché sbirciando dai vetri si intravedono dei bei mosaici e anche affreschi. Essendo l'insulae inserita all'interno degli horti doveva essere abitata dagli addetti ai lavori della gestione e dell'horto: giardinieri, scultori, pittori, idraulici, muratori, insomma lavoratori specializzati.
Guardando verso l'alto si vede sporgere quello che resta dei ballatoi, in legno ovviamente, che dovevano avere l'aspetto un po' come le nostre case di ringhiera. Chissà che vista avevano dai piani più alti. Oggi vediamo solo la base dei palazzoni, purtroppo possiamo solo immaginare ciò che giace per centinaia di metri, la sotto.
Mi consola il fatto di sapere che c'è ancora così tanto da ritrovare. Nonostante sia certo che noi non vedremo mai quello che vi si nasconde, è parecchio stimolante.