giovedì 26 maggio 2016

CENTRALE MONTEMARTINI

Uno dei musei più originali e belli che abbia mai visto, non solo a Roma, davvero non credevo che una visita a questo museo potesse risultare così bella. Del resto è in linea con la mia strana teoria che se ci si imbarca in qualcosa, che già in partenza ha scarse prospettive di riuscita, il risultato è quasi sempre migliore delle aspettative.
La centrale Montemartini era la prima centrale elettrica pubblica di Roma, inaugurata nel 1912 e rimasta attiva fino al 1953. Il complesso si trova sulla via ostiense, ovvero l'arteria che collega la capitale con Ostia. Siamo alla Garbatella, quartiere popolare nato per ospitare la forza lavoro che avrebbe dovuto scavare un nuovo canale navigabile parallelo al Tevere, per collegare meglio Roma al mare. Il canale però non fu mai realizzato perché ritenuto superfluo, allo stesso tempo la zona è destinata a diventare il nuovo polo industriale della nuova Roma.
Già dal 1907 nascono i famosi Gazometri, i mercati generali e il mattatoio, nonché la centrale elettrica Montemartini.
Dopo la sua dismissione, questa enorme struttura viene lasciata morire in modo pietoso, diventando ricovero di sbandati e senza tetto. Solo negli anni '80 si inizia a riqualificare gli edifici che, da metà degli anni '90, diventeranno centri culturali per convegni e mostre temporanee.


Nel 1995, a seguito di un'infiltrazione d'acqua in alcune sale dei musei capitolini, si decide di trasportare le collezioni che vi erano contenute. Doveva essere una situazione temporanea, difatti nel 2005 i lavori di ristrutturazione finirono, ma l'allestimento era talmente bello, unico e azzeccato, che si decise di lasciarlo permanentemente. Ai musei capitolini invece sono stati esposti altri oggetti e reperti che altrimenti, essendo tenuti nei magazzini per mancanza di spazi, non avremmo mai potuto ammirare.
Subito all'interno, si inizia a notare il contrasto tra archeologia classica e industriale: davanti ad un macchinario della centrale è stata posta una statua acefala, che probabilmente era il modello della statua di venere utilizzata per il tempio che Cesare fece costruire nel suo Foro.
Camminando nei grandi spazi, oggi imbiancati e ristrutturati, rimangono comunque testimonianze della vecchia centrale, parti di macchinari e vetrinette con le originali e gigantesche chiavi inglesi usate dagli operai.
Volgendo lo sguardo verso l'alto, non si possono non notare delle tramogge: le bocche che restituivano le scorie di carbone residue dei forni accesi per produrre l'energia. Queste venivano caricate su dei carrelli per essere poi imbarcati su dei camion e distribuiti dal servizio giardini di Roma, che li usava come materiale drenante per le aiuole. Quando si dice che una volta non si buttava via nulla.
In queste prime sale sono stati raccolti i reperti ritrovati nella zona del quartiere Esquilino, uno dei sette colli di Roma. Ancora oggi, se si dovesse scavare sotto quel quartiere, si troverebbe un'immensa necropoli databile dall'800 a c fino alla tarda repubblica, quindi poco il 20 a c.
Dato che nella fase imperiale la Roma repubblicana è stata praticamente distrutta e rifatta, questa è una delle rarissime fonti di informazione che sono rimaste di quel periodo.
Da qui si inizia a capire la particolarità di questo museo, che ha organizzato le stanze per ambiente: ovvero tutto quello che è stato ritrovato in uno scavo è stato esposto in un unico ambiente, così da cercare di rendere l'idea di quello che era la città in quello specifico momento storico del passato.
L'archeologa ci mostra uno dei più antichi affreschi romani, datato attorno al terzo/quarto secolo a c. Staccato da una tomba a camera appartenente ad un'importante famiglia che ebbe a che fare con le guerre sannitiche. Probabilmente era una tomba dei Fabi. Il dipinto non è solo uno dei più antichi affreschi romani, ma è tra i primi che raffigurano il popolo romano vittorioso in battaglia, in questo caso con scene delle guerre sannitiche.
Spostandoci nella seconda stanza vediamo un urna che ha delle caratteristiche Greche, quindi più orientali rispetto ai romani. L’urna dovrebbe risalire tra il terzo e il quinto secolo a c, ma dato che la Grecia fu conquistata dai romani nel 146 a c, significa che per allora vi erano già state delle influenze greche sui romani, tanto che arrivarono fino ad erigere le proprie tombe in stile greco e con ricche decorazioni. Ciò fino a che non furono emanate leggi che vietarono il lusso nelle tombe, ma certe usanze però non si persero. Già da allora sembra che si dicesse “Fatta la legge, fatto l’inganno”. Così l’urna in marmo pregiato che vediamo qui esposta non sarebbe stata consentita, se non fosse stata inserita, e quindi nascosta, in un’altra urna in tufo peperino, molto più povero. Ne vediamo altre, alcune perfino in alabastro.
Passiamo in altre stanze dove ci sono ambienti dedicati non più alle tombe, ma all’interno delle domus. Qui ci sono dei mosaici di una domus ritrovata nei pressi della stazione Termini. Si tratta di mosaici policromi di una casa molto ricca in cui si vedono dei pesci rappresentati con una certa influenza ellenistica, con tessere grandi all’esterno che diventano sempre più piccole mano a mano ci si avvicina al centro del disegno. Per crearlo è stata usata una tecnica difficilissima e antichissima: viene realizzato prima un disegno con degli speciali attrezzi, quindi, su un manto di malta vengono messe le tessere ricavate da delle bacchette.
Lasciamo la sfera funebre e privata della tarda repubblica, per arrivare al passaggio tra la repubblica e l’impero con una serie di oggetti provenienti da sepolcri di quel periodo. I reperti provengono dalla zona di via Statilia e riguardano gruppi di liberti, ex schiavi che una volta liberati potevano anche fare carriera e diventare molto ricchi.

Ci sono delle statue rappresentate con una realisticità tipica romana: i volti delle statue avevano le rughe, a cui si attribuiva il significato di saggezza e virtù. Vediamo statue di uomini con la toga, mentre le donne invece indossano la tunica.
Altri tre personaggi sono scolpiti così bene, rughe comprese, che le loro espressioni li fanno sembrare vivi.
Uno dei pezzi più importanti di queste sale è il togato Barberini. Tra il '700 e l’800 era uso comune andare a cercare reperti antichi da poter aggiungere alla propria collezione e questo ha la particolarità di venir scoperto senza la testa. Oggi lo vediamo intero, ma solo perché gli venne aggiunta una testa non sua, cosa che si faceva pur di avere una statua completa, che pare risalga al primo secolo a c.

Nelle domus c’era di solito un atrio dal quale passavano tutti gli ospiti. In quest’atrio si teneva un armadio in cui venivano conservati i ritratti, in cera, bronzo o marmo dei propri antenati. Queste venivano utilizzate, facendole indossare ad altre persone, durante i funerali, per far si che i propri cari estinti potessero partecipare alla funzione funebre.
La toga era obbligatorio indossarla quando si usciva e si partecipava alla vita pubblica perché elemento che contraddistingueva i cittadini romani dagli stranieri.
Tra le statue presenti non poteva mancare quella di Ottaviano Augusto, il primo imperatore di Roma. Questi non era un bell’uomo, non era capace a livello militare, ma sapeva mettere la persona giusta al posto giusto, cosa che gli permise di diventare uno dei più grandi imperatori romani. Il suo modo di fare politica era attraverso la propaganda, ovvero attraverso le immagini. Ottaviano infatti si faceva rappresentare in tre quarti, come Alessandro Magno. Nei luoghi pubblici c’era sempre un’immagine di Ottaviano, che non era rappresentato ne troppo vecchio ne troppo giovane.
Vediamo anche una statua di Agrippa, il generale comandante dell’esercito che sposò la figlia di Ottaviano.
Dopo tutto questo ben di Dio ci rendiamo conto che siamo solo a metà del percorso, forse meno, manca infatti il secondo piano del museo.
Saliamo le scale che partono dalla base di due immense macchine, che una volta affacciati al piano superiore, scopriamo i motori diesel della ditta Franco Tosi di Legnano. Inaugurati nel 1933 alla presenza di Mussolini, furono dismessi nel 1963. I motori oggi sono stati restaurati e lasciati qui come cornice di questa spettacolare sala che arricchita dai reperti antichi, crea una effetto estremamente suggestivo.
Vediamo subito la statua della dea Atena, che mai i greci quando la scolpirono, avrebbero potuto immaginare dove sarebbe stata esposta circa duemila anni più tardi.
In questa stanza sono state inserite varie copie di statue originali greche del V secolo a c fatte dai romani qualche secolo dopo, quindi comunque molto antiche. Dopo la conquista della Grecia infatti, quasi tutti i romani volevano avere in casa almeno un pezzo di Grecia, solo che non c’erano abbastanza originali per tutti i romani e così venivano fatte delle copie. Un po’ come noi oggi che appendiamo in casa i poster dei nostri pittori preferiti.
Degli originali Greci sopravvissuti fino ad oggi, molti sono rimasti in patria e alcuni sono arrivati a Roma, mentre la stragrande maggioranza delle statue greche sparse per i vari musei del mondo, sono copie romane in marmo di statue greche in bronzo.
In questo primo ambiente del secondo piano, si è voluto rappresentare una disposizione di come poteva essere il cortile di una domus con le varie divinità del pantheon greco: Giove, Minerva, Eracle, Venere ecc...
Ci sono però anche Alessandro Magno e Cleopatra. Quest'ultima è particolarmente bella, anche se in realtà non si sa se sia proprio la regina egizia, ma dall’acconciatura tipica gli si è voluto questo nome.
Cleopatra ultima regina d'Egitto, fu odiata dai romani che la dipinsero nel modo peggiore possibile: meretrice senza scrupoli. In realtà pare fosse una donna di una cultura smisurata che parlava svariate lingue. Visse a Roma per due anni come compagna di Giulio Cesare, poi fu amante di Marcantonio e cercando infine di salvare la sua patria, tentò di avvicinare anche Ottaviano,. che però non ne volle sapere e le preferì la conquista dell'Egitto.
Fatto sta che in questo breve periodo tutte le donne romane cercavano di imitarne il trucco, l'acconciatura e tutto quello che era la moda egiziana.
Altro esempio che indica anche in questo caso, come in un certo senso sia stato l'Egitto a conquistare il cuore dei romani.
Pochi metri più avanti c'è una meravigliosa statua di Artemide, la dea della caccia. Sorella gemella di Apollo, era anche dea della verginità e del parto. Questo perché il mito racconta che nata subito prima del fratello gemello aiutò la madre a far nascere Apollo.
Essa è l'unica dea ad essere rappresentata con il corto chitone, il gonnellino che mostrava le gambe, ma solo perché doveva correre nei boschi quando cacciava. Altra statua importante è quella di Agrippina, la madre di Nerone, ritrovata sul Celio nei pressi del tempio di Claudio, suo marito, è in marmo nero e mostra quale fosse lo stile delle donne di quel tempo, con il capo velato.

Passiamo poi oltre dove ci sono una serie di teste ritrovate sul campidoglio, dove c'era il tempio di Giove e quello di Giunone moneta, ovvero che ammonisce. Sul colle, accanto a quest'ultimo tempio, c'era anche la zecca ed è proprio da qui che nasce il termine moneta.
In un'area un po' più riparata del museo troviamo diversi reperti provenienti dal tempio di Apollo sosiano. Ci sono delle colonne e una edicola. Poi, quasi messe in disparte, spuntano la testa, un piede ed un braccio di una colossale statua che doveva essere alta almeno otto metri. Databile al secondo secolo a c, fu rinvenuta all'inizio del 1900 durante gli scavi dell'area sacra di torre Argentina, dove sono presenti quattro templi circondati da un recinto. Questa statua arriva da uno di quei templi in cui però i romani non entravano mai. Solo i sacerdoti e le sacerdotesse potevano accedervi. Gli altri rimanevano fuori dove c'era un altare per le offerte. Dentro il tempio vi era la statua del dio al cospetto del quale solo i sacerdoti vi si potevano trovare.
Questa statua viene definita di tipo criselefantino: come quelle greche avevano le parti nude in marmo, mentre le parti vestite con altri materiali come il bronzo, l'oro, l'argento. Facile capire perché non si sono trovati altri resti. Questa statua rappresenta la fortuna del giorno presente.

Il cuore del museo però è un gruppo di statue originali greche risalenti a 2500 anni fa. Pare che siano perfino state realizzate dalla stessa bottega che fece il Partenone di Atene. Queste statue, prese in Grecia dai romani e messe sul frontone del tempio di Apollo sosiano, rappresentano l'amazzonimachia: una delle fatiche di Ercole, la nona, che era quella di rubare un preziosissima cintura indossata dalla regina Ippolita, capo delle amazzoni.
Per riuscire nell'impresa Ercole fa scoppiare una guerra.
Questo era uno dei miti greci in cui si voleva dimostrare la supremazia dell'uomo sulle donne.
Al centro c'è Atena, a fianco è accompagnata dalla dea della vittoria Nike con l'eroe Teseo che sta uccidendo ciò che potrebbe essere un'amazzone.
Dall'altro lato dovrebbe esserci il busto di Ercole, anche se ne rimane poco. Ercole che combatte contro la regina Ippolita.
Ci sono poi altre scene di combattimento, ma sempre più piccole, ciò perché era pensata come composizione che doveva avere al centro Atena in grande e poi le altre figure sempre più piccole.
Prima di passare all'ultima sala, ci imbattiamo in una statua in marmo nero, la Nike dei Simmaci risalente quarto secolo d c. I Simmaci erano una potente famiglia romana pagana che fece una lotta furibonda con sant'Ambrogio per mantenere questa statua all'interno della curia. In questo edificio infatti si riunivano i politici e all'inizio del loro mandato dovevano giurare fedeltà alla statua della dea della vittoria Nike.
La spuntò sant'Ambrogio.
Entriamo nella sala caldaie, il cuore della centrale dove veniva generata l'energia elettrica. Questi immensi macchinari sono stati smontati, ma ne rimane ancora una delle quattro che vennero utilizzate fino all'avvento del diesel. Dopo essere stata restaurata, la possiamo ammirare in fondo alla che occupa uno spazio grandissimo.

Al posto delle altre caldaie sono stati disposti i reperti ritrovati nelle zone degli horti, che non erano come oggi dei terreni utilizzati per coltivare insalate, zucchine e pomodori, bensì erano dei meravigliosi giardini che circondavano le ville dei grandi personaggi della storia romana. Pare che tutto intorno a Roma vi fossero una marea di horti curatissimi con piante provenienti da ogni parte dell'impero, con animali esotici, statue, fontane e giochi d'acqua. Negli horti i padroni amavano trascorrere il loro tempo libero, il famoso ozium romano, ovvero ci si dedicava al riposo ma soprattutto all'arte e allo studio.
C'erano diversi horti famosi: quelli di Vitullo sul Pincio, quelli di Cesare sul Gianicolo, quelli di Mecenate nella zona dell'Esquilino, di Licinio in zona Termini, di Sallustio nell'attuale quartiere Ludovisi.

Una delle nove ninfe del corteo di Apollo è forse una delle statue più belle ed originali che abbia mai visto. Non è la classica statua in posa plastica, pare quasi una scultura moderna talmente è fuori dalle classiche rappresentazioni, almeno per quella che è la mia scarsissima cultura.
Passeggiando ammiriamo i resti di un tempio di Apollo, alcuni reperti funebri della necropoli di San Paolo, oggetti di alcune Domus e due statue dei Simmaci, rappresentati nell'atto di dare l'avvio ai giochi nel circo massimo lasciando cadere uno straccetto.

L'ultimo tassello, è proprio il caso di dirlo, è un grandissimo mosaico proveniente dagli horti di Licinio e risalenti al terzo secolo d c. Rappresenta le venationes: i giochi che si facevano all'interno del Colosseo in cui si scontravano gladiatori con le bestie feroci. Prima di questo però vengono anche raffigurati i cacciatori che vanno a catturare le belve per portarle al Colosseo. Cinghiali, tigri, leoni, orsi, ogni sorta di fiera proveniente da tutte le province, venivano portati al Colosseo per essere semplicemente massacrati.
I romani non erano perfetti, per lo meno oggi non lo fanno più, dai.




mercoledì 18 maggio 2016

ARA PACIS

La prima volta che vidi l'Ara Pacis fu in occasione delle seconde Tancrediadi, quando eravamo alla ricerca delle opere lasciate da Caravaggio a Roma. Fui un po' distratto dall'imponenza del mausoleo di Augusto che sta lì di fronte, ma mi son segnato che questo museo dovevo vederlo.
Appena entrati nel museo ci troviamo di fronte un plastico di come doveva essere il campo marzio ai tempi dell'Ara Pacis.
Il campo era delimitato dal Tevere e andava a finire quasi fino al centro della città. Nel plastico sono presenti quei monumenti che hanno a che fare con il primo vero imperatore, Ottaviano Augusto. Costui decide di andare a colmare gli spazi del campo marzio, facendosi aiutare dal suo braccio destro, Agrippa, che vi costruirà il primo Pantheon. Anche se in una versione molto più piccola, aveva già la sua forma circolare. Quello che vediamo oggi è un suo rifacimento realizzato dall'imperatore Adriano nel terzo secolo, quindi moltissimi anni dopo l'epoca di Augusto.
Sempre nel campo marzio, a fianco del Pantheon, c'era anche un grande portico in cui si facevano celebrazioni e assemblee. Fino all'epoca di Augusto, essendoci ancora la repubblica, in questo portico il senato dialogava direttamente con il popolo che liberamente poteva partecipare a queste assemblee e discutere le decisioni da prendere.
Alle spalle del Pantheon invece c'erano le terme di Agrippa che si sviluppavano fino a dove oggi c'è Largo di torre Argentina. Ecco svelate le dimensioni del campo marzio, da Piazza del popolo a Largo di torre Argentina.
Durante la fase repubblicana, quindi prima di Agrippa questa zona era stata destinata solo esclusivamente alle esercitazioni militari.
Sempre Agrippa fece stendere una lunga strada che dal Pantheon tagliava il campo marzio ed arrivava al Mausoleo di Augusto.
Fu l'imperatore a far costruire il suo monumento funebre dopo averne visto uno in Grecia. Pensò che fosse la giusta opera commemorativa in cui, oltre a lui, si sarebbero potuti seppellire anche tutti i membri della sua famiglia. Non solo, successivamente ad Augusto anche gli altri imperatori lo utilizzarono come luogo di sepoltura, almeno fino all'imperatore Nerva. Traiano infatti si fece seppellire nella sua colonna e Adriano costruì un mausoleo simile al di là del Tevere, quello che oggi è conosciuto come castel Sant'Angelo.
Il mausoleo di Augusto è una struttura a piramide circolare con un ingresso nel livello inferiore. Una volta entrati, seguendo i corridoi circolari si arrivava nel cuore del monumento, dove c'era la cella delle sepolture. In questo caso i defunti venivano bruciati e le ceneri raccolte in piccole urne, così da avere la possibilità di seppellire molte più persone.
Salendo verso la sommità, sopra la tomba c'erano moltissimi cipressi, scelti per le loro radici che scendono in verticale e che quindi alleggeriscono il loro carico sulla muratura. In cima invece spiccava la statua dell'imperatore.
Quasi a metà strada tra il mausoleo ed il Pantheon, più o meno dove oggi c'è Montecitorio, sorgeva una piccola struttura utilizzata per le cremazioni. Da qui partiva un'altra via che portava a due monumenti: un obelisco, che doveva funzionare come meridiana, e l'Ara Pacis. Dove oggi c'è san Lorenzo in Lucina, nei sotterranei sono state ritrovate parti delle lastre di marmo e bronzo su cui l'obelisco stendeva la sua ombra segnando quindi l'ora solare. Purtroppo pare che questa meridiana non abbia mai funzionato molto bene a causa di errori di calcolo: in pratica l'ombra non puntava mai correttamente l'ora esatta. Questo perché l'idea di fondo del costruttore era quella di far puntare l'ombra non sull'orario, ma sui segni zodiacali. L'ho sempre detto io che l'astrologia non è una scienza ma solo roba da ciarlatani.
L'Ara Pacis invece era l'altare della pace, costruito sempre da Augusto, ma dietro suggerimento del senato per celebrare il periodo di pace che l'impero aveva raggiunto proprio grazie all'imperatore.
L'altare venne costruito dopo due grandi vittorie: quella contro i Galli del nord Europa e quella contro le popolazioni ispaniche, annettendo così, assieme all'Egitto, un territorio vastissimo in cui Roma era il centro dell'impero. In questo modo Augusto poté dedicarsi alla sua crescita, completando il processo, iniziato da Giulio Cesare, di accentramento del potere in un unica persona.
Augusto però non viene mai chiamato imperatore, ma principe ovvero primo tra i pari. In parole povere significa che aveva accentrato su di sé tutte le più alte cariche: gran sacerdote, gran magistrato, capo dell'esercito, ecc... Nonostante ciò l'ultima parola spettava alla discussione all'interno del senato, anche perché sarebbe stato pericoloso per lui escludere il senato. I suoi successori che ci provarono infatti fecero sempre una brutta fine.
Chi ci rimise davvero fu il popolo, a cui venne sottratto il potere che esercitava nel partecipare alle assemblee con il senato.
Oggi l'altare della pace sta qui, davanti a noi, a pochi passi dalla sponda del Tevere. Come ci è arrivato qui?
Già dal 1500, nella zona della piazza di san Lorenzo in Lucina, iniziarono ad emergere molti frammenti dell'Ara Pacis. Non essendo stati riconosciuti, ma ritenuti reperti importanti, sono finiti in giro per il mondo in collezioni private o musei. Solo alla fine dell'ottocento uno studioso tedesco, Friedrich von Duhn, identificò questi resti come appartenenti all'Ara Pacis. Recuperando altre parti dell'altare che iniziò a studiare, si mise alla ricerca di quelle finite in giro per il mondo. Quando il lavoro di identificazione fu completo Mussolini decise di riassemblare ciò che era stato ritrovato, ricostruendo anche le parti mancanti. Del monumento originale oggi possiamo vedere circa il quaranta percento. E' sempre il Duce che decide di collocarlo dove è oggi, ovvero di fronte al mausoleo di Augusto.
Il monumento è ricchissimo di dettagli. Tutto l'altare è bianco candido, così come tutti i resti dell'antica Roma. In realtà anche l'Ara Pacis era coloratissima: blu, rosso, verde, giallo, colori vivissimi che, essendo di origine organica, col tempo sono andati perduti ma che con microanalisi si è comunque riusciti ad identificare.
Prima salire sull'altare possiamo vedere alcune parti ricostruite con il colore che doveva avere, giusto per provare ad immaginare l'effetto che faceva.

Avvicinandoci all'altare, si capisce subito che in realtà non è piccolo come sembrava.
L'archeologa ci spiega che quando si costruiva un altare, lo si faceva in aperta campagna: si metteva al centro l'altare, la tavola su cui si facevano le offerte, e lo si circondava con un recinto di legno.
Augusto ed il senato in questo caso decidono di fare le cose in grande e lo costruiscono tutto in marmo completamente decorato in modo da dare un preciso significato.
Tutto il fregio inferiore ha un tema vegetale, con piante e fiori che si intrecciano e simboleggiano la ricchezza proliferante e quindi il buon governo.
Nella facciata principale c'è l'ingresso con la scalinata che conduce all'interno, dove potevano entrare solo i sacerdoti che gestivano l'altare e praticavano le offerte che venivano fatte una volta l'anno. Il 30 gennaio, con la processione comandata dai sacerdoti e seguita dai grandi personaggi della Roma imperiale, si concludeva con le offerte del popolo.
A lato delle scale ci sono due pannelli: nel primo, quello meno conservato, si intuisce la scena della lupa con i due gemelli Romolo e Remo. Assieme a loro c'è anche il dio Marte, che secondo la leggenda ne sarebbe il padre.
Nell'altro pannello invece vediamo Enea che sta praticando un sacrificio. Questi, secondo il mito, sfuggito al massacro di Troia, era il padre di Ascanio detto anche Iulo, fondatore della città natale di Romolo e Remo Albalonga.


Sotto gli occhi vigili delle inservienti, facciamo finta di nulla e assumiamo l'austera aria da sacerdote, salendo le scale per entrare all'interno del monumento. Al centro di esso c'è il grande altare, rialzato da altri gradini, ad indicare che era il punto più sacro. Tutto attorno sulle pareti erano rappresentate delle assi di legno, in modo da ricordare il recinto degli altari più poveri.
Sull'altare dove venivano poste le offerte potevano essere sacrificati degli animali, in questo caso il sangue degli animali avrebbe sporcato l'altare. Per pulirlo vi veniva gettata sopra dell'acqua che defluiva a terra fino a dei punti precisi sul pavimento che la convogliavano in canali, facendola uscire all'esterno.

Anche l'altare aveva un apparato decorativo di cui purtroppo non è rimasto molto. Si vede solo una processione di figure femminili, le vestali, le sacerdotesse che anch'esse praticavano i rituali. Queste erano l'ordine sacerdotale più importante dell'antica Roma: avevano il compito, sin dal secondo re di Roma Numa Pompillio, di tenere sempre acceso il fuoco del dio Vesta all'interno dei Fori imperiali. Se si spegneva facevano un bruttissima fine, anche perché la leggenda diceva che in quel caso Roma sarebbe caduta.
Nel retro dell'altare si scendono le scale e ai lati troviamo ancora due pannelli. Sul primo sembra che sia rappresentata la dea Tellus una delle dee madre, precedente al culto romano.
Dall'altra parte rimane solo un frammento ma si capisce che si tratti della dea Roma.
Andiamo ora ad ammirare la lunga processione rappresentata sul lato destro, che è quello con più parti originali. Si nota subito Augusto a capo della processione che, solitamente rappresentato come capo dell'esercito, qui invece è togato, quindi in questo caso è il capo di stato. Dietro di lui ci sono una schiera di personaggi fra cui compaiono sia donne che bambini. In questo modo lo si vuole rendere umano, non distaccato dalla vita comune.

I personaggi sono tanti, e ad elencarli sembra quasi che sfilino come una squadra di atleti che scendono nello stadio.
Subito dietro Augusto vediamo personaggi con un cappello a punta ed un'accetta. Questi erano i sacerdoti addetti alle offerte e sacrifici sull'altare. Viene poi il migliore amico, nonché fidato generale, Agrippa il quale sposò la figlia dell'imperatore. Subito sotto Agrippa c'è il figlio Cesare, poi una signora che potrebbe essere Livia, la moglie di Augusto, o Giulia la figlia. Segue Tiberio ancora ragazzo, che sarà il successore dell'imperatore, quindi una signora girata di spalle che tiene per mano un bimbo ed un uomo vestito da militare. Lei dovrebbe essere Antonina minore, nipote di Augusto, con il figlio Giulio Cesare e Druso, altro importante generale.
C'è poi un'altra famiglia che è quella dell'altra nipote Antonina maggiore con due bambini, uno dei quali si chiama Gneo, padre del futuro imperatore Nerone.
Ci spostiamo sull'altro lato per vedere la squadra sfidante.
Da questa parte mancano molte parti importanti, anche se non sembra. In realtà molte delle teste sono state aggiunte, quindi non sono originali.

Lo schema riproposto sostanzialmente è lo stesso: Ottaviano seguito dai togati con le loro corone d'alloro e un altro personaggio velato come di là era Agrippa, ma qui mancano i sacerdoti. Chiudono poi la processione altri membri famigliari con i bambini, la cui presenza è quella che di fatto desta più stupore perché raffigura scene di vita normale, non come quelle successive della Roma imperiale in cui scompare l'idea di famiglia e Augusto si trasforma in un condottiero che guida l'impero portandolo alla vittoria.
Anche se sembra difficile crederlo, l'Ara Pacis diventa quasi subito, nonostante l'origine, un monumento dimenticato. Viene utilizzato solo nel primo e secondo secolo dell'impero, nel terzo inizia ad essere poco frequentato, dopo di ché sopraggiunge l'oblio. Finisce perfino con l'essere completamente interrato e sepolto scomparendo fino al 1500.
Come si diceva non è completo, ma le parti mancanti sono ancora sotto i palazzi di San Lorenzo in Lucina. Sarò strano, sarò mediolanenses, ma il mio suggerimento di buttare giù quei palazzi, anche se abitati, per recuperare le parti originali e rimetterle al loro posto non piace a nessuno. Mah, sarò strano io.