giovedì 31 dicembre 2015

Trastevere


Per completare questa magnifica giornata, ci basta attraversare il Tevere, passando per l'isola tiberina, ritrovandoci così a Trastevere, un quartiere scampato alle trasformazioni che hanno subito nel tempo la maggior parte delle zone di Roma.
Prima di Roma, su queste sponde del fiume c'erano gli etruschi. Vi si erano instaurati qui perché era un punto strategico:
L'isola tiberina era un perfetto guado naturale. Fu grazie al fiume che fiorirono i commerci. Qui arrivava la via salara, poi ribattezzata salaria. Va da sé che con questi commerci arrivò la ricchezza e i vicini villaggi della zona, intuendone il potenziale si unirono, cacciarono gli etruschi e crearono Roma.
Romolo e Remo, probabilmente facevano parte di uno di questi villaggi.
Trastevere fu il primo porto della città, proprio sull'isola.
Col tempo la città crebbe, il porto rimase, ma fu lasciata fuori dalle mura della città.
Era una zona molto frequentata, soprattutto da stranieri che venivano a commerciare con la città, che crebbe a tal punto da contare sotto Traiano circa un milione di abitanti. Purtroppo nel medio evo si spopolò al punto da scendere fino a soli 50000 abitanti.
Anche Trastevere si svuotò.
La nostra visita inizia a Piazza in piscinula, chiamata così perché pare che Augusto ci costruì delle vasche, probabilmente proprio delle piscine. Oggi c'è solo un parcheggio, attorniato però da palazzi medievali da cui spuntano qua e là come addobbi, parti della Roma imperiale. Ci sono colonne, fregi e altro, tutto materiale di spoglio che emergeva in questa zona.
La maggior parte del marmo dell'antica Roma però venne riutilizzato sia come calce che come base per nuovi palazzi. Fu così che la grande Roma imperiale scomparve, dopo l'abbandono della città, gli argini del fiume vennero rialzati notevolmente, forse a causa delle piene, e molti edifici interrati. Ciò che rimaneva in superficie veniva riutilizzato o demolito.
Il ripopolamento del quartiere di Trastevere avvenne solo tra l'800 e il 1000, e questo solo grazie alle sue chiese che sono tra le più antiche di Roma.


Le case rimasero comunque basse, nessun grande palazzo venne costruito qui. Trastevere era diventato un luogo di passaggio per andare a san Pietro. Solo alcune famiglie vi costruirono casa e una di queste furono i Mattei, che avevano la concessione della manutenzione dei ponti di tutta Roma.
La casa dei Mattei, qui in piazza piscinula, divenne col passare dei secoli una famosa locanda:
La locanda della sciaquetta.
Sciaquetta a Roma è una di facili costumi...
Ci addentriamo nel quartiere e l'aria che respiriamo è decisamente diversa dal caos delle grandi strade a cui mi siamo abituati. C'è molta gente che passeggia e mi sembra di essere a Milano, mi ricorda un pochino i navigli e Brera. Rispetto a Roma è proprio diverso.
Ci addentriamo ancora di più fino a passare sotto l'Arco dei Tolomei, dove si vede ancora la forma di una torre, poi tagliata, che serviva sia come abitazione che come guardia. Nel medio evo, quando Roma era caduta e non c'erano i Papi a difenderla con il loro esercito, c'erano più di trecento torri di guardia. Solo al ritorno del papa le torri non servirono più e vennero tagliate per essere trasformate in palazzi.
Percorriamo “Via dei salumi”, esempio di strada in cui erano situati esercizi commerciali di un certo genere, fino ad infilarci nel Vicolo delle palme, dove c'è la più antica sinagoga di Roma. Oggi l'edificio non ha più quella funzione, fra le sue mura c'è un famoso ristorante, ma dai caratteri ebraici scolpiti su una delle sue colonne esterne, si evince ancora chiaramente che il piccolo edificio doveva essere adibito a luogo di culto.
La guida ci racconta che in precedenza questa stradina era chiamata vicolo dell'atleta. Qui infatti vi era una magnifica statua di atleta intento a depilarsi con lo strigile. La statua pare provenisse dalle Terme di Agrippa, che stavano accanto al Pantheon. Essendo così bella e realistica, l'imperatore Tiberio se ne innamorò e decise di portarsela a casa. Filtrate le sue intenzioni bastò il semplice accenno di una rivolta popolare ad impedirglielo.
Come, secoli più tardi, sia finita in questo vicolo a Trastevere, nessuno lo sa. Ora la statua, non essendo scampata alla voracità dei Papi, è ai musei vaticani.


Usciamo dal vicolo per ritrovarci poco più in là su Piazza di santa Cecilia. Su un vecchio palazzo medievale vediamo raffigurata la testa di un leone. La guida ci racconta che il simbolo di trastevere è proprio un leone. La storia infatti dice che un tempo sul campidoglio vivesse un leone incatenato. Un giorno un ragazzo di trastevere vi si avvicinò troppo e venne sbranato. Il Papa fece sopprimere l'animale seppellendone la pelle a Trastevere, assieme alla sua vittima.
Entrando in santa Cecilia possiamo ammirare uno dei mosaici più antichi della città.
Proseguiamo su via dei genovesi, dove sorge la chiesa di san Giovanni dei genovesi. Accanto ad essa c'era un ospedale, in realtà un ostello, per i pellegrini genovesi che arrivano in visita a Roma.
Continuando a camminare andiamo quasi a sbattere contro una casupola su cui vi è un iscrizione.

Qui sorgeva una delle stazioni dei vigili del fuoco della città. La principale era in campo marzio, mentre questa era la settima stazione risalente del secondo secolo d c.
La guida ci racconto che all'interno ci sono ancora delle scritte dei vigili del fuoco ed una recita una richiesta ancora molto attuale:
Non ce la faccio, più datemi il cambio”
Arriviamo al luogo dove si trova la cosiddetta “Maria dei noartri”. E' una statua della vergine che venne trovata sulle rive del Tevere e riconosciuta come madonna del carmine.
La sua storia le attribuisce diversi miracoli e per questo motivo il 26 luglio le viene fatto fare il giro del quartiere. Per una settimana torna dalla chiesa di sant'Agata, la chiesa dove fu custodita originariamente.
Il nostro viaggio in questo caratteristico e romanamente atipico quartiere, ma forse è tra i più romaneschi che ci siano, termina in santa Maria in Trastevere. La chiesa, forse del duecento, è la più antica chiesa romana dedicata a Maria.
Vista da fuori è molto bella e adornata, oltre che da un grande mosaico, anche da quattro grandi colonne che provengono dalle terme di Caracalla.
Provati, storditi e comunque contenti, ci addentriamo nei vicoli dove un tempo i bulli di Trastevere spadroneggiavano, e torniamo verso il nostro quartiere, attraversando una Roma completamente differente, sgranocchiando qualche altro pezzo di pizza ebraica.

mercoledì 30 dicembre 2015

La cosa più buona del mondo

Dopo aver concluso la visita all'insulae dell'ara coeli, dovendo poi andare ad un'altra nel pomeriggio, io e Cassandra decidiamo di andare a mangiare al ghetto ebraico.
Il quartiere è piccolo, si gira molto in fretta, c'è poi una grande via che lo attraversa su cui si affacciano molti ristoranti. È da molto tempo che voglio assaggiare i famosi carciofi alla giudìa, così li esploriamo un po' tutti in cerca di un menù adatto ai nostri gusti vegetariani. Volendo ci sarebbero perfino dei fast food kosher.
Troviamo un ristorantino tranquillo e carino dove prendiamo i carciofi alla giudìa, cicoria ripassata e i falafel con l'hummus. Concludiamo con Tonnarelli ai carciofi. Tutto buono, soprattutto i carciofi che mi aspettavo molto più pesanti essendo fritti.
Usciamo ed abbiamo giusto il tempo di infilarci in una porticina da cui a qualunque ora spunta sempre una fila di gente.
Incuriositi ci fermiamo, anche per procurarci la merenda da mangiare più tardi. All'interno ci sono due signore che raccolgono manate di dolci da delle teglie. Prendiamo due pezzi di quelli che sembrano pane con l'uvetta. In realtà non è così.
È la cosa più buona che abbia mai mangiato. Tra l'altro vegana perché fatta solo con farina, zucchero, uvetta, mandorle, e canditi. Dopo averla assaggiata, ancora calda, non capisco più niente e smetto solo dopo aver attraversato l'isola tiberina quando, ancora con la bocca piena, devo pagare la guida per la visita successiva.
Ci devo tornare, per forza.

martedì 29 dicembre 2015

L'insulae dell'Ara Coeli


Dopo le case del Celio, e soprattutto Ostia antica, pensavo ormai di saperne abbastanza sulle insulae, invece... Visitando i resti dell'Insulae che sta proprio sotto l'Ara Coeli, abbiamo scoperto molte altre cose interessanti.
Insulae significa isola. Il loro nome in principio descriveva dei grandi edifici isolati, un pò esterni rispetto al centro città. Poi però la sovrappopolazione ha cambiato tutto e le insulae non furono più isolate, ma molto ravvicinate l'una con l'altra e soprattutto affollate, sia all'interno che all'esterno. Se prima erano edifici isolati, l'esplosione demografica di Roma consumò ogni minimo spazio tra un edificio e l'altro.
Altra informazione sulle insulae è che erano case in affitto, diversamente dalle domus che erano di proprietà.
Tipiche costruzioni a partire dal primo secolo dopo cristo, arrivarono ad essercene in tutta Roma quasi quarantasettemila. Erano edifici che potevano avere fino a sei piani, forse più. Questo finché il problema dei crolli decretò il loro limite in altezza, prima a 21 metri e poi, non bastando, a 16 metri.
Costruite in laterizio, ai piani bassi vi erano gli spazi più grandi dove stavano le botteghe, i negozi. Tra l'altro negozio deriva da "negare l'ozio".
Sotto i portici, davanti ai negozi, venivano messi i banchi dei commercianti. Secondo la guida i banchieri nascono così: dalle persone che mettevano i loro banchi per commerciare.
Salendo al primo piano c'erano i magazzini dove vivevano i proprietari dei negozi, a volte perfino i proprietari delle Insulae.
Al secondo piano vi erano poi le abitazioni comuni, che più si saliva e più diventavano piccole.
Le case già al secondo piano erano ridotte a delle stanzette, probabilmente pure soppalcate, con una piccola finestra per la luce e l'aria. All'interno non c'erano bagni, ma solo lo spazio per un giaciglio su cui dormire, ed un braciere portatile per cucinare.
Nonostante gli spazi angusti l'affitto era carissimo, soprattutto come in questa Insulae che stava in centro.
Più si saliva e più si arrivava a vivere in dei cubicola, a volte sotto il tetto, molto pericoloso perché quasi esposti alle intemperie e soprattutto per gli incendi frequentissimi.
Insomma gli spazi erano ridottissimi, ma questo era possibile soprattutto perché i romani vivevano praticamente tutto il giorno in strada. Si tornava a casa solo alla sera per cenare e dormire.


Tra l'altro i rifiuti e i bisogni venivano gettati in strada, così sul basolato si poteva calpestare di tutto...
Col tempo le Insulae potevano essere trasformate in domus, in cui ci viveva una sola famiglia ricca, ma capitava di rado e ce ne erano poche, circa una domus ogni sette Insulae.
Se calcoliamo che in questi palazzi ci potevano vivere anche cinquecento persone, si capisce quanto era sproporzionato il rapporto.
Questa è una delle pochissime rimaste nella Roma di oggi. È del secondo secolo dopo cristo e sorge davanti al campidoglio, dove c'era il tempio di Giunone moneta. Moneta in questo caso non per il conio, in realtà significa ammonire, ovvero Giunone ammonisce.
In questo edificio sembra ci vivessero circa 380 persone.
Questa è l'insulae dell'Ara coeli, l'altare del cielo, ma come si faceva a riconoscere un'insulae in mezzo alle altre 47000? Non c'erano i civici, ma si attribuiva l'indirizzo al proprietario, o proprietaria, delle insulae stessa. A volte i palazzi davano il nome perfino alla strada in cui stavano.
Come ho scritto più volte le insulae erano spesso trappole mortali a causa degli incendi. Fu Augusto a istituire il primo corpo di vigili del fuoco, che avevano caserme sparse nelle varie zone della città. Gli incendi avvenivano per distrazioni, come quello ai tempi di Nerone, che distrusse mezza Roma. Pare sia partito da un Insulae del rione Monti.
Dall'esterno dell'insulae si nota una cosa, che già avevo adocchiato durante la maratona: dai ruderi spunta il pezzo di un campanile.
La guida ci racconta che si tratta della chiesa di San Biagio del mercato, risalente all'anno 1000. Il campanile invece è del 1200.


Questa Chiesa, praticamente appoggiata all'insulae, fu Rifatta nel 1600 e dedicata a Santa Rita da cascia.
Oltre al campanile si vede benissimo un arcosolio con affreschi funebri paleo cristiani. Probabilmente qui era sepolto uno della famiglia Boccadella, committenti della costruzione di questa edificio sacro.
Era una Chiesa barocca, ma tra il 1930 e 1940 Mussolini sventrò il quartiere medievale dell'Ara Coeli per riportare alla luce il foro romano.
La chiesa fu smontata e rimontata vicino al teatro di Marcello. Fu così che venne alla luce l'insulae che abbiamo visitato oggi.

lunedì 28 dicembre 2015

LA NECROPOLI DI SAN PAOLO



Andando al lavoro in metropolitana passo ogni giorno dalla basilica di san paolo, ma ovviamente non mi ci ero mai fermato.
Qui sorge una basilica grandissima che, pur essendo stata ricostruita in seguito al devastante incendio del 1823, dovrebbe aver mantenuto la stessa forma e dimensione. Nella basilica di San Paolo fuori le mura è conservata la tomba dell'apostolo Paolo. Pare fosse siriano e che perseguitasse i cristiani, prima di convertirsi. Va be ma sto divagando.
Prima di visitare la necropoli uno sguardo all'immensa basilica glielo diamo e devo dire che è veramente grande, forse seconda solo a san Pietro e San Giovanni.
All'orario dell'appuntamento con l'archeologa dell'associazione l'asino d'oro, ci troviamo all'entrata secondaria della basilica, come indicato dalla mail, solo che non c'è nessuno. Giriamo attorno alla basilica un paio di volte. Quando passiamo il cartello del terzo chilometro di giro a vuoto Cassandra mi suggerisce di provare con una profezia. Purtroppo ho finito il credito profetico e sono costretto ad affidarmi al telefono. Per fortuna troviamo il gruppo che stava a più di cento metri nel parco. Le indicazioni sul ritrovo stavolta lasciavano un po' a desiderare.
Ed eccola la necropoli di San Paolo fuori le mura. In realtà il sito da vedere è proprio piccolo: un'apertura del terreno ci mostra una manciata di stanze, anche se molto ricche. A quanto pare l'intera necropoli giace ancora tutta sotto il parco ed il quartiere San Paolo, e non è mai stata indagata. Con Cassandra ci basta uno sguardo per capirci: "Chissà cosa giace lì sotto a pochi metri dalla superficie".
L'archeologa intuisce i nostri pensieri e ci dice subito che non dobbiamo aspettarci di trovare chissà quali tesori. I defunti infatti venivano sepolti si con oggetti di loro proprietà, ma non gioielli, che si tenevano i parenti vivi. Nei rari casi in cui accadeva era perché il padrone della tomba doveva essere davvero molto molto ricco.

Nelle poche e piccole stanze che vediamo ci sono solo colombari che potevano contenere due, tre e a volte quattro urne cinerarie.
Erano stanze strette e profonde, dove, nonostante venisse ottimizzato ogni possibile spazio, angolo o parete, c'era sempre posto per la targhetta che indicava il nome del defunto.
Chi poi ne aveva la possibilità si faceva scolpire un ritratto o metteva un iscrizione sulla lapide o su un pilastro. Tutte le iscrizioni iniziavano per "Dis manibus", in modo da dedicare il sepolcro agli dei Mani, che erano proprio coloro che ne dovevano scongiurare le manomissioni. Solo dopo tale scritta venivano aggiunti i tre identificativi: il nome, il Gens, ovvero il clan di appartenenza, ed in fine il cognome.


Da vedere sembra ci sia poco, ma è tutto concentrato. Le informazioni che ci racconta l'archeologa sono interessanti, molto ritroviamo del modo di vivere il rito funebre dei romani in quello che è il nostro di oggi. Tra le varie similitudini troviamo i Libitinari, ovvero gli impresari delle pompe funebri che si occupavano del corpo del defunto.
Si usava già che dopo la cerimonia alcune persone portassero il corpo del defunto in spalla fino al sepolcro, così come la processione. Oggi non si usa più invece mettere una moneta nella bocca del defunto per pagare il traghettatore Caronte.
C'erano poi delle donne pagate per piangere. Più piangevano è più strillavano e meglio era. Queste raccoglievano addirittura le loro lacrime in piccoli contenitori, in modo da dimostrare di aver adempiuto al loro compito ed essere pagate. Al contrario di oggi c'era chi assumeva suonatori e perfino dei gladiatori per dare spettacoli di lotta. Non lo sapevo, ma pare che i gladiatori siano nati proprio in questo modo: come spettacoli funebri.


Una cosa diversa da oggi, e che per fortuna non si usa più, è quella di far indossare una maschera ad una persona, appositamente pagata, in modo da impersonare il defunto. Lo scopo era quello di farlo partecipa al suo stesso funerale.
Mi fa venire in mente la canzone di Jannacci:
Si potrebbe andare tutti al tuo funerale, per vedere l'effetto che fa...”
Dato che si poteva decidere se farsi cremare o inumare, chi sceglieva il fuoco, prima di incenerire il corpo, doveva tagliare un dito al cadavere per poterlo seppellire ed avere una parte del corpo a contatto con la terra. Questo perché la terra era vista come purificatrice.
Alla fine di tutto il rito si mangiava, perché mangiare era l'azione simbolo che separava i vivi dai morti: chi moriva non poteva mangiare. Chi poteva permetterselo dava perfino un grande banchetto.
Altra usanza arrivata fino a noi, oggi visto come rito scaramantico, è quella del lancio del sale dietro le spalle: per evitare che gli spiriti dei parenti potessero tornare a perseguitare i vivi si usava il sale, allora preziosissimo. Ovviamente il lancio era simbolico.
In ogni caso pare che già allora le persone fossero molto superstiziose...