Oggi
siamo a spasso in uno dei quartieri più ricchi e benestanti della
città, all'interno del quale esiste un vero e proprio gioiello: il
quartiere Coppedè, chiamato così in onore dell'architetto Gino
Coppedè. Questo visionario progetto, iniziò ad essere realizzato
nel 1919e in origine doveva contenere 18 villini e 27 palazzi.
Purtroppo l'architetto smise di lavorarci nel 1927, non riuscendo a
terminarlo. All'età di soli 61 anni Coppedè morì, lasciando il
progetto nelle mani di suo genero, Paolo Emilio Andrè, un bravo
architetto che purtroppo non aveva la genialità del suocero. Questi
si accontentò di terminare il quartiere nello stile più classico
del tempo, il liberty.
Coppedè
naque a Firenze nel 1876 da un intagliatore. Crescendo andrà
all'accademia e a 24 anni, appena terminata l'università, verrà
chiamato da un banchiere scozzese di nome Mckenzie per realizzare il
suo castelletto privato a Genova. Nel capoluogo ligure conoscerà
persone importanti tra cui due banchieri, i fratelli Cerruti.
Continuando la carriera universitaria e diventando professore di
architettura, grazie ai fratelli Cerruti riesce a prendere diverse
commesse in giro per l'Italia, mentre a Roma entra nei piani
regolatori della città. E' il periodo in cui Roma diventa la
capitale e quindi ci sono grandi stravolgimenti e importanti lavori
da fare. E' all'epoca che nasce la periferia di Roma, anche se oggi
questo quartiere è praticamente in centro. Nascono interi quartieri
per poter ospitare migliaia di persone che arrivano dal Piemonte,
impiegati negli uffici, nelle banche, nei ministeri del nuovo regno
d'Italia.
Gino
Coppedè venne chiamato a costruire questo quartiere che doveva
ospitare impiegati. Solo successivamente, facendosi prendere la mano,
gli edifici risultano così belli e di pregio che vengono indirizzati
agli amministratori ed ai capi burocrati. I villini infatti finiranno
ai dirigenti, mentre nei palazzi si sistemeranno gli impiegati, anche
se di un ceto medio alto.
Coppedè
utilizza uno stile liberty - art nouveau, ricco però di riferimenti
simbolici. Viene perfino indicato come un quartiere massonico, anche
se nessuno ha mai potuto affermare che Coppedè ne facesse veramente
parte. L'architetto era un grande studioso e amante della storia
italiana, tanto che cerca di inserire nelle sue opere continui
richiami ed omaggi all'antica Roma, al medio evo, al rinascimento, al
barocco. Ci sono anche riferimenti a Firenze e altre città,
mischiando tutto in un modo che per chiunque sarebbe stato pericoloso
e pesante, mentre lui fa sembrare tutto armonico e bellissimo.
Anche
i materiali furono avveneristici per i tempi: cemento armato,
maioliche ecc. All'esterno invece utilizza il tufo, il marmo, il
laterizio, sempre in riferimento all'antica Roma. Usa però anche il
ferro battuto e il vetro rendendo il tutto omogeneo.
Purtroppo
anche dopo la morte di Andrè la speculazione edilizia ha avuto il
sopravvento, dando frutti del tutto inconciliabili con la bellezza
dei primi edifici.
Oggi
è una zona di ambasciate e uffici, ma sono ancora molte le case
private.
Cassandra
mi ricorda che una sua cugina, anche lei trita cariatide e molto
brava nel rito dell'aruspicina, ha vissuto qui per qualche tempo,
anche se solo in affitto.
La
passeggiata inizia a via Dora, dove Coppedè aveva immaginato
l'ingresso in questo mondo fiabesco. Un grande arco collega i due
palazzi dei cavalieri, rappresentati in un mosaico policromo sulle
facciate. Elemento sia romano che medievale.
Subito
sotto c'è uno stemma gentilizio, come secoli fa quando venivano
utilizzati dalle grandi famiglie per ostentarne la proprio potenza e
ricchezza. Essendo originario di Firenze vi applica lo stemma dei
medici. Scendendo sulla facciata c'è un mascherone, molto diffusi
nell'antica Roma per la loro funzione apotropaica che tiene lontano
il maligno. La maschera è sorretta da due efebi, giovani adolescenti
dell'arte classica greca e romana. Le maschere inoltre erano
utilizzate per recitare, amplificavano le voci degli attori che con
la maschera entravano di più nel personaggio.
Ci
sono poi delle ghirlande di fiori e frutti, il simbolo
dell'abbondanza, della fioritura, della primavera e della fertilità.
Nella
torretta si vedono degli angeli chiamati Eroti, una testa di medusa,
riferimento alla mitologia greco romana, e poi altri efebi che
sorreggono le colonne e varie maschere. In alto una loggetta in stile
medievale.
Spostandoci
dall'altra parte, vediamo un'altra torretta in stile medievale. In
basso sono rappresentate delle api, simbolo dell'operosità. Ci sono
altre decorazioni simili a quelle dell'altro palazzo e poi c'è il
mosaico di una conchiglia. Simbolo di rinascita, di vita.
All'ultimo
piano spicca una fanciulla con le ali spiegate che rappresenta la
Nike, la dea della vittoria.
Sotto
l'arco si possono vedere, oltre alla firma di Coppedè, anche dei
polpi, considerati gli animali degli abissi, in alto invece un
lampadario magnifico in ferro battuto con pendagli a forma di
biscione, ovvero lo stemma dei Visconti, grande famiglia di Milano.
Sotto
l'arco ci sono ancora simboli come i gigli e delle cornucopie, mentre
alle due estremità inserisce perfino due piccoli balconi.
Ammaliati
da cotanta ricchezza vi passiamo sotto, varcando la porta di Coppedè.
Da qui entriamo nel mondo pensato per creare un gioco tra
architettura e luci, infatti Coppedè pensò anche a disegnare non
solo i palazzi, ma anche le inferriate, i balconi, i lampioni.
Perfino i colori dovevano avere un senso, ma questo lo si può
ammirare soprattutto di sera.
Arriviamo
al centro del quartiere, Piazza Mincio, il fulcro dell'area, pensato
proprio per questa funzione.
Al
centro della piazza c'è una splendida fontana detta delle rane.
Grande ammiratore del Bernini, Coppedè vi si è ispirato prendendo
spunto dalla fontana delle tartarughe.
Come
nell'originale ci sono degli efebi, anche se in posizione diversa, e
al posto delle tartarughe inserisce delle rane. Queste sono anche
loro animali fortemente simbolici che indicano la metamorfosi, la
trasformazione: da girino a rana.
Il
primo palazzo che vediamo è quello del ragno, chiamato così per la
presenza sopra il portone di un mosaico con un ragno. Simbolo
dell'operosità e della punizione divina. Il mito greco racconta
infatti di una fanciulla di nome Aracne, molto brava a tessere,
punita per la sua superbia. Lo era così tanto da arrivare a sfidare
la dea Atena. Nella sfida lei tesse un disegno raffigurando gli dei
che si trasformano in qualunque cosa pur di guadagnarsi una
scappatella con gli umani. Perde ovviamente la sfida e Atena la
trasforma in un ragno che dalla bocca tesse il suo filo.
Sopra
il ragno c'è un altro cavaliere con a fianco la scritta “Labor”,
ovvero lavoro. C'è poi un mascherone e salendo si può ammirare come
Coppedè abbia fuso diverse tecniche architettoniche: Il travertino,
il laterizio, le finestre a loggette con delle colonne tortili.
Dietro a questo palazzo c'è qualcosa che già stona con la piazza.
E' uno dei palazzi finiti dal genero Andrè, mentre dietro ad esso
c'è già un palazzone brutto. Mi spiace per coloro che ci abitano,
ma confronto a questi è veramente orrendo. Spostandoci per ammirare
un altro palazzo notiamo il simbolo della chiocciola, qui
simboleggianti gli animali della sapienza.
Il
prossimo è il palazzo di Cabiria, così chiamato in onore del film
del 1914 girato da Gabriele D'annunzio e che racconta delle guerre
puniche. La cattiva fama dei cartaginesi era quella di mangiarsi i
bambini, ovviamente era cattiva propaganda inventata dai romani. Nel
film si vede questa grande divinità carteginese detta Moloch, nella
cui grande bocca ardevano le fiamme e venivano buttati i bambini.
La
grande bocca di Malok nel film è stata la scintilla che ha fatto
scattare in Coppedè l'idea della realizzazione il portale d'ingresso
di questo palazzo.
Come
arricchimento vi sono presenti delle aquile, simbolo di san Giovanni
perché volano in alto e si avvicinano al divino. Il rapace è poi
stato ripreso anche dall'impero romano, e quello asburgico che invece
usò l'aquila bipenne ad indicare la divisione dell'impero
d'occidente e d'oriente. Per questo palazzo Coppedè si è ispirato
all'oriente, ma soprattutto a Venezia, la città di confine e porta
verso l'oriente. Il colore del palazzo è bianco e nero, in omaggio
ai mosaici di Roma, ma anche a Firenze e Siena, che utilizzano molto
questi due colori.
Attraversiamo
la piazza per avvicinarci al villino delle fate.
Questa
villa è un omaggio alle tre città di Firenze, Genova e Roma. In
riferimento a Firenze si vedono rappresentate sulla facciata, Dante e
Virgilio oltre che a piazza della signoria e Santa Maria del Fiore.
“Florenza
bella” è la scritta che completa uno scorcio della città toscana
vista da lontano.
Anche
nelle finestre si vede lo stile liberty con i suoi vetri colorati.
Coppedè
cerca di riprendere anche il concetto di “Varietas” tipico
dell'architettura medievale, e lo usa con i piani: per passare da una
parte all'altra della villa si dovevano usare delle scale esterne che
salivano ad una torretta, sopra la quale c'è il bellissimo
segnavento a forma di gallo.
Anche
i cancelli esterni sono decorati: la corona con le api, lo stemma del
biscione, tutto viene arricchito senza però risultare troppo
pesante.
Altra
città rappresentata è Venezia, con l'acqua e il leone di san Marco.
Spostandoci
vediamo ora la lupa con i due gemelli Romolo e Remo, poi ci sono
altre decorazioni come conchiglie, delle loggette e poi una colonna.
Altro riferimento alla Varietas, una sola colonna invece di due.
Sotto
ci sono, oltre alle decorazioni, anche gli stemmi delle famiglie
nobili.
Pare
che in questo quartiere ci abbiano girato alcuni film, come fa notare
una signora del gruppo, ma sembra siano stati solo film horror o
noir.
Nell'ultimo
lato visibile della villa c'è una meridiana, riferimento
all'astronomia, e poi l'albero della vita, già presente nelle
culture orientali, è il simbolo da cui nasce tutto, sia il bene che
il male, l'origine del frutto che se mangiato dà la sapienza.
L'albero è formato da tre parti: la chioma, il tronco e le radici,
indica il tre, presente, passato e futuro, altezza, larghezza e
lunghezza, nonché la trinità.
C'è
poi una scena di guerra contrapposta ad una scritta “Domus pacis”,
casa della pace. Altro esempio di come Coppedè accostava entrambi i
lati della stessa medaglia.
Dall'altra
parte della strada c'è un liceo scientifico che fa parte delle
realizzazioni di Coppedè. E' in tufo e si vede un mosaico con un
gallo una coppa e dei dadi. Questi hanno i numeri uno, tre e cinque.
Il dado è il simbolo della stabilità, dell'uguaglianza ma i numeri
sono quelli di Dio, della trinità e il cinque della spiritualità,
dell'introspezione verso se stessi.
Tutte
queste interpretazioni però l'archeologa ci dice che non si sa se
siano quelli che Coppedé voleva dare. Furono gli studiosi che dopo
anni di ricerche ritennero fossero i più plausibili, per cui non si
può affermare nemmeno, come qualcuno ha suggerito in passato, che
siano riferimenti massonici o addirittura esoterici.
Ci
spostiamo nella parte del quartiere realizzata dal genero di Coppedè.
C'è
l'ambasciata del Congo in cui si vede lo stile di Coppedé ma non la
rifinitura, la cura e la sua forza espressiva.
Passiamo
davanti anche ad una villa completamente nascosta, che probabilmente
è una meraviglia, ma che non sapremo mai come è fatta. Solo dai
pochi angoli che sfuggono alle protezioni si riesce ad intuire quanto
possa essere bella.
Spostandoci
sempre di più entriamo in una zona sempre stile liberty, ma con
altre case bruttissime nate successivamente. Cerchiamo di fare finta
di niente e camminiamo a testa bassa.
L'ultima
villa realizzata da Coppedè è un'altra ambasciata, e doveva
rappresentare il limite del quartiere.
C'è
una torretta e a reggere le coperture lignee ci sono degli esseri
apotropaici, dei cavalieri con stendardi, i leoni rampanti, i carri
dei trionfi. Su un lato campeggioa lo stemma di Siena, che secondo la
mitologia è stata fondata da un ramo degli antichi romani.
Giriamo
attorno al villino per ammirarne l'ultimo lato: un basso rilievo
rappresentante una processione, un gallo a banderuola e gli stemmi di
alcune importanti famiglie e lo stemma dell'aquila.
Lo
ammetto, di architettura non so nulla, come di arte del resto, ma ciò
non toglie che ad ammirare il lavoro di geni come Coppedè, non si
rimanga estasiati e ammirati da quello che una mente così creativa
può generare.