lunedì 25 marzo 2024

Maratona di Roma 2024


 Le premesse erano risapute: temperature che arriveranno fino a 19 gradi verso mezzogiorno e freddissimo ai blocchi di partenza.


Il ritrovo alla metro con gli amici e compagni di battaglia è sempre divertente, un po’ meno per le persone che alle 6,30 condividono il vagone con noi.

Sono previste circa 20000 persone solo per la maratona, più altre 20000 per la staffetta e la corsetta.
Ai camion già si intravede che Roma non ha mai visto così tanti partecipanti e ci perdiamo quasi subito.

Proverò a correre con Norma come l'anno scorso sperando di replicare la bella gara, ma qualcosa mi dice che non riuscirò a starle dietro.
Sarà che non ho chiuso occhio se non per un paio d'ore?


Prima di entrare in griglia incontriamo William che ci aveva accompagnato per diversi tratti aiutandoci. Stavolta lui farà la staffetta, la prima e l'ultima frazione. Infatti non lo vedrò più.
Griglia A, appena dietro i Top runner. Mai successo prima. C'è stato un errore, ma è anche la griglia assegnata a Norma. Si vede che era destino.
Ci infiliamo nelle retrovie e troviamo anche Elisabetta, giusto il tempo per un selfie e si parte!
Siamo proprio sotto al palchetto di Giulio. Quest'anno fa da spettatore. Daje Giulio! Solo per questa volta eh.

Come profetizzato da Norma, l'imbuto dei primi 600 metri ci fa sbattere l'uno contro l'altro come palline del flipper, ma in questo modo sblocchiamo il personaggio segreto della maratona: Dario, amico di Norma e grande maratoneta esperto. Ci aggreghiamo a lui che è un decano e, appena la strada lo consente, cerchiamo di dare gas e recuperare i secondi perduti nel flipper.

I primi chilometri volano, forse troppo veloci. Nonostante il sole già sia presente e fastidioso, siamo tranquilli e senza fatica.

Arriviamo a San Paolo, poco dopo c'è il ristoro dei Road Runner (chilometro 8,5). Li chiamo, rispondono:
“Daje Norma!!! Vai Norma!!! Norma non mollare!!! Siamo tutti con te Norma!!! Facce n'autografo Norma!!!”
Tutti per Norma.
Ok, è innegabile che Norma è molto più carina di me, e che è di Roma.
Ma il Road Runner, sono io. Eddaje su!
Protesterò formalmente col presidente e il responsabile rifornimenti.


Bocca della Verità e Sinagoga. Finalmente qualcuno ci saluta tutti e tre: Giulio!!!
Il ritmo è ancora più alto dei desiderata, 4.55 di media, ma stiamo bene. Continuiamo così finché ce la facciamo, poi ci pensiamo.

Tra una battuta e l'altra arriviamo col sorriso a San Pietro.
Inizio a sentire le gambe un po’ rigide. Penso sia normale visto che non ho dormito e con questo sole mi sto disidratando più velocemente, per cui bevo più che posso, mangio (forse troppo). Continuo a correre tranquillo fino al 21esimo chilometro, quando incontro Cassandra che, nonostante il sole caldo, è li ad aspettarmi.

Un’ora e 43 minuti.
Se continuasse così farei il personale, anche perdendo un po’ nella seconda parte andrebbe benissimo. Non faccio lo schizzinoso.

Arriviamo al Foro Italico, lo attraversiamo e ci buttiamo sul ponte dello Stadio per attraversare il Tevere.
Proprio dall'altra parte, intorno al 27esimo chilometro, accade qualcosa di strano.
D'improvviso il buio.
Chi ha spento la luce?
Di colpo sento la pressione abbassarsi ad ogni passo che faccio e la luce attorno a me si affievolisce.
Come se avessi delle ruote che lentamente iniziano a perdere aria.
Immaginavo che sarebbe potuto arrivare il momento in cui vedevo Norma e Dario andarsene, ma forse non così presto.
Mi gioco la carta del ristoro e riesco a riprendermi bevendo dei sali che mi danno subito beneficio. Daje.

Al Villaggio Olimpico però la luce si spegne ancora.
La pressione delle gomme è completamente andata.
Metto le quattro frecce, accosto e prendo una bottiglietta d'acqua. Cammino bevendo un po’.
Norma e Dario ormai stavolta sono scomparsi dietro la curva. Au revoir!

Inizia qui una nuova gara per me, solo contro i miei incubi. I limiti fisici di oggi mi vanno ancora più stretti...
Cammino fino a ritrovarmi all'ombra di un palazzo. Qui mi sento meglio, la pressione sembra essere risalita. Ma allora è proprio il sole la mia cryptonite!

In zona Flaminio ci arrivo. Luce in faccia e la pressione torna a calare, altro stop.
Prendendo i sali ricomincio a correre ad un ritmo decente che mi porta sul Lungo Tevere. Al sottopasso ci sarà Cassandra a salutarmi.
Circondato dal buio non la vedo, ma non sento nemmeno le sue urla a causa del fracasso di una band
(oggi festeggiano anche San Patrizio). E pensare che in ogni altro posto in cui sono passato i gruppi musicali erano sempre stati in pausa...

Entro nel centro e qui il tracciato della gara ha dato il peggio: tantissime curve e strade strette con gente che attraversava alla cieca rischiando di prendere qualcuno in corsa. Una signora viene centrata in pieno e sbattuta su altri due runner.
Uno per evitarla si è stirato davanti a me.
Troppo stressante come percorso. Poche persone a bloccare gli spettatori. Organizzazione pessima.

Per carità, capisco anche il pubblico. A fine gara Cassandra mi racconterà di come lei e tantissima altra gente,  siano rimasti in zona centro intrappolati dalle transenne che non permettevano loro di seguire la gara o raggiungere il traguardo né la più vicina fermata metro per poter liberare il percorso dal loro ingombro.
Così si fa solo arrabbiare atleti e pubblico. Si devono creare alternative per far defluire gli spettatori, anche per questioni di sicurezza. Pessimo risultato.

Su via del Corso il caldo che sale dell'asfalto è insopportabile e devo camminare ancora.
A piazza del Popolo ci arrivo correndo e vedo Cassandra che mi saluta. Sono stremato e vado avanti con quel poco di adrenalina che la sua presenza mi regala.

Su via del Babbuino però devo camminare ancora. Ormai i palloncini mi superano uno dopo l'altro: 3.30, 3.35... solo l'orgoglio mi fa ripartire al loro inseguimento, almeno fino al prossimo stop su via del Tritone.

Vado avanti così fino a quattro chilometri dalla fine quando incontro Andrea, il mio amico sardo che ad ogni maratona vedo tra il pubblico a fare foto. Intuendo il momento difficile inizia a seguirmi in bicicletta spronandomi.
Mi chiama e mi dice di correre assieme a Mario.
Chi?
Alzo lo sguardo e vedo un signore con scritto Mario sulla maglietta. Questo stremato mi guarda e dice:
"Ma chi è questo? Macchevvole?"
Io sorrido e saluto Mario.
In quel momento siamo all'ombra e riesco a correre fino alla salita dell'Ara Coeli, dove devo mettere la ridotta per salire.
Andrea mi segue sempre fino a via di san Gregorio quando anche i palloncini delle 3.40 mi superano. Riparto d'orgoglio per gli ultimi due chilometri e arrivo alla salita del Colosseo.
L'ultimo rettilineo lo faccio praticamente in apnea per non lasciare andare la poca aria rimasta.

Al traguardo spengo il motore e stop.

Vorrei lasciarmi andare e piangere di gioia, ma non ne ho le forze!  Mi appoggio sulle transenne per potermi finalmente rilassare e respirare.
Ruote e carrozzeria cadono in pezzi sui sampietrini.
E anche questa maratona se la semo tolta dai... cosiddetti!

Che dire? Ovviamente avrei voluto finirla meglio e non da solo, ma per la stranezza e le difficoltà incontrate lungo il percorso sono comunque contento di essere arrivato al traguardo, con calma, senza fretta, con dignità e consapevolezza che oggi per me più di così non si poteva fare.
Meglio fare un salto dal meccanico/gommista prima di tornare a casa, giusto per non rimanere a piedi...

P.s.: Nota per la prossima maratona: evitare di correre con la cryptonite!

giovedì 14 marzo 2024

Esperienza o pazzia? Verso la maratona...

Ancora pochi giorni e potrò affrontare un “altro” viaggio, intrapreso più volte e sempre nuovo e da scoprire. Mi piace viaggiare, non mi stancherò mai di dirlo. Una delle poche cose per cui vale la pena rimanere sulla terra e vedere cosa c'è di bello. Quando parti non sei mai la persona che arriva alla fine del viaggio. La maratona è uno degli esempi che più si adattano a questa frase.

Sarà la dodicesima.
Ogni anno l'esperienza delle precedenti mi tranquillizza, mi carica, ma l'età e tutti i suoi compromessi iniziano a trattenermi consigliandomi di non strafare.
Vediamo come va, l'importante è continuare a divertirsi, anche se in questo periodo comprendo sempre di più Cassandra quando mi rivolge sempre la stessa domanda "Ma chi c...o ve lo fa fare???".
Ovviamente la preparazione non è andata liscia come volevo. La lunga lista di acciacchi accumulati in questi 49 anni, (che non elencherò altrimenti rischierei di emulare una pagina di malanni geriatrici), mi ha ricordato quanto i miei limiti fisici siano vicini dall'essere valicati.
In più occasioni ho sentito, e sento tutt'ora, le gambe rimanere integre per un soffio, basterebbe pochissimo per far gettare loro la spugna.
Però non sono preoccupato, anzi non vedo l'ora di poter correre con gli amici che mi hanno accompagnato durante gli allenamenti lunghi e soprattutto nella maratona dell'anno scorso: Norma, Marco, Vincenzo, Aldo, Andrea, Elisabetta ci saranno, forse Luca.
Spero di riuscire a stare al loro passo tutta la gara anche quest'anno. Se mi semineranno, sarò contento ugualmente, almeno troverò qualcuno al traguardo ad attendermi e sulle cui spalle potrò asciugare le lacrime di gioia.

mercoledì 22 novembre 2023

Decisioni importanti



La rinascita dell’Ordine è in pubblicazione.

Finalmente posso dirlo, dopo ben tre anni di tentativi, ripensamenti, tagli, aggiunte e rifacimenti, ci siamo.
Si conclude qui il ciclo dell’Ordine temporale, iniziato tanti anni fa con Il Castigo temporale e proseguito con La caduta dell’Ordine.

Ne è passato di tempo dalla mia ultima pubblicazione, me ne rendo conto solo ora.
Sarà l’età o le mille altre cose che si cominciano e ti si appiccicano addosso pur di non essere terminate… difatti me le trascino ancora ovunque vada.
Quest’opera devo ammettere è stata un parto difficile, un po’ per come è nata, un po’ per come desideravo finisse, sebbene la storia non voleva lasciarmi andare.
I rallentamenti non sono solo per causa sua, ci ho messo del mio. Oltre a nuove idee da scrivere che nascevano di tanto in tanto, mi è ritornata la voglia di suonare la chitarra come ai tempi delle superiori. Ma non sono più uno studente e non ho più il tempo per fare tutto quello che vorrei. Va da sé che qualcosa la devi accantonare.

L’unica cosa che non ho mai abbandonato è stata la corsa, per motivi terapeutici sia mentali che fisici.
Per fortuna non mi ha mai pesato né correre, né scrivere, per lo meno prima di questa storia.
E pensare che La rinascita dell’Ordine nasce dal primissimo romanzo inedito che ho terminato, di gran lunga precedente alla prima versione di Baraonda nella Nebbia.
Era un librone di fantascienza, di circa 3/400 pagine che non ho mai avuto il tempo di rileggere bene perché impegnato a scrivere altri romanzi pubblicati in seguito.
Meglio non interrompere il momento di creatività esplosiva.

Si chiamava Decisioni importanti. Avevo quasi finito di scriverlo ma rimaneva lì, in attesa che le storie in nucleo trovassero la loro strada verso la conclusione.
Gli anni passano, cambio modo di scrivere (per fortuna).
Ogni volta che finivo un libro mi ostinavo a riprenderlo in mano e puntualmente pareva una cosa illeggibile.
Però mi piaceva il fatto che sembrasse il seguito ideale e conclusivo del ciclo dell’Ordine temporale.
Solo quando è arrivato il covid mi sono detto che con tutto quel tempo a disposizione, avrei potuto sistemare quella storia nel modo giusto e finalmente pubblicare il mio primissimo romanzo.
Sfortunatamente aveva ragione Don Rodrigo: «[...]questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai.»
Delle 3/400 pagine ne ho tenute pochissime, forse neanche una ventina.
Si è salvata l’idea di fondo, l’ambientazione, la scenografia.
Ecco cosa si adattava perfettamente. Quell’idea è stata la base su cui ho poggiato i mattoni di questa mia ultima storia.

Disponibile su Amazon sia in versione cartacea che kindle:

mercoledì 25 ottobre 2023

Ultimo giorno

 Il viaggio in Uzbekistan sta per finire! Oggi abbiamo la visita di Tashkent, non sappiamo ancora cosa ci aspetta.

Per me sarà difficile raccontare questa giornata surreale. Sinceramente avrei preferito concludere questo viaggio meraviglioso e questo racconto in un modo differente, ma le così sono andate così…

L’appuntamento è alle 9. La guida si presenta alle 9:20, ottimo biglietto da visita.


Zita è una signora anziana e di origine armena, con una protesi alla gamba e un italiano a tratti un po’ incerto.

Non le è stato dato il nostro programma di visita e quando glielo leggiamo e arriviamo al punto del mercato Chorsu inizia già a dire che oggi è venerdì e non si può fare perché il mercato Chorsu sarà troppo pieno, per cui ci andremo nel pomeriggio. La metro poi non si può vedere perché c’è da pagare il biglietto, ecc…

Racconta che oggi ci farà fare un tour panoramico che di solito non fa fare a nessuno.

Siamo fortunati, pensa te che culo!


Primo obiettivo il mausoleo di Abu Bakr, poi la madrasa del XVI secolo di Barak Khan con all’interno un po’ di negozi, e infine il pezzo forte: l’unica copia superstite del corano risalente al settimo secolo, scritto su pelle di gazzella.

In tutto questo le sue spiegazioni poche, mentre i suoi racconti sull’Uzbekistan ai tempi dei russi sono stati molti e confusionari. Quando attaccava bottone sui “bei tempi andati” vedevo raggrupparsi attorno a lei numerosi italiani di altri gruppi che la ascoltavano meravigliati e divertiti per quello che diceva. È qui che per la prima volta ci parla del grande terremoto di Tashkent e dei canali che attraversano la città.

Del Corano originale però abbiamo capito solo che i russi lo avevano preso e portato a Mosca. Dopo ripetute richieste di restituzione Lenin aveva acconsentito a rimandarlo indietro, ma finì in un’altra città. Come è tornato a Tashkent non l’abbiamo mai capito.


Sono le 11:30 di mattina e Zita vuole portarci a Chorsu, a mangiare. Facciamo notare che per noi è troppo presto per il pranzo e allora dopo qualche borbottio russo che fa sbiancare la nostra compagna Gaia cambiamo obiettivo.

Qui lo stato confusionale aumenta. Prima veniamo portati in un parco dove c’è la statua del Petrarca uzbeko, poi rimaniamo bloccati nel traffico del centro e Zita parte con altre storie dell’Unione Sovietica miste a suoi ricordi ed episodi di vita. Vediamo solo da fuori e velocemente il teatro Alisher Navoi. Di nuovo in pulmino con le “magiche” storie di Zita. Si fa molto fatica a seguirla e a volte a trovare un filo logico.


Sfortunatamente mentre giriamo e lei parla in russo con l’autista. Sfortunatamente per lei perché Gaia sente e capisce tutto. Quando è troppo e troppo. Se all’inizio poteva essere una battutina sui soliti turisti, ora inizia ad esagerare: ce ne dice di tutti i colori, tanto che a volte Gaia non riesce neanche a ripetere le parolacce che sente nei nostri confronti.


Tra un semaforo e l’altro arriviamo all’ora di pranzo.

Il malumore inizia ad essere evidente da entrambe le parti.

Dopo pranzo la situazione degenera.

Ci fermiamo per vedere una chiesa armena, molto bella, ma il tempo a nostra disposizione era solo per scendere dal pulmino, fare una foto dalla strada e ripartire.


Poi Zita ci porta a vedere la scuola dove ha studiato e il suo quartiere, così ci parla per la quarta volta del terremoto che colpì la città e dei canali. Vediamo l’imponente e bruttissimo l’hotel Uzbekistan e il museo dei timuridi, che sarebbe interessantissimo, ma non possiamo neanche scendere dal pulmino. Per gentile concessione facciamo la rotonda due volte, così lo vediamo meglio.


La prima sosta arriva ad una moderna chiesa gotica. Il dibattito del gruppo ormai è incentrato: di quanto dobbiamo diminuire la mancia di Zita? 

Speriamo che ci faccia cambiare idea.

Quando risaliamo e ricominciamo a girare, all’ennesimo racconto del terremoto, le chiediamo se ora possiamo andare al mercato Chorsu. Scoppia la bomba. Non ci porta e inizia a fare storie per la benzina che stiamo consumando, più altre chiacchiere che ci fanno rimanere imbottigliati perdendo tempo e arrabbiare ancora di più.


Qualcuno inizia a perdere la pazienza…

Pausa caffè?

Sì, sì, ci vuole una pausa.

Dopo il caffè proviamo a dirigere la visita su alcune cose che c’erano nel programma originale, ma c’è poco da fare… Quando passiamo per la terza volta davanti allo stesso monumento, che tra le altre cose è anche vicino alla piazza dell’Indipendenza che dovevamo vedere, chiediamo che si fermi così da poterla vedere di persona, non dal finestrino.


Alla fine abbiamo girato in tondo per tutto il giorno senza poter vedere granché. Al nostro ritorno al pulmino Zita non c’è più.

Meglio così perché ormai il gruppo aveva deciso di cancellare del tutto la sua mancia.


In conclusione forse tutto è nato da una serie di situazioni come il suo italiano incerto, il programma improvvisato, il fatto che non ci sentisse quando cercavamo di interagire con lei…

Il suo atteggiamento, chiaramente avverso e poco professionale palpabile anche senza le traduzioni di Gaia, hanno fatto sì che il nostro ultimo giorno degenerasse in un’altra giornata inutile.


Può capitare eh, per carità.

Ci sfogheremo a cena, in un locale all’aperto, su uno dei tanti canali che attraversano la città.


martedì 24 ottobre 2023

Tashkent


Altro lungo trasferimento fino a Tashkent dove nel pomeriggio  prendiamo le camere, non senza qualche difficoltà (la nostra era ancora da pulire). Usciamo a vedere qualcosa di questa metropoli uzbeka. Qui ci saluta Borot, che temo dovrà tornare poco alla volta verso Kungrad per andare a recuperare un altro gruppo come noi.

Abbiamo qualche ora prima della cena. Decidiamo di camminare un pochino per arrivare alla prima fermata della metropolitana, Cosmonatvlar, a tema cosmonautico.


Costruita dai cari compagnucci, la metropolitana pare sia una delle cose più belle da vedere della città. Tentiamo di raggiungere il centro senza ovviamente spoilerarci quello che vedremo domani con la guida. Facciamo solo tre fermate e camminiamo un po' per vedere cosa offre la città.

Scendiamo a Gafur Galom. Non c’è quasi niente. Forse era meglio scendere alla fermata successiva dove c’è il mercato di Chorsu. Comunque decidiamo di camminare fino ad una fermata metro per vedere i negozi.

Le strade sono trafficatissime e il gas di scarico si sente moltissimo.  Arriviamo alla fermata Alisher Navoi e torniamo indietro.

Illusi.

lunedì 23 ottobre 2023

Samarcanda


Stamattina partiamo subito con Nadye verso le mete più importanti di Samarcanda. Imbarcati sul pulmino di Borot ci dirigiamo verso la città vecchia, quella abbandonata dopo l’arrivo di Gengis Khan.

Ora lì sorge il cimitero, quindi non si possono fare scavi archeologici e non si potranno fare per i prossimi 50 anni, ovvero quando non ci sarà più una sola persona in vita dei parenti di coloro che vi sono sepolti. Solo allora si potrà scavare e riportare alla luce ciò che è rimasto della vecchia Samarcanda.


Prima di tutto andiamo santuario di Shah-i-Zinda, meta di pellegrinaggio dei musulmani locali che non possono andare fino alla Mecca.


Qui sono sepolti alcuni parenti di Tamerlano e altre importanti personalità come Kusam Ibn Abbasù, cugino del profeta Maometto.


Essendo un luogo molto gettonato ci andiamo molto presto quando non c’è quasi nessuno. 

Molto bello, davvero, come inizio di giornata è molto promettente. Ne scaturiscono diverse foto molto belle.


Come prossima tappa andiamo a vedere l’osservatorio astronomico di Ulugbek, il nipote di Tamerlano.

Il nipotino non era interessato alla politica. Era lo scienziato che costruì un osservatorio astronomico in cima ad una collina fuori della città vecchia e nuova.

Stiamo parlando del 1400 per cui non si pensi ad una cupola come i moderni osservatori. Non usavano nemmeno un telescopio o altri strumenti a lente, ma un semplice sestante. Solo che era un sestante di 30 metri.


L’osservatorio era un edificio cilindrico di tre piani in cui lavorarono fino a 100 scienziati contemporaneamente. Questi si servivano del sestante su cui veniva proiettata la luce del sole tramite una fessura sulla sommità dell’edificio e, con complessi calcoli matematici, identificarono più di mille stelle e calcolarono la lunghezza dell’anno solare con una precisione pari quasi a quella calcolata dai computer dei giorni nostri.

Sfortunatamente il figlio di Ulugbek, Abd al Latif, geloso del proprio fratello a cui il padre teneva di più, lo accusò e lo fece processare come infedele religioso da punire con la morte. Essendo Ulugbek diretto discendente di Tamerlano, non poteva essere ucciso per un motivo simile. Venne data in alternativa la possibilità di espiare la propria colpa con un pellegrinaggio alla Mecca. Ulugbek partì immediatamente. Dopo pochi giorni di viaggio fu raggiunto da un messaggero del figlio che lo intimava di fermarsi perché non permetteva che viaggiasse senza scorta.


Ulugbek sapeva che era una trappola, si fermò ugualmente. Due giorni più tardi arrivarono due cavalieri che lo uccisero e decapitarono.

In seguito anche Abd al Latif patricida venne giustiziato per questa violazione della legge.

Dopo la morte di Ulugbek l’osservatorio perse ogni finanziamento, nel giro di pochi anni venne abbandonato, finendo per essere dimenticato.

Venne riscoperto solo un secolo fa, dal russo Pyatkin che per tutta la vita lo aveva cercato finanziando gli scavi di tasca propria. Come gratifica divenne il sovrintendente di tutti i beni archeologici di Samarcanda. Era così innamorato dell’archeologia di Samarcanda e dell’osservatorio, che chiese di essere sepolto accanto a quest’ultimo. Fu accontentato.


Da lì andiamo in pulmino sulla collina del cimitero e scendiamo verso il mercato, dove c’è la moschea di Hazrat Hizr e la tomba del presidente Karimov. Ottimo posto di osservazione per il tramonto sulla città.


Scendiamo e attraversiamo la strada fino alla grande moschea di Bibi Khanym. La leggenda vuole che sia stata fatta costruire dalla moglie di Tamerlano come sorpresa mentre questi era in viaggio per conquistare nuove terre.

Per costruirla la moglie scelse il miglior architetto dell’epoca, ma durante i lavori questi si innamorò di lei.


I lavori andavano a rilento e il tempo stava scadendo. La donna faceva molta pressione affinché l’architetto compiesse l’opera prima del ritorno di Tamerlano. L’architetto colse la palla al balzo e, visto che la donna aveva sempre respinto le sue proposte, disse che garantiva il risultato solo se lei gli permetteva di farsi dare un bacio sulla guancia. Contraria, ma costretta, la donna accettò.

Purtroppo il bacio sulla guancia lasciò un segno indelebile. Quando Tamerlano tornò la trovò con il velo che copriva il suo viso. Per mascherare la “novità” la moglie impose il velo a tutte le donne della città. Nonostante ciò Tamerlano ugualmente scoprì il suo tradimento. Fece giustiziare l’architetto e gettare la moglie dalle mura.

Ovviamente è solo una leggenda, Nadye ne spiega il motivo: l’unica delle nove mogli di Tamerlano che fece costruire delle madrase e moschee, era una diretta discendente di Gengis Khan. Tamerlano infatti, non essendo diretto discendente di Gengi, non poteva essere Khan. Sposando una sua discendente i figli generati sarebbero diventati Khan. Pare che questa imposizione alle donne di mettere il velo sia nata solo intorno all’800, periodo in cui ha iniziato a circolare questa storia.

La moschea è gigantesca, sembra non sia stata costruita molto bene perché in parte è crollata dopo pochi anni e nonostante i continui interventi di manutenzione continua a non essere stabile. Difatti non viene più utilizzata come moschea.

La vendetta dell’architetto.

Da notare un leggio in pietra enorme al centro della piazza della moschea. Serviva per sostenere l’unica copia originale del corano rimasta e oggi conservata a Tashkent.


Accanto alla moschea c’è il mercato in cui ci fermiamo a prendere qualcosa per il pranzo, dopo di che ci dirigiamo verso il piatto forte: piazza Registan.

Già ieri sera avevamo ammirato la piazza più bella dell’Uzbekistan, ora con il biglietto d’ingresso ci troviamo nel mezzo.


Il massimo!
L’edificio più vecchio è quello costruito nel XV secolo da Ulugbek.  Sinceramente devo ammettere che qui la parte storica della spiegazione di Nadye me la sono persa… Quando sei al centro della piazza, in mezzo a queste tre immense strutture, con i suoi mosaici e cupole…

È inevitabile che la testa inizi un viaggio per conto suo. Ho scattato non so quante foto, ho sentito le spiegazioni di Nadye, ma la mente credo fosse da un’altra parte, in un altro tempo. L’unica cosa che mi manteneva collegato con la realtà era una brezza costante che rinfrescava la giornata.


Entriamo nella madrasa di sinistra e, anche l’interno è da perdere la testa. 

Ah ecco, una cosa la ricordo: proprio qui da ragazzina Nadye ha iniziato a lavorare in uno dei negozietti di questa madrasa, ed è qui che le è nato il suo interesse per la lingua italiana, grazie ai tanti turisti che passavano da lei.

Andiamo nella madrasa centrale ed entriamo nella moschea d’oro all’interno della madrasa Tilla-Kari.

Un piccolo appunto rompe l’incantesimo del momento: appena prima di entrare nella moschea alle donne viene imposto di mettere il velo. Anche Nadye è sconcertata, per non dire altro. Dice che è la prima volta che le capita, anche perché i sunniti sono sempre stati molto più flessibili da questo punto di vista.


Visibilmente scossa cerca di riprendersi parlandoci della moschea d’oro, e trova subito l’argomento giusto: il nome di questa moschea non è un caso, è veramente d’oro. Ce ne è così tanto che solo per il recente restauro ne hanno utilizzati ben trentadue chili.

Meravigliosa.


Tutti questi motivi decorativi tra madrase e moschee hanno un fascino unico. Possono apparire ripetitivi, credo nascondano un segreto legato alla scienza e alla matematica. Da lontano sembrano tutti uguali. Osservandoli da vicino invece, sono tutti molto diversi tra loro e i disegni svariati.


Mi ricordano l’effetto ipnotico dei caleidoscopi, solo che invece di muovere i disegni qui si muove lo sguardo. È arte, è matematica, è emozione.


Usciamo a vedere in libertà l’ultima madrasa, quella con le tigri rappresentate sulla facciata. Dovrebbe essere identica a quella di fronte a lei, ovviamente voglio verificare tutto a partire dai motivi che ne decorano l’interno.

Ci sono poi le cupole tortili, tipiche di Samarcanda, bellissime, e i minareti di Pisa, nel senso che sono storti.


Anche le facciate sono storte e pendono in avanti o sbaglio? Lo faccio notare a Nadye e mi dice che in origine non erano così, come io pensavo, ma si sono spostate col tempo a causa dei terremoti e del loro peso.


I minareti poi sono questioni diverse perché alcuni interventi nei secoli passati ne hanno compromesso la stabilità. Ora però, anche se li vediamo un pochino pendenti, Nadye ci dice che sono stati stabilizzati con importati lavori di restauro e consolidamento.


A malincuore lasciamo questa meraviglia di andiamo al mausoleo di Tamerlano, il Gur-e-Amir.

Di questa struttura non rimane molto, quasi tutta la parte esterna e della madrasa è sparita. Il mausoleo invece è ancora lì ed è molto bello.


Con la parte bassa in giada, salendo è decorato in oro, forse ce ne è ancora di più della moschea d’Oro.

La lapide di Tamerlano, in giada nera, è in mezzo alla sala, circondata da quelle di alcuni suoi figli, parenti e discendenti.


In realtà Tamerlano, morto di malattia a 69 anni durante una campagna militare, non doveva essere sepolto qui, ma ci venne portato solo temporaneamente per poi essere sepolto nella cripta che abbiamo visto a
Shahrisabz. Sfortunatamente in quel periodo la strada del passo era chiusa dalla neve e così rimase a Samarcanda, nel mausoleo che doveva essere del nipote.

Salutiamo la brava e simpatica Nadye.


Stasera portiamo a cena con noi anche Borot. Siamo in un posto ancora più turistico di quello di ieri, ci sono ballerini e danzatrici.

Per salutare degnamente Samarcanda, torniamo a vedere piazza Registan. È come una droga.