Non ci
posso fare nulla, la maratona di Milano per me significa dolore e sofferenza.
Non è ancora cominciata, manca una settimana, ma è sempre la solita storia.
Nonostante sia alla mia quarta partecipazione mi ostino a voler tornare su
quelle strade, forse per esorcizzare questa maledizione, forse perché in fondo
sono un pochino masochista e mi piace soffrire. Del resto fare una maratona per
un quarantacinquenne come me, con tutti gli infortuni subiti ed i conseguenti
acciacchi, vuol dire proprio andarsela a cercare.
Mi sono
preparato bene, anche stavolta ho fatto i compiti.
Durante
le uscite in settimana ho incontrato tanti amici che mi hanno aiutato,
sostenuto e incoraggiato. Tutte persone fantastiche senza le quali avrei patito
non poco questa seconda tabella quasi consecutiva a quella di Firenze. Del
resto chi corre al parco degli acquedotti, che vada piano o forte, non può che
essere un appassionato come me, capace di una forte empatia sportiva.
Alla
domenica poi ho sempre ritrovato con piacere il Gruppo delle 6 per i lunghi.
Anche se dopo la maratona, nel fine settimana, correremo ancora assieme per un
paio d’ore, mi mancheranno i lunghissimi, specialmente quelli da tre ore che,
fatti in compagnia, volano veloci come delle serate passate tra vecchi amici.
Alla Roma
Ostia ho nuovamente superato me stesso, rimanendo sempre tra le persone
normalissime eh, sia ben inteso, però ho avuto la soddisfazione di battere il
mio fantasma del Nat… ehm... volevo dire il fantasma della Roma Ostia passata.
Sarà che
è una gara “facile”, quasi tutti dritta, però a me piace sempre tantissimo
correrla, con quella discesa infinita che porta al mare e al traguardo. La
salita non l’ho quasi sentita, anzi ho dovuto calmarmi per non accelerare.
Stavo molto bene quel giorno e quando stai bene è una bellissima sensazione.
(Versione frate indovino)
Poi però
c’è la maratona da fare, la tabella da riprendere, ancora. I problemi si
manifestano sempre all’ultimo momento. L’anno scorso dieci giorni prima ho
iniziato a sentire dolore e ho finito a tre giorni della gara.
Quest’anno
il dolore è iniziato prima, solo che è più subdolo perché mi consente
ugualmente di correre, ma non come vorrei. Va da sé che faccio più fatica e non
riesco a divertirmi quanto desidero.
Sarà che
è la seconda maratona nel giro di cinque mesi ed il mio fisico non ce la fa
più, il sospetto è sempre più forte, ma l’orgoglio si ostina a dirmi di non
ascoltare le sciocche lamentele che le gambe mi lanciano ogni volta che infilo
le scarpe da corsa.
Ma sarà
l’ultima volta. Sì dai, è l’ultima volta che faccio la maratona di Milano,
ormai sono grande e vorrei andare anche da qualche altra parte, prima che sia
troppo tardi, ovvero prima che mi stanchi di sottopormi a queste prove.
Quindi
con coraggio, arnica, cerotti antidolorifici e incoscienza, i miei quattro
cavalieri dell’apocalisse, mi presenterò sulla linea di partenza assieme a
Flavio, il mio amico romano in trasferta.
Senza
ambizioni di tempi correrò, meglio che potrò, cercando di lasciarmi alle spalle
tutto e tutti, pensieri angosciosi, brutti e dolorosi che siano. Voglio solo
stamparmi sul volto il solito sorriso e salutare e strizzare l’occhio come una
mezza celebrità, agli spettatori che ammiccheranno al mio cappellino
portafortuna.
Ora che
lo sto scrivendo mi rendo conto che non vedo l’ora che la gara inizi, ma non
perché una volta finita termineranno anche le mie ansie, quanto perché voglio
divertirmi, voglio correre ancora e ancora.
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