Torno a
milano, dopo cinque anni dalla mia prima maratona, corsa proprio qui, su queste
strade lastricate che fanno impazzire le mie articolazioni peggio dei
sanpietrini, dove, se si è fortunati, si possono anche vedere dei milanesi
imbruttiti che litigano con le persone del servizio gara, invece di incitare e
applaudire.
Milàn lè un
gran Milàn, da vedere, da vivere, da bere e da correre su un bel percorso vario
tra storia, arte e architettura moderna.
Il ritorno
al passato però mi sta lasciando una strana sensazione che ancora non riesco a
definire.
La notte
prima della gara non dormo, mi rigiro nel letto sperando di svenire per la
stanchezza, prima o poi. L'ansia mi fa battere forte il cuore, quasi come se
fosse la mia prima maratona, come se non sapessi cosa aspettarmi. Invece è la
mia settima, e Milano l'ho già fatta, quasi due volte. L'ultima volta infatti
furono 32 km di staffetta, appena prima di partire per Roma.
Purtroppo
l'ansia notturna nasce tutta dalla settimana precedente, trascorsa in uno stato
di depressione vittimale a causa di un paio di fastidiosi dolori agli stinchi
che mi hanno fatto zoppicare fino a venerdì, quando il dolore è svanito.
Un'oretta di
corsa senza fitte mi ha restituito un pochino di fiducia. Purtroppo mi sono
reso conto che quella corsa mi è costata molta fatica, troppa. Come se non
fossi allenato.
Forse il
caldo, forse il terrore di farmi male, forse la paura di esaurire le energie
dopo un quarto di gara, forse la delusione per non poter correre alla velocità
che volevo, arrivando ancora fresco come le ultime due maratone.
In poche
parole non ho dormito per diversi motivi.
Alle 5 sento
Flavio che si alza. Forse non ha dormito nemmeno lui.
Alle 6 mi
alzo anche io, dobbiamo partire prima perché pare ci siano dei lunghi controlli
antiterrorismo da superare. Mando un messaggio a Matteo, un avisino locatese
che doveva correre con noi, avvisandolo che per questo motivo anticipiamo il
treno di mezzora, ma già so di avergli dato troppo poco preavviso. Peccato,
avrei davvero voluto correre un pezzettino assieme a lui.
Poco prima
delle 7 corriamo in stazione ignari della sorpresa: il treno è stato
cancellato! E noi a Roma ci lamentiamo dei mezzi pubblici? Qui a Milano
effettivamente hanno risolto il problema dei ritardi: no treno, no ritardo!
Sì, ma anche
no maratona.
Piano B, o
meglio, piano P. Sveglio quel santo di mio padre che ci porta a tutta birra a
Milano.
Arriviamo
appena in tempo al Gate 1, ma la tanto paventata organizzazione si rivela un
controllo non troppo dettagliato. Del resto chi vuoi che si porti una bomba
nello zaino? Oddio, qualcuno con delle bombe l'ho anche visto, ma se le stava
bevendo.
Prima della
partenza incontro un pezzo del mio passato sportivo: l'ex presidente e l'ex
direttore sportivo del mio ex gruppo. La prima maratona l'ho fatta anche con
loro. Li saluto e vado per la mia strada.
Dopo il
cambio e il deposito borse io e Flavio ci separiamo un attimo perché siamo in
due griglie diverse. Io sono nella quarta. Mai stato così vicino alla linea di
partenza.
Ormai ci
siamo. faccio un pò di riscaldamento e sembra che le gambe rispondano bene.
Purtroppo c'è sempre quella strana sensazione che mi segue come un'ombra, ma
faccio finta di non conoscerla e mi metto a parlare con una transenna.
Quando
aprono le gabbie ritrovo Flavio e siamo pronti. Correrò con lui finché ce la
farò, più chilometri possibili, vedremo...
....7, 6, 5,
4, 3, 2, 1, partenza!!!
C'è il sole,
non fa freddo, anzi, fa caldino. I primi chilometri li passiamo a stretto contatto
con tanta gente a causa degli imbuti che si formano, non si può aumentare più
di tanto se non si vuole calpestare qualcuno. Con calma e pazienza superiamo e
cerchiamo di stare nelle zone con meno gente. Oltrepassiamo Porta Garibaldi e
poi si torna verso la stazione centrale, quindi ripassiamo da Porta Venezia e
iniziamo a correre verso il Duomo.
Lungo il
percorso ci imbattiamo anche in altri road runner, diversi road runner, solo
che sono di Milano. Ecco perché quando passiamo ci gridano tutti "Forza road
runner!!!!". Mi ero quasi illuso che il blog di Luciano avesse sfondato le
barriere capitoline e fosse diventato famoso in queste terre nordiche.
Il sole c'è,
non picchia tanto ma si sente. A volte però si sente anche un venticello freddo
che soffia a tradimento alle spalle, ma ci sta, non è così malvagio, anzi.
Verso il
decimo chilometro siamo ormai usciti dalla calca e inizio a capire che la
predisposizione logistica della maratona funziona veramente: in piazza del
Duomo, come da piano preventivato, troviamo Cassandra a salutarci!
Ci avevo
provato tante volte a darle una cartina con i punti e gli orari di passaggio
sul percorso della maratona, ma purtroppo si era spesso persa nei meandri delle
transenne e nella confusione del tifo. Perfino a Roma.
Ma stavolta
no. Lei è lì. Segnale incoraggiante dell'ottima riuscita di questa avventura
milanese.
Continuiamo
la corsa verso il castello sforzesco e al 14° siamo al biscottone di Wagner,
dove vediamo Cassandra uscire appena in tempo dalla metro e saltare per
salutarci.
Due su due,
e alè!
Scendiamo il
biscottone e Flavio nota che siamo in discesa. Capisco subito quello che vuole
dire: al ritorno sarà in salita...
Quando
torniamo però la strada sembra ancora in discesa! Quasi come la misteriosa
strada in salita dei castelli romani che però è una discesa?
Non ci
scomodiamo a chiamare il CICAP e Piero Angela, ringraziamo e continuiamo.
Al ritorno a
Wagner vediamo il primo milanese imbruttito che con una mano tiene un
passeggino e con l'altra una bambina piccola in braccio. Sta sbraitando con gli
inservienti. Sembra che voglia attraversare la strada e chi non glielo permette
rischia di essere malmenato. A dieci metri c'è il sottopasso, ma il milanese
imbruttito non si "abbassa" a questa umiliazione.
Subito
dietro ai litiganti, Cassandra si gode lo spettacolo sgranocchiando delle
noccioline e quasi non ci vede, se non fosse per noi che la salutiamo.
Proseguiamo
e la strada inizia a portarci verso l'esterno della città, fino al 24° km, nei
pressi di piazzale Lotto. Cassandra è sempre lì, come un mastino che non molla
mai la presa.
Fantastica.
Purtroppo da
qui le gambe iniziano a farmi sinistramente male. Quell'ombra che mi segue si
fa sempre più vicina.
Per non
cadere tra le sue spire, mi faccio distrarre dagli ammiratori del mio
cappellino con le ali. Devo dire che a Milano sono stati più del solito. Mi
indicano e mi salutano, alcuni ridono divertiti, alcuni mi lanciano sguardi
ammirati e nostalgici dell'era dei cartoni animati. Non posso fare a meno di
farmi trasportare da questo buon umore e saluto come una star che passa sul red
carpet.
Al 26° siamo
a San Siro e io inizio a sentire di non averne più. Le gambe fanno male, sento
anche la fatica come se avessi già fatto 32 km. Non va affatto bene.
Avverto
Flavio, con cui mi sono goduto la gara fino a quel momento. Probabilmente non
ce la farò a stargli dietro fino alla fine.
Difatti al
28° lui inizia ad allungare di qualche metro al minuto.
Lo lascio
andare, non ce la faccio a tenere quel passo, le gambe protestano e non hanno
tutti i torti. Mi sento sempre più stanco e provato.
Mi sento
sempre più distrutto e sfinito, come non mi capitava da anni in una corsa. Il
problema è che mancano ancora tanti chilometri.
Stiamo per
girare verso il parco di Trenno quando un signore anziano mi vede e alzando la
mano mi indica sorridendo in modo saggio, quindi mi lancia un avvertimento:
"Chi si ferma è perduto!".
Lo annovero
come incoraggiamento, mi aggrappo ai sorrisi degli spettatori e a chi mi incita
suggerendomi di usare le ali del cappellino. Ci rido su, mi lascio trasportare
per qualche metro in più, ma so che non potrò farcela ad arrivare in fondo in
questo modo.
L’ombra
ormai mi ha preso, ce l’ho addosso, mi appesantisce, mi schiaccia, mi sussurra.
Dice che c’è un modo più facile, immediato, indolore. Dice che posso smettere
di soffrire, di faticare. Basta che mi fermi. C’è la metro, o al limite l'autobus.
Il lato
oscuro della forza.
Ma io non
voglio smettere di correre. Ora che sono qui non ci penso neanche lontanamente
a fermarmi, manco morto.
Accendo la
musica e cerco Flavio, laggiù, oramai molto avanti. Spero che si stia
divertendo.
Ed ecco che
la musica mi viene in soccorso, come una preghiera invocata agli dei:
We're Not Gonna Take dei Twisted sister. Sembra fatta apposta per aiutarmi.
Oh, non
lo accetteremo
No, non
lo accetteremo
Oh, non
lo accetteremo più
Abbiamo
il diritto di scegliere
E in
nessun modo lo perderemo
Questa
è la nostra vita
Questa
è la nostra canzone
E così si va
avanti sulle note di questa vecchissima canzone hard rock, diminuendo la
velocità, arraffando frutta, acqua e gel ai ristori, salutando gli ammiratori
delle alette. Si arriva così in zona viale certosa, dove c’è un piccolo
tornante di persone che salgono verso l’alto. Ecco Flavio che sale.
Non sono
poi così lontano e i rifornimenti appena fatti mi danno l'illusione che forse
potrei raggiungerlo, se la scarpa non iniziasse a farmi malissimo. Sul
lunghissimo rettilineo mi devo fermare due volte per sistemarla. Mi siedo
perfino, intuendo che ogni movimento potrebbe essermi fatale.
Per fortuna
mi rialzo senza problemi, riparto e al Portello eccola lì: Cassandra mi saluta
e vedendo in che condizioni sono, si trattiene dal farmi la solita, doverosa,
domanda. Grazie Milano, la tua metropolitana ha fatto il miracolo e mi ha reso
felice, grazie Cassandra di esserci sempre. Ti amo.
La strada
però prosegue, mancano ancora sette chilometri. L’ombra è sempre lì, che mi
parla, ma io non la sento, ho ancora i Twisted sister in concerto nella mia
testa.
Consumo gli
ultimi gel, prima uno e siamo a meno 5 km. Poi arrivo a corso sempione, quindi
consumo l’ultimo gel e l’ultima stilla d’acqua, e siamo a meno due. Ripassiamo
da porta garibaldi.
Manca poco,
sento il traguardo vicino, ma ancora non lo vedo, così come ormai non vedo più
l’ombra. Evidentemente si è stancata di seguirmi, finalmente.
Ecco di
nuovo piazza repubblica, siamo quasi giunti alla meta. Una salitina si
trasforma in una scalata, ma è l’ultima, poi si scende verso l'agognato
traguardo. C'è un sacco di gente festante ai lati della pista, ma io non sento
più niente.
Sento solo le lacrime che si sporgono sul precipizio, come Greg
Louganis sul trampolino, pronte a tuffarsi. Ed eccole
lì, come sempre, attese e strameritate, che lasciano andare tutto quello che
avevo dentro, concedendomi la libertà dai miei pensieri negativi e la tanto
sognata felicità che ho rincorso per 42 chilometri.