Il
programma odierno prevede la visita al Guggenheim, sulla 5th Avenue. Non sono
molto ferrato e soprattutto amante di questo genere di arte.
A
volte mi sono sbagliato. Il mio precedente incontro con
un museo Guggenheim non è stato molto felice, ma qui siamo a New York e non
possiamo non andarci.
Già solo la
struttura a spirale che ti accoglie all’ingresso è un’opera, dal mio ignorante
punto di vista forse opera maggiore del museo. La spirale sale lentamente verso
l’alto e le opere sono esposte sulle pareti, con l’intento di elevare i
visitatori ad un più alto livello culturale. Sfortunatamente non sempre le
spirali escono col buco. Molti ci vengono solo perché
il Guggenheim è da vedere, come me. Per lo meno non mi metto a ridere e
scherzare disturbando le persone attorno a me per un raggio di dieci metri…
Vedi alcuni che girano per le sale senza neanche osservare le opere esposte.
Per quanto mi
riguarda continuo a non essere un ammiratore della maggior parte delle opere in
mostra, ma ci sono anche alcuni spazi interessanti con quadri che meritano, se
non fosse che ogni volta mi ritrovo quei gruppetti chiassosi di turisti.
Poco alla
volta si sale sperando di lasciarsi alle spalle i guastafeste e, solo quando
arrivo in cima, riesco nell’intento. Guardando la
spirale dall’alto in basso ne vedo il lato opposto, forse ancora
migliore. Le persone stesse che salgono come formichine rendono l’opera
dinamica. Pare che inizialmente quando il museo fu inaugurato si partisse
dall’alto per concludere la visita una volta arrivati a terra.
Io preferisco partire dal basso, perché se poi si vuole rivedere qualcosa meglio, se ne ha la possibilità sulla via del ritorno.
Usciti dal
museo andiamo a mangiare in riva al laghetto Jacqueline Kennedy Onassis, lo
stesso dove sono venuto a correre la mattina prima della maratona. Ci tenevo a
mostrarlo anche a Cassandra.
Dopo pranzo passeggiamo per Central Park in cerca di qualche angolo da fotografare, è una bella giornata di sole autunnale, fresca, quasi fredda. Non abbiamo il tempo di vedere tutto Central Park, ci vorrebbero almeno un paio d’ore in bicicletta, però passiamo accanto ad un piccolo laghetto dove si noleggiano le barche a remi, vediamo dei campi da baseball, delle grandi aree verdi aperte e passiamo da Strawberry Fields. Usciamo dall’altra parte del parco proprio sotto la centrale fantasmi, il palazzo che si affaccia su Central Park e dove nel film dei Ghostbusters vivevano il Mastro di chiavi e il Guardia di porta.
Il palazzo è
identico a quello del film, c’è pure la chiesa accanto. Peccato che manca tutta
la piramide superiore. È come se fosse davvero esplosa nel finale del film.
Evidentemente l’avevano aggiunta con gli effetti speciali dell’epoca.
Abbiamo
ancora un po' di tempo. Decidiamo di camminare fino alla prossima tappa
facendoci tutta la Broadway da Columbus Circle fino alla 42esima strada.
Passiamo anche da Times Square, stavolta di giorno. L’effetto non è molto
differente rispetto alla sera: la caccia al turista è sempre aperta, h24.
Alla
quarantaduesima strada cambiamo direzione e andiamo verso il grattacielo Summit
One Vanderbilt. Prima arriviamo ad uno dei parchi che volevo visitare: il
Bryant Park. Sfortunatamente è invaso da bancarelle e mercatini di Natale.
Proviamo ad entrarci ma dobbiamo subito uscire per la calca di gente da fiera
dell’artigianato.
Subito
lì dietro c’è anche la grande Biblioteca pubblica, altra location di Ghostbusters.
Sfortunatamente abbiamo poco tempo e non riusciamo ad
entrarci. La vediamo solo da fuori, dalla scalinata dove ci sono i due
leoni di pietra. Sia il Bryant Park che la biblioteca fanno parte di quelle
“attrazioni” gratuite che meritano di essere viste. Segno per la prossima volta
che ci dobbiamo tornare.
Poche decine
di metri più in avanti siamo già al nuovo grattacielo.
L’ho tenuto per ultimo perché volevo che fosse qualcosa di diverso dagli altri visti finora. Effettivamente lo è stato. A dire il vero con le sue tre “attrazioni” mi aspettavo qualcosa più in stile Team Labs di Tokyo, diciamo che è molto all’acqua di rose rispetto ai giapponesi.
Nella prima sala, dove c’è davvero molta gente, ci sono
specchi ovunque, un po' come al Team Labs o al museo di Plan de Corones. A
causa del sole che arriva proprio negli occhi, non ce lo siamo goduti
moltissimo. Cerco uno spazio per affacciarmi perché fra poco sarà il tramonto,
ma i vetri sono tappezzati di manate e ditate.
Proviamo a salire più in alto sperando che la vista sia migliore.
Passiamo
alla seconda sala dove mi scattano una foto dall’alto mentre sono in piedi su
un pavimento trasparente, dovrebbe dare un certo effetto tipo camminata nel
vuoto con sotto i grattacieli. Simpatico, niente di che.
La
prossima sala invece sembra la più divertente: in una stanza che si affaccia
sul retro, quindi in direzione Central Park, ci sono molti palloncini a
specchio, così come le pareti sono specchi. La gente si diverte a farli
svolazzare e fare foto. Un po' poco…
Per
ravvivare l’atmosfera ingaggio una battaglia con Cassandra a colpi di
palloncinate calciando nel mucchio e facendo volare tutto come se fossero
saltati in aria. Ci stiamo iniziando a divertire quando alcuni palloncini scoppiano…
E arriva la guardia a dirci di calmarci.
Il gioco è
bello quando… si fa bordello.
Gioco finito.
Per sala seguente prendiamo una scala mobile per riaffacciarci sulla città quando manca poco al tramonto. Cerco un punto buono per fare foto. Non sono appiccicato al vetro come la maggior parte della gente. Mi trovo una balaustra di vetro da cui si vede una grande finestra con l’Empire State Building, il fiume Hudson che scorre in diagonale, il sole che scende all’orizzonte. Il tutto incorniciato da colonne di vetro a specchio.
Rimango lì
per un po', seguendo il lento movimento del sole che scende dietro la linea
dell’orizzonte e aspettando che il cielo prenda quella tonalità arancione che
abbiamo imparato ad amare proprio qui a New York. Un bel quadro.
Dopo il
tramonto usciamo all’ultimo livello, all’esterno. Ora mi sbizzarrisco con i
time-laps e… Brrrrrrr! Che freddo!
In cima al
grattacielo c’è un vento gelido che passa tra una lastra di vetro e l’altra.
Resisto quel tanto che mi basta per fare qualche time-laps e poi raggiungo Cassandra che si è rifugiata al caldo.
Bello,
sì, se devo essere sincero non è il miglior tramonto visto qui a New York, se
devo decidere il più bello… Ci vorrebbe una classifica, anzi, una
superclassifica!
Come tutti i
gatti vado sopra i tetti,
appoggiato
alla vetrata centrale,
io controllo
il tramonto locale…
maooooo.
Al quarto
posto questa settimana scende il One World, dove la scoperta dei time-laps non
lo salva dall’ultima posizione in classifica. Al
terzo invece sale, di poco il Summit Vanderbilt, merito soprattutto della
vetrata scenografica che ha immortalato il tramonto come se fosse un’opera
fantascientifica.
Al secondo posto rimane stabile anche questa settimana il
Top of the Rock, con la sua vista sui più bei grattacieli newyorkesi
incorniciati dal cielo arancione.
Al primo
invece è salito, per rimanerci chissà quanto, il tramonto di Brooklyn dalla
riva del fiume e la conseguente passeggiata sul ponte di Brooklyn.
All’uscita
del grattacielo ci ritroviamo in un altro luogo famoso della città: la Grand Central Station. Il cuore nevralgico del
trasporto pubblico e privato della città. Non so quanti film abbiano girato
qui. A me vengono sempre in mente i soliti come “Io sono leggenda”, “Avengers”,
“Intrigo internazionale”, “Carlitos way”, “La leggenda del re pescatore”,
“Men in black” e tanti altri. La stazione è di proprietà proprio della
famiglia Vanderbilt che l’ha costruita e ha edificato il grattacielo su cui
siamo appena stati.
Il
suo soffitto altissimo è una volta su cui sono stati rappresentati i segni
zodiacali e al centro della sala c’è l’iconico orologio a quattro facce che
sfido chiunque a non aver mai visto.
Se
però si scende nel livello inferiore c’è un aspetto simile a quello di piazza
dei Mercanti a Milano: un punto chiamato Galleria dei Sussurri che, grazie alla
sua struttura architettonica permette di sentire quello che una persona dall’altra parte della galleria sta dicendo, anche se in mezzo c’è
molto rumore.
L’abbiamo
provata ovviamente, secondo me funziona meglio quella di piazza dei Mercanti.
Ci
sarebbe anche un binario segreto che veniva usato dal presidente Roosvelt, oggi
abbandonato. Il binario 61 era collegato direttamente all’Hotel Waldorf
Astoria, questo perché la stazione che si vede in superficie è solo la punta dell’iceberg: è talmente grande che si estende nel
sottosuolo di tutti gli edifici che la circondano.
Per
concludere la serata e far finta per l’ennesima volta di essere in un film,
passiamo da Fao Schwarz, il negozio di giocattoli del Rockfeller Center. Non so
quanti si ricordano il film di Tom Hanks degli anni ’80 in cui la sua versione
bambino, dopo aver espresso un desiderio alla macchinetta
del Grande Zoltar, si trasforma in un trentenne. In questo negozio c’è proprio
il Grande Zoltar, non solo. Dopo aver resistito alla tentazione di
ritornare dodicenne, ci mettiamo ad esplorare il negozio in cui il Tom Hanks
trentenne si mette a giocare come un bambino, viene
assunto e fa carriera.
Non
so quanto sia cambiato nel tempo, sembra ancora molto simile al film. C’è
perfino il piano che si suona saltandoci sopra con i piedi. I commessi, dei
veri venditori professionisti, giocano e fanno giocare i bambini per vendere ai
genitori gli articoli con cui stanno giocando.
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