Adoro Firenze.
Ci vivrei, ci dormirei, ci lavorerei, ci
correrei — infatti….
La sua maratona l’ho già fatta quattro
volte. L’età avanza e, prima di trasformarmi in qualcosa di inagibile come un
vecchio frigo degli anni ’60, ho iniziato a guardarmi intorno: altre maratone,
altri percorsi, così per cambiare.
Poi arriva Norma, che aveva appeso le
scarpette della maratona al chiodo, e mi fa:
“Ne facciamo un’altra insieme. Scegli tu.”
Valencia?
“No, l’ho fatta l’anno scorso.”
E allora, vai col jolly: Firenze.
Ed ecco come sono finito di nuovo qui,
e perché in questa notte prima degli
esami, non riesco a dormire.
Qualcuno potrebbe pensare che dopo 15
maratone diventa routine…
Macché.
Rivivo tutte le notti pre-gara e tutto
quello che è andato storto nelle altre.
Lo so, non sto bene, ma che ci posso fare?
La notte prima della maratona è la mia criptonite.
Dormo? Forse. Poco. Meno di poco.
Vabbè, ormai siamo qui. Mille chilometri
per arrivare. Che vuoi fa’?
Correre. Obviously.
Fa freddo. Un grado. E ho detto tutto.
In griglia siamo io, Norma e William.
Ad accompagnarci c’è Raffaella Carrà.
Aaah sensazione unica…
Non sono un suo fan, ma col freddo che fa,
ballare le sue canzoni diventa un’attività cardio essenziale.
Ballo ballo ballo da capogiro.
Via, si parte!
Si comincia da San Marco. Ieri io e
Cassandra abbiamo visto la mostra di Beato Angelico, e già mi sembra di
sentirlo:
“Vieni a vedere cosa ho fatto! Vieni! Tu
lo sai cosa ho fatto!”
Sì, lo so, ma devo correre. Il freddo mi
fa andare più forte di quanto avessi previsto.
Verso il settimo chilometro, quando il
corpo ancora non sa che sta per soffrire e la mente è in modalità Disneyland,
appare Lui.
Un figuro.
Un essere.
Un’entità podistica non identificata.
Capita il cosplay. Io stesso mi metto il
cappello di Arale. C'era poi uno vestito da suora. Un classico.
Ma questo?
Da dove è uscito?
Canottiera.
Pantaloni lunghi.
Pettorale fissato sulla coscia — NON
DOMANDATE PERCHÉ.
Tutto normale, direte.
Eh sì…
A parte il fatto che i pantaloni erano di
jeans.
JEANS.
Correva in jeans.
L’ho guardato e ho sentito un coro
angelico intonare:
“Allelujaaaaaa… eccolo, il prescelto!”
Correva impassibile.
Il denim fendeva l’aria.
Ogni passo era una frustata al buon senso.
Lo guardavo con gli occhi di chi ha
incontrato un boss segreto.
Ho pensato:
“Se questo finisce la gara, io alla
prossima ci vengo vestito da Umpa Lumpa.”
Il trio procede compatto fino alle
Cascine, dove Norma comincia a dire quello che sapevo avrebbe detto:
“Ma chi cazzo ce l’ha fatto fare?
Questa è l’ultima, eh?”
Ceeeeerto. L’ultima.
Se non mi estraggono alla lotteria di
Chicago…
Arriviamo a Ponte Vecchio. Magia pura.
Il pubblico è una bolgia, decine di
persone mi danno il cinque e io ricambio, ci chiamano per nome incitandoci:
doping naturale.
Al 20° l'effetto del doping è finito e
incrociamo una band che canta Battiato.
Io la sento così:
“Cerco un centro di sanità per la mente
che non mi faccia mai cambiare idea sulle
corse sulla gente
e le maratoneeeeeee heeeee heheheeeee…”
Perché continuo a dire che non farò più
maratone, e poi mi ritrovo in mezzo a migliaia di invasati sudati e sorridenti,
che si massacrano per ore senza vincere nulla, se non i complimenti degli amici
runner?
Perché sono così, ora.
E mi diverto.
Tantissimo.
Siamo al 24°: è l’ora del secondo gel.
Mi cade.
Lo inseguo come Rocky che in allenamento
rincorreva le galline.
Lo prendo, ma dietro di me sta arrivando
il gruppone delle 3:30.
Ho due opzioni:
Chinarmi, diventare una palla da bowling e
tentare uno strike memorabile.
Raccogliere il gel e scattare come il
Figlio del Vento verso Norma e William.
Scelgo la seconda.
Il fisico tiene. Per ora.
A Campo di Marte siamo al 28°.
William ci saluta e accelera.
Io e Norma restiamo in balia del gruppo
delle 3:30: chiacchierano, urlano, sparano cavolate su ogni cosa, perfino delle
previsioni meteo da qui al 2050...
Mi allontano per non sentirli.
Norma mi dice di andare: “Vai, vai, io
resto con loro.”
Non vorrei lasciarla, ma un attimo dopo
sto già inseguendo William e distanziando Norma.
Ci provo.
Metto gli auricolari.
Mi cadono.
Una volta.
Due volte.
Tre volte.
È come gareggiare contro la sfiga.
Entro nello stadio di atletica. Vado
spedito.
Mi sento un monatto del 1600 che raccoglie
i cadaveri del 30° chilometro.
Arriva il famoso muro.
Non quello mentale.
Un cavalcavia ripido come il K2.
Spingo.
Impreco in 7 lingue.
La discesa non la sento nemmeno: sto
ancora bestemmiando in aramaico antico.
Ora sono solo. Mancano 8 km.
Non guardo più l’orologio. Quel che sarà,
sarà.
Rientro nel centro. Bellissimo.
Prendo l’ultimo gel (che miracolosamente
non cade)… ricadono gli auricolari.
Manco fossi a “Giochi senza frontiere”.
Daje, quattro chilometri. Il pubblico è
caldo.
Sfodero il mio sguardo da otaku e
funziona:
Mi salutano, mi chiamano, mi incitano.
Mi accendono come un fiammifero.
Mi serve. Mi porta fino a Piazza della
Signoria, superando gente come se piovesse.
E ancora vado, senza problemi.
Ed eccolo: il Duomo.
Già finita?
Sì.
Le lacrime che mi rigano il viso decretano
la fine del viaggio.
Giusto il tempo di chiudere il rubinetto e
abbracciare Norma, che arriva due minuti dopo.
C’è pure William che spunta con una birra in mano!!!
Non so come ha fatto a prenderla ma solo
per questo è il mio nuovo eroe.
Anche questa “ultima” maratona è andata…
…almeno fino alla prossima.




.jpeg)
