giovedì 27 aprile 2017

La necropoli etrusca di Cerveteri



Eravamo indecisi se andare a Cerveteri o Tarquinia dove ci sono due necropoli etrusche da visitare assolutamente. La scelta è caduta su Cerveteri e devo dire che non ce ne siamo pentiti. Anche se il sito visitabile è un parco da girare a piedi in un paio d'ore, la necropoli si estende non solo nel comune di Cerveteri, ma anche Ladispoli e Santa Severa. È la seconda necropoli al mondo per estensione, più grande di lei c'è solo la valle dei re, in Egitto.
Le grandi tombe a tumulo nella forma ricordano talmente le case sotto la collina di Hobbiville raccontate da Tolkien, che Cassandra si chiede se il professore oxfordiano abbia preso spunta da qui per la sua l'idea.
La nostra visita inizia con una guida che ci viene a prendere subito dopo l'ingresso: un pastore maremmano. Dopo i miei trascorsi con un esemplare della stessa razza che mi ha lasciato in ricordo quattro punti di sutura appena l'estate scorsa, cerco di mantenere le distanze e l'aria disinteressata. Per fortuna non era un parente del Cujo con cui ho avuto a che fare. Sembra infatti che sia stato abbandonato qui quando era cucciolo, diventando così la mascotte della necropoli. Mentre ci addentriamo tra le tombe, guardandoci in giro meravigliati, il cane, avvertendo le nostre pause, si ferma e ci invita a seguirlo più volte. Noi dopo qualche svincolo in questo dedalo rotondo lo perdiamo di vista. Seguiamo il sentiero che dovrebbe arrivare al centro del parco, dove una sala multimediale sta per proiettare un filmato di Piero Angela entro pochi minuti.
Giunti a destinazione troviamo il cane che ci aspetta, o meglio, aspetta il nostro pranzo. Anche cercando di spiegargli che non abbiamo carne, non "demorde". Stacchiamo allora un piccolo assaggio di buonissimo casatiello vegetariano e glielo offriamo. Niente, non gli piace. Un po' viziato sto cane. Comunque lui non fa storie e si mette giù speranzoso di ricevere qualcosa che lo sazi. Sarà solo una mia impressione ma a me sembra che stia fissando il mio polpaccio. Noi però entriamo nella sala multimediale dove assistiamo ad un bel filmato introduttivo sulla necropoli.
Piero Angela ci spiega che il complesso di tombe non è stato costruito, ma scavato. Tutta la zona infatti è una enorme colata lavica che solidificando si è trasformata in tufo.
Solo successivamente hanno costruito le più piccole tombe a dado, probabilmente per un ceto sociale più basso e meno abbiente.
Al contrario dei romani, a cui per legge era vietato farsi seppellire con oggetti preziosi, gli etruschi si facevano tumulare con ricchi corredi funerari. Diverse sono state le tombe trovate a Cerveteri con grandi vasi attici, etruschi, vasi di bucchero, gioielli e molto altro. Dei corpi invece non rimaneva quasi nulla. Stessa sorte è toccata agli affreschi che in teoria dovevano decorare l'interno di tutte le tombe. Purtroppo essendo stati eseguiti sul tufo, materiale molto poroso, col tempo sono andati perduti.
Dopo il filmato la guida ci porta a vedere due particolari tombe, quella della cornice e un altra che mi sfugge il nome ma dove c'erano molti letti in pietra, in pratica una tomba di famiglia.
Piero Angela continua ad illustrarci anche qui, con proiezioni olografiche le particolarità di queste due tombe. Ce ne sarebbero altre due, quella dei vasi greci e della casetta, ma i proiettori sono in manutenzione.
Dopo queste proiezioni ci addentriamo nel labirinto. Sono tantissime e aperte, anche se la maggior parte non sono proprio visitabili, o meglio, a proprio rischio e pericolo.
In ogni caso ce ne sono una quindicina illuminate e sono abbastanza varie tra loro architetturalmente per cui non ci si annoia.
La più bella e particolare è la famosa tomba dei rilievi, unica tomba ad essere stata scoperta di questo genere. È un grande ambiente visibile solo dietro ad un vetro dove oltre ai classici giacigli per adagiare i corpi, sulle pareti e sulle colonne sono stati scolpiti vari oggetti e nei giacigli scavati nelle pareti ci sono anche dei cuscini, scolpiti ovviamente, ma ancora con tracce ben visibili di colore. Guardando bene ci rendiamo conto che il colore si intravede quasi ovunque. 
Proseguendo troviamo tombe profondissime e altre scavate in un tumolo immenso.
Le ultime hanno anche l'audio esplicativo ovviamente del buon Piero, che è sempre un piacere ascoltare.
Usciamo soddisfatti da questa meraviglia, ormai patrimonio dell'Unesco. Per concludere andiamo a Cerveteri dove c'è il piccolo museo con una minima parte dei reperti trovati. Essendo però le tombe ricchissime, anche se piccolo, il museo è a sua volta ricchissimo di reperti molto belli tra l'altro. Come mi era già successo al museo etrusco di villa Giulia, con tutto questo ben di dei, inizia a girarmi la capoccia. La sbronza archeologica non è neanche paragonabile a quella di villa Giulia, ma si fa sentire e inizio a vedere scorrere reperti veloci come se fossi su una giostra.
Mi riprendo solo quando usciamo all'aria fresca e, soddisfatti, ce ne torniamo a casa, anche stavolta contenti di aver passato la Pasqua, in mezzo alle tombe.

lunedì 10 aprile 2017

Tuscolo, la città damnata




Io sono della provincia di Milano, per cui per me è normale non conoscere la città di Tuscolo. Se però chiedo a Cassandra, o a qualsiasi altro romano notizie di questa città, mi rispondono:

Tuscolo? Ma non è una città, è un bosco.

Hanno ragione, per lo meno ora è così, ma fino all'anno 1191 Tusculum era una città con un territorio che oggi corrisponde a quello delle attuali Monte Compatri, Frascati, Grottaferrata e Monteporzio Catone.

Fu distrutta dai romani che la rasero completamente al suolo spargendo addirittura il sale sui suoi resti, che come dice Cassandra: pensa a quanto la odiassero, se sono arrivati a usare il sale che allora era preziosissimo.

Questa città, di origine etrusca (difatti sembra che Tusculum significhi "piccolo etrusco"), pare che sia sorta prima ancora di Roma e con essa e altre della zona dei Castelli, abbiano fondato la lega latina. Questo finché Roma non ha iniziato a fare la voce grossa ed è diventata quella che conosciamo. Inizialmente Tuscolo cercò di contrastarne l'ascesa assieme alle altre città, ma poi divenne parte dell'impero.

Grazie alla sua posizione collinare da cui si gode una fantastica vista del vulcano e del mare, qui sorsero numerose ville romane, testimonianza della prosperità che la città ebbe. Dopo la caduta dell'impero, pur iniziando anch'essa una lenta decadenza, rimase comunque una fortezza inespugnabile, anche perché vi erano i conti di Tuscolo che spadroneggiarono su questo territorio del Lazio fino al medioevo. 

La città resistette fino al 1191, quando perdendo la protezione delle truppe tedesche, fu completamente distrutta. Non solo, ne fu decretata perfino la damnatio memorie che la cancellò dalla storia, tanto che nemmeno nel corridoio delle cartine del Vaticano viene citata.

Tuscolo viene riscoperta solo nel 1800 quando il fratello di Napoleone inizia a scavare per mandare i reperti che trovava in Francia.

Ad oggi gli ultimi scavi del 2001 hanno riportato alla luce parte del foro, il teatro, delle strade, qualche abitazione, ambienti sacri e la cisterna dell'acqua, oltre alla fontana. Da questa pare che parta un cunicolo che corra, assieme a molti altri, sotto tutta la collina e, grazie ai quali, la città riusciva a recuperare facilmente l'acqua.

Dell'acropoli, su cui sorgeva il grande palazzo dei conti di Tuscolo e dimora papale, il non rimane quasi nulla. Tutta la zona è un grande prato, ma sapendo di questo passato nascosto, basta passeggiare per sull'erba dove la gente si stende al sole per capire che appena sotto due dita di terra c'è una città sepolta e dimenticata.

La visita di oggi è stata una prima occhiata che grazie agli archeologi locali ci ha fatto conoscere la zona, ma credo che ci torneremo ancora, magari per qualche archeotrakking guidato, anche perché la zona, ricchissima di storia, merita davvero.







lunedì 3 aprile 2017

Maratona di Roma 2017





L'immancabile maledizione pre maratona che mi colpisce quasi ogni gara, anche stavolta non ha mancato il bersaglio. Il giorno prima infatti sono stato male e l'ho passato sul divano, quasi incapace di stare in piedi per più di cinque minuti. Inutile dire che ciò ha contribuito ad accrescere l'ansia che mi ha tenuto sveglio tutto il giorno impedendomi di riposare. Però non tutti i male vengono per nuocere, in questo modo sono crollato subito dopo cena e mi sono svegliato un pochino meglio del giorno prima.



Arrivo al Colosseo con Aldo, che ho incontrato sulla metropolitana, e il tempo è brutto. Ecco di questo non mi preoccupo, anzi. Se qualcuno ha patito la pioggia e la mancanza di sole, lo ammetto, è colpa mia. Per tutta la settimana precedente ho fatto la danza della pioggia sperando che oggi non ci fosse il sole, capace di togliermi le energie peggio di un vampiro assetato. Per andare sul sicuro poi mi sono tagliato la barba e l'ho sacrificata agli dei bruciandola su un altarino. Ha funzionato! Non credevo di avere queste capacità esoteriche...

Comunque il mio cambiamento è stato così radicale che quando incontriamo il G6, tutti mi salutano come se fosse la prima volta che ci vediamo dicendomi "Piacere di conoscerti". Solo dopo qualche sguardo perplesso mi riconoscono.



Inizia la gara e il cielo diventa sempre più grigio. Tutto previsto, come direbbe la profetessa Cassandra.

Già alla Garbatella ho perso il gruppetto del G6, tranne Aldo. 
Contento che non ci sia il sole inizia a piovere. Non tanto, ma quanto basta perché l'acqua renda scivolosi i san pietrini. Acqua che rese Roma l'eterna città grazie ai suoi acquedotti e che, una volta distrutti, ne decretò la caduta. Allo stesso modo un podista vestito da centurione scivola davanti a me sull'acqua inscenando un'altra caduta, dolorosa, anche se meno fragorosa.
Schivando i cocci romani riprendo la corsa, frustato da un forte vento e dalla pioggia. Tuoni e fulmini ci illuminano, manco si fosse scomodato Giove per salutarci. 
Sorpassiamo il ristoro del decimo chilometro dove intravedo Luigi e Antonio dei Road runner, impegnatissimi con la distribuzione dell'acqua. Li saluto con un urlo, ma c'è troppa gente, e proseguo.
Il freddo e la pioggia iniziano a farsi sentire e, forse, anche la maledizione di ieri. Fatto sta che ho già una crisi ed inizio a pensare che sarà difficile correrla tutta così... 
Per non pensarci accendo la musica e questa mi viene subito in soccorso. Parte una delle mie canzoni preferite per correre: 500 miles dei Proclaimers. Vi risparmio tutta la traduzione, anche se meriterebbe la versione integrale. Il ritornello però non posso non citarlo, ovviamente tradotto:

Ma io camminerei 500 miglia
E ne camminerei 500 ancor
Solo per essere l'uomo che ha camminato 1000 miglia per cadere davanti alla tua porta

Inizio a canticchiarla con il solito sorriso ebete del miracolato stampato sul volto e la crisi se ne va.
Arriviamo sul lungo Tevere e anche se qualche volta mi perdo Aldo, poi lo recupero sempre. Ci trova anche Marco, che si aggrega proprio quando arriva il secondo grande scroscio che ci inzuppa definitivamente. Per limitare i danni cerchiamo di ripararci inutilmente sotto le piante, ma per fortuna la pioggia dura poco. Verso il diciottesimo incontro l'avvocato, compagno di corse della domenica, il quale mi offre una spugna che uso per asciugarmi un pochino. Lo saluto contento e proseguo.
All'altezza di San Pietro continuiamo spediti e mi attacco all'orologio per mandare messaggi alla mia famiglia che, in teoria, mi aspetta dalle parti di Via delle Milizie per incitarmi. Quando ci passiamo però non vedo nessuno e tiro dritto, un pò sconsolato, mi mangio un gel per tirarmi su il morale e mi devo pure fermare a fare pipì. Non ce la facevo più...
Riparto, conscio di essermi perso Aldo e Marco per la sosta, ma quando arrivo sul lungo Tevere, poco prima dello stadio olimpico, li riaggancio. Attraversiamo il ponte, consapevoli che fra poco ci sarà la salita della moschea, il vero semaforo della maratona. Speriamo di vedere la luce verde, o almeno la gialla... Poco prima raggiungo Annalisa Minetti, e la supero, giusto in tempo per iniziare la salita. 
Pur decelerando un pochino, non crollo, la luce verde continua a rimanere accesa fino alla discesa e così arrivo al trentesimo contentissimo. Purtroppo mi sono perso per strada Marco e Aldo, così proseguo da solo riaccendendo la musica.
Dato che il secondo appuntamento con la famiglia era al trentacinquesimo chilometro, mi riattacco all'orologio e scopro che sono tutti in attesa del mio passaggio. Speriamo.
Imbocco il sottopasso del lungotevere Flaminio ed eccole li: mia madre, Cassandra e sua madre. Senza fiato mi sbraccio salutandole finché non mi vedono e felicissimo inizio la salita verso il tratto finale.
Da qui in poi due anni fa incontrai il famoso muro. Ora sono all'Ara Pacis e sembra che vada ancora tutto bene. Le energie sono ancora sufficienti, i dolori alle gambe quasi non li sento, per cui tiro dritto e a Largo di Torre Argentina, dove ci arrivai sulle ginocchia, sfreccio ancora bene, soprattutto perché in cuffia mi parte la musica di Rocky IV. Il pezzo è War di Vince DiCola, e quando mi alleno ha sempre un esito dopante su di me. Giunto a via del corso con questa musica nelle orecchie l'effetto è amplificato dal muro di gente ai lati della strada. Cerco di trattenere la commozione, ma la gente mi guarda indicandomi come un sofferente portatore di croce. Mi viene da ridere e piangere allo stesso momento, soprattutto quando supero un tizio vestito con la tutina dell'uomo ragno.
A piazza del popolo spengo la musica, non riesco comunque più a sentirla e mi devo concentrare per non cedere. Via del Babbuino è stretta e insidiosa, ma quando arrivo a piazza di Spagna vedo il cartello lampeggiante: indica 3:28!!!
Non ci credo!
Mi tiro un ceffone mentale dicendomi: "Aspetta a cantar vittoria! C'è la galleria di via Milano"
Stringo i denti ed entro nel tunnel, quello buio e in salita. Arrampicandomi a testa bassa, cercando di evitare gli stremati, diventando sordo alle urla delle articolazioni torturate, arranco finché non vedo la luce. Sono fuori. Sono in discesa? Si! Sto scendendo verso piazza Venezia.
Giro la curva ed ecco il cartellone che lampeggia il tempo di tre ore e trentanove minuti. Come una sirena mi attira verso di lei e io accelero. Non voglio farmelo scappare, quel tempo deve essere mio!
Quando taglio il traguardo scoppio finalmente a piangere di gioia. Mi chino sulle transenne finché qualcuno mi bussa per vedere se sto bene. Io mi rialzo felicissimo e mi avvio a prendere una medaglia meritata come non mai, ridendo e piangendo allo stesso tempo.
3:38:58! Non pensavo di poter fare questo risultato.
Grazie a Stefano per i consigli preziosi e che ogni volta mi sistema i miei molti guai muscolari. Grazie al G6 per l'allenamento assieme e la tabella del capitano che ho cercato di seguire in differita, agli amici milanesi per i lunghi, ai road runner e a Luigi e l'avvocato per aver condiviso qualche serata di allenamento con me in questi mesi bui. 
Grazie ai miei genitori e a Cassandra che sono scesi a vedermi, un regalo bellissimo.